"I just didn’t know whether I could sing this stuff..."
(Nergal, su Songs Of Love And Death)
“Guarda, io la musica l’ascolto tutta… beh, tranne il metal e la techno, ovviamente…”. Quante volte ci siamo sentiti dire una frase di questo genere da qualcuno che voleva apparire di gusti ecumenici ma già nel formularla tradiva dei preconcetti? Un po’ come “io non sono certo razzista, ma…”, non vi pare?
La realtà è che l’heavy metal e la techno, in quanto generi molto popolari fra i giovani di tutto il mondo, si portano addosso lo stigma di musica esclusivamente commerciale e quindi “becera”. A dispetto dei colti esperimenti di jazzisti come Miles Davis ed Herbie Hancock per fondere improvvisazione e groove elettronici, ad esempio. O delle molteplici evoluzioni, talvolta autenticamente “progressive”, avanguardistiche e fin cerebrali, cui il verbo metallico ha saputo dar vita nei poco meno di 50 anni che ha ormai percorso sul lato selvaggio del rock, dagli esordi di Led Zeppelin e Black Sabbath fino alle efferatezze sonore del thrash brasiliano dei Sepultura o del black metal scandinavo, o agli sperimentalismi di Mr Bungle, Sunn O))) e così via.
Alla fine, l’idea che i musicisti metal (spesso preparatissimi e colti) siano solo degli “headbanger” dediti a scuotere folte chiome durante massacranti assoli di chitarra è dura a morire. Eppure, nonostante la popolarità di certi rituali da concerto (e quale genere non ne ha?), l’heavy metal nel tempo s’è evoluto eccome: ha incorporato le dilatazioni psichedeliche e le ricercatezze tecniche del progressive, la velocità nevrotica del punk, le atmosfere catacombali del goth, l’elettronica industriale, le ritmiche del funk e dell’hip hop, talvolta persino la ragionata anarchia del free jazz.
Anzi, per fare un altro dispetto ai suoi critici, potremmo ammettere che ormai è uno dei generi più longevi rimasto ancora attivo e vitale nella grande galassia del rock, forse l'ultimo ad aver mantenuto un saldo ancoraggio col suo bacino di riferimento (il pubblico dei "metallari", per l'appunto), un solido peso su quel che resta del mercato discografico, insieme ad un certo slancio verso l'evoluzione della forma, giacché - si dica quel che si vuole - un disco dei Black Sabbath è diverso da uno degli Iron Maiden, uno dei Metallica è già un'altra cosa ancora, come uno dei Type O Negative è diverso dai Darkthrone o dai Faith No More, i Tool dai System Of A Down dal nuovo concept album fantascientifico di Ayreon appena uscito (su cui si tornerà).
Ecco perché, a combattere ogni pregiudizio perdurante, dedichiamo quest’articolo (che ruba il titolo a un album dei Bluvertigo) a segnalare alcuni album – nuovi, nuovissimi o almeno distribuiti di recente (alcuni già da noi recensiti singolarmente) – che fondono il linguaggio del metal (anche estremo) con quelli di altre musiche, a volte davvero distanti anni luce, dando così vita a nuove sintesi molto originali che ci confermano che la musica nel 2017 – benché sembri popolata solo di grandi vecchi e reunion di band storiche – è ancora viva e capace di sorprese stimolanti. Basta cercare.
Mugshots – Something Weird (Black Widow) – L’ultimo album della band bresciana, uscito a fine 2016, è una delle più fulgide sorprese del rock italiano recente: prodotto dal tastierista dei Death SS con un’impressionante schiera di ospiti, dal loro cantante Steve Sylvester ad un Enrico Ruggeri neorock, a membri dei Delirium di Fossati come dei Counting Crows, Venom, Nocturnus, dei Necromass e di altre band italiane di metal estremo, realizza in realtà una perfetta e finanche orecchiabile fusione dell’horror punk originario dei Mugshots (scuola Stranglers/Misfits) con un hard/prog anni ’70 di matrice Blue Öyster Cult. Pietra miliare del presente con almeno un singolo (Sentymento, col controcanto del succitato Rouge) che potrebbe anche andare in classifica.
Zeal & Ardor – Devil Is Fine (MVKA/Warner) – E se gli schiavi neri americani si fossero ribellati ai padroni col satanismo? Lo svizzero-americano Manuel Gagneux nel suo (breve) album di debutto realizza l’ardita visione ucronica, dando vita ad una pazzesca fusione di black metal e gospel corali, con tanto di battito di mani e trascinar di catene. Ma non gli basta, e qui e là intervalla la torrida miscela con strumentali elettronici, echi di Tom Waits/Marc Ribot e cori da chiesa (pagana!). Uno dei dischi più originali e spiazzanti sentiti negli ultimi anni, la risposta a chi pensa che in musica (non solo metal) non accada più nulla di veramente nuovo.
