Ormai in chiusura d'anno, abbiamo pensato di risparmiarvi l'ennesima lista dei dischi migliori (e/o peggiori) del 2024 (tanto ce n'è ovunque), per dedicare queste righe a segnalarvi un eccellente album italiano che - nella sbornia di cofanetti celebrativi e ristampe in vinile iridato deluxe - rischierebbe forse di passare inosservato, mentre invece merita molta più attenzione (anche perché un po' ne richiede all'ascolto).
Ai Twenty Four Hours avevamo già dedicato una recensione entusiastica nel 2018 (per Close – Lamb – White – Walls): oggi torniamo a loro per un album che viene presentato un po' come un divertissement pandemico autoprodotto, collaterale alla (già non folta) discografia del gruppo e che invece si rivela uno scrigno di delizie per il "vagabondo delle stelle" musicale (a lato la copertina del romanzo di Jack London da cui la cit. nella traduzione dell'amico Davide Sapienza, storico critico rock).
Si tratta di un omaggio al free jazz degli Ornette Coleman e dei John Coltrane che i fratelli Lippe (Paolo al synt + urla e Marco alla batteria) hanno imparato ad amare col padre, il quale regalò a Paolo ragazzo un flauto indiano, primo strumento per sondare "una gamma estesa di frequenze alla Eric Dolphy". Il disco, sotto una copertina con tramonto sul mare che farebbe pensare a una collana new age, all'interno riproduce assai più opportunamente la grafica dello storico capostipite del genere tutto Free Jazz: A Collective Improvisation del Coleman (Atlantic, 1961, copertina sopra a sinistra), che secondo noi meglio avrebbe fatto a sfoggiare in 'vetrina'.
Ma quel che conta sta dentro: registrato durante il lockdown nelle pause dalla produzione dell'album Ladybirds (uscito nel 2022, Andromeda Relix) Free Rock Project parte dalle improvvisazioni di Paolo al synth (a sinistra dedito al missaggio) su cui si è innestata la batteria di Marco (a destra), duo completato poi dal fondamentale ruolo del sassofonista Ruggero Condò, ultimo acquisto della band, qui con in mano il pesantissimo ruolo di confrontarsi con due (o più) giganti della musica del XX secolo da far tremar le vene ai polsi.
Anche perché l'organico ridotto dell'album prevede solo la chitarra elettrica di Antonio Paparelli (sotto a sinistra) sul Third Movement - Scherzo Ripetitivo e Tempestoso (con Finale Sommesso), di ambientazione orientaleggiante e strutturato sull'immortale riff di Set the controls for the heart of the sun dei Pink Floyd (sotto a destra).
Assenti invece il bassista Paolo Sorcinelli, il chitarrista solista Gìo Lombardi e la voce femminile di Elena Lippe, l'intero comparto "armolodico" (per citare il grande Ornette) pesa sui sax.
Ridotti al minimo anche gli inserti vocali, che si riducono a brevi interventi del leader che bercia frasi in omaggio alla memoria familiare ispiratrice del disco, ossia quelle gridate in dialetto dai venditori ambulanti che passavano sotto le finestre dell'infanzia barese dei fratelli Lippe (come ad es. la buffa "Vulìt l'uéiv... le uovaa!") nella "New Orleans del Sud italiano".
Ci sono anche dei gridolini femminili prelevati da un misterioso film porno (bravo chi li scova), seminati in una ghost track che si inserisce a sorpresa nel flusso del Secondo Movimento. Ma di certo nei tre lunghi brani prevalgono le parti strumentali libere e improvvisate, quindi stratificate in "sheets of sound" (per citare il grande Coltrane) in fase di mixaggio da Paolo, sicché il risultato finale, più che a un album di moderno prog aperto a contaminazioni wave e psichedeliche (griffe del gruppo) potrebbe far ricordare le collaborazioni fra Nik Turner degli Hawkwind (presenza incombentissima sul Free Rock Project) ed Helios Creed nell'Annunaki di cui già parlammo oppure i moderni The Comet is Coming, cui dedicammo un Sound Invaders a Wonderland.
In questo trip sonoro interstellare parrebbe finire un po' in ombra la componente new wave della miscela dei Twenty Four Hours, che però rimane viva nelle ritmiche marcatamente kraut dei brani e in particolare nelle relative tecniche di registrazione: infatti, per rendere più incombente e "grasso" il suono di batteria, il gruppo ha recuperato in digitale (grazie al plug-in "Elastic Audio") un effetto usato dai Cure (di cui da poco si festeggia l'uscita dell'imponente Songs of a lost world) sul brano Cold (dal capolavoro Pornography del 1982), ossia la registrazione analogica del drumming a velocità accelerata, per poi rallentarla in missaggio al fine di ottenere appunto una sonorità più cupa e "grondante umidità" (la definizione è di Paolo Lippe stesso).
Un disco che vale assai