Riccardo III è la tragedia che conclude (intorno al 1592) la tetralogia shakespeariana sulla storia inglese, trasformando Riccardo Plantageneto, ultimo sovrano della casata York, in un mostro deforme, pronto a vendicarsi per la sfortuna fisiognomica toccatagli in sorte alla nascita nella giustificazione per una spietata strategia di conquista del potere, a costo di uccidere il fratello Edoardo IV e i di lui figli bambini ma potenzialmente eredi della corona più titolati di lui a portarla.
Priva di alcun elemento fantastico (le streghe di Macbeth, il fantasma di Amleto, la magia di Prospero), Riccardo III è apoteosi di protervia tutta umana, dalla prima mossa per avere la reggenza fino in fondo, all'autodafé della maledizione di tutte le sue vittime, che condanna l'usurpatore alla sconfitta nella battaglia di Bosworth che sancisce la sua sconfitta e morte, regalando a noi spettatori un "lieto fine" amaro, ma pur sempre più positivo di quel che la storia presente ci squaderna davanti agli occhi ad ogni tg serale. Forte di ricca declinazione anche in campo cinematografico, l'ultima versione che ricordiamo è quella metateatralfilmica di e con Al Pacino, di cui qui sotto vi ripassiamo la sequenza del celeberrimo "inverno del nostro scontento":
In questa versione diretta da Luca Ariano e prodotta da Lubox Produzioni Artistiche (locandina sopra a destra), Riccardo di Gloucester - l'istrionico, bravissimo Pietro Faiella (sopra e qui a sinistra) - imperversa sul palco, bianco come la prigione di L'uomo che fuggì dal futuro (a destra uno still), ordendo congiure, seducendo scellerati complici ad eseguire le uccisioni da lui decretate di chiunque possa ostacolare la sua scalata al potere.
Minaccia, blandisce, promette e smentisce, tradisce chiunque, mostrandoci senza veli come da sempre operi la real politik stracciato ogni pudìco velo di formalismo esteriore (quando c'è, e i tempi ci mostrano che tende ad esserci sempre meno, che i tempi cupi e sanguinari dei pugnali e dei veleni per la corona britannica, per il papato romano o le congiure dei Pazzi fiorentini non sono poi così lontani dalla nostra vita quotidiana).
L'astratta scenografia formata da una sorta di cubo bianco accecante (ideato dal regista Ariano stesso con Alessandra Solimene, con solo 70 posti per replica, v. foto sotto al centro, dall'esterno), che abbiamo paragonato alle scene fantapolitiche di George Lucas del 1971 (e qualcuno all'Arancia Meccanica di Kubrick dello stesso periodo), consente d'inondare lo spazio scenico geometrico di luci a colori puri ed ipersaturi (verrebbe da dire argentiani), rosso, azzurro, lilla, staccando la vicenda in scena da alcun riferimento storico.
Anche i sobri costumi grigi di Elisa Leclè ci dicono di aristocratici che possono venire dal tardo '500 quanto dai Jedi di Guerre Stellari o dagli Atreides di Dune di Villeneuve, favorendo la proiezione - come ci spiega Gilda Deianira Ciao (già su Posthuman con i purtroppo disciolti snaporaz anni or sono, qui nel ruolo drammatico della vedova del re Elisabetta, nelle foto ai lati) - dei meandri interiori della mente contorta di Riccardo.
La drammaturgia del testo shakespeariano per la mise en scéne di Ariano (di Natalia Magni, anche traduttrice del testo e in scena nel ruolo di Margerita), rimane ellittica sulle uccisioni di Lord Hastings, dell'alleato Buckingham, sul matrimonio con Anna (qui viene proposto ma rifiutato con sdegno dalla vedova) e sull'assassinio della moglie insieme ai figli, come taglia numerosi personaggi secondari e astrae anche i gesti degli attori, sicché - senza spade o altri elementi scenici - le azioni devono essere metaforizzate: il che comporta un vero capolavoro simbolico nel finale, in cui l'intera battaglia deve essere intravista attraverso l'ironico "final curtain" della My Way di Frank Sinatra, scelta originalissima (anche se a mio parere toglie un pizzico di tragicità alla caduta dell'usurpatore). Culmine di una raffinata drammaturgia musicale che parte dai classici sinfonici dell'800 (Mozart, Beethoven, Chopin) per accennarci And I love her dei Beatles e Paranoid Android dei Black Sabbath al piano (Brad Mehldau), che giunge al cumine con la Sympathy for the Devil degli Stones nell'esecuzione dei Guns N' Roses: perfetta summa testuale del Male che da sempre manda avanti la Storia umana; fino alle dissonanze della musica contemporanea (Šostakóvič, Schönberg) e all'urlo selvaggio di Yamatsuka Eye nell'isterico jazzcore di John Zorn (da Torture Garden dei Naked City) quando la tragedia di Riccardo volge alla katastrophé.
Rispetto agli standard striminziti del teatro contemporaneo, qui sono ben otto gli attori in scena, accanto al citato Faiella/Riccardo, tutti parimenti solidi nella resa della non facile lingua shakespeariana, quindi li riportiamo tutti di seguito (in rigoroso disordine, partendo dalle signore):
Lady Anna, Lucia Fiocco
Regina Elisabetta, Gilda Deianira Ciao
Regina Madre, Liliana Massari
Regina Margherita, Natalia Magni
Catsby e sicario, Luca Di Capua
Buckingham e sicario, Alessandro Moser
Rivers e Stanley, Lorenzo Parrotto
Clarens, sindaco di Londra e Lord Hastings, Roberto Baldassari
A margine (ma qui il discorso va oltre il lavoro di Ariano), ci può rimanere la domanda insoluta sul perché il nostro presente "devastato e vile" non riesca a produrre almeno anticorpi letterari di statura shakespeariana degni del baratro sul cui ciglio balliamo ogni giorno, ma probabilmente il quesito va di pari passo con quello su perché non riusciamo più ad immaginare il futuro com'era compito della fantascienza classica (casualmente sono incappato in quest'articolo che affronta il tema sulla strada del ritorno dalla performance). Perché, per affrontare "di che lacrime e di che sangue" grondi anche oggi il potere dei Trump, dei Putin e dei loro meschini vassalli europei, si debba ancora ritornare alla rovina degli York o al "marcio in Danimarca".
Ma questa in fondo è domanda che potrebbe essere rivolta a noi stessi: sei uno scrittore, no? E allora perché non dài tu voce alle tragedie del presente invece di rifugiarti nello pseudobiblion di Stevenson o del Dario Argento del 1975? Ai posteri...
Se vi ho intrigato ad essere uno dei 70 spettatori della rovina del Plantageneta, Riccardo III è in scena nel cubo di Silva 36 Studios fino al 1 giugno.
Mario G
PS: foto di scena fornite dalla Compagnia, foto del cubo ripresa da Mario all'esterno del cubo scenografico, serata del 27/05.