The Night Flight Orchestra – Amber Galactic (Nuclear Blast) – Supergruppo svedese formato da componenti di tre metal band scandinave, I TNFO danno vita non al prevedibile catalogo di urla selvagge su muri di chitarre distorte, bensì a un quasi-concept spaziale dagli arrangiamenti curiosamente vintage, da cui sbuca un imprevedibile amore per certo hard/pop e AOR anni ’80: Foreigner, Journey, Boston, fino ai Kiss, agli Europe e… al pop puro di Abba, Steely Dan e persino dell’Alan Parsons Project”! Il disco per convincere la fidanzata che “il metal può essere anche orecchiabile”.
Me And That Man – Songs of Love and Death (Cooking Vinyl/Edel) – Più noto come cantante dei Behemoth, il polacco Nergal – imprevedibile fan del country blues ombroso dei Wovenhand – con questo suo side project al debutto esplora i medesimi malinconici paesaggi roots acustici (o moderatamente elettrici), che lo fanno sembrare più un Nick Cave dei tempi che furono che non il satanico gorgogliatore del blasfemo black metal che gli ha dato la fama. Accompagnato dal connazionale chitarrista John Porter (li vedete insieme nella foto in apertura), ci evoca una “black church” (titolo d’apertura) degna d'un Johnny Cash da Bible Belt, con una strumentazione ridotta al minimo e cori di voci bianche. Non un solo suono metal, ma starebbe da dio nella prossima stagione di True Detective. Certo, con Zeal & Ardor.
Zu – Jhtar (House Of Mythology/Goodfellas) – Il trio romano in effetti non appartiene esattamente al calderone metal, ma piuttosto a un’avanguardia inquieta (e apprezzata all’estero da John Zorn e Mike Patton) che mescola quest’ultimo col free jazz, scorie etniche e suoni elettronici a 360°. Ma va segnalato il loro ultimo lavoro, che si spinge assai lontano dal loro feroce ma ormai consolidato spettro sonoro, spiazzando con un’opera divisa in due lunghi brani ambient (oltre 20’ ciascuno), in cui i droni prevalgono largamente sul basso di Pupillo e sul sax di Mai. Che invece dilaga nel progetto parallelo dei Mombu, dirompente duo zorniano sax/batteria con Antonio Zitarelli dei Neo. Che qui non hanno una scheda tutta loro solo perché non hanno album recenti in circolazione ma visti dal vivo sono autenticamente deflagranti.
Wows – Aion (Argonauta) – …Ma coi droni si possono fare tante cose: i veronesi Wows (visti da poco dal vivo) li usano per strutturare i loro lunghi brani dai titoli grecizzanti (8 per oltre 50’ di disco) del loro “Eone” (il Tempo). In cui sembra di ascoltare una Set The Controls For The Heart Of The Sun suonata dai Black Sabbath (o dai Tool). Ma anche con delle sofferte malinconie vocali che ricordano i Cure (e un po’ i God Machine, sfortunati pionieri della fusione hard/dark nei primi ’90, li ricordate?), che procedono spiraliformi fino a deflagrare in distorsioni chitarristiche e urla disperate del cantante Paolo Bertaiola (insieme al resto del gruppo nella foto in b/n in alto a destra), che lodevolmente non abusa di growl. Comunque non un disco facile il loro, ma vale lo sforzo di penetrarlo.
Otus – 7,83 Hz (Argonauta) – La bassissima frequenza del titolo (titolo dell’album e di un brano strumentale) corrisponde alla Risonanza di Schumann (il fisico, non il musicista!) e si riferisce al campo elettromagnetico terrestre, ma offre efficace metafora del minaccioso spettro sonoro del quintetto romano, sicuramente il più impervio del lotto e vicino ad un virulento doom/sludge con massiccio impiego di growl. Tuttavia, prima che esploda il maelstrom si dilatano in sonorità orientali e psichedelico-mantriche in questo concept, diviso in tre parti (Turn On, Tune In e Drop Out), per seguire il risveglio del Sé dalla realtà che lo circonda, l’avidya (ossia l’ignoranza per i buddisti), con titoli filosoficamente ambiziosi e latineggianti; e booklet illustrato dalle lussuose tavole del chitarrista Fabio Listrani, anche fumettista per la Marvel. Ancor meno facile dei Wows, ma nemmeno banale o “solo metal”. Dategli un ascolto.
Datelo a tutti loro, scorpirete… sì, scoprirete parecchio. Come anche da Juggernaut e Lili Refrain, che purtroppo qui non possiamo inserire, perché al momento impegnati proprio nella produzione dei loro nuovi lavori.
Mario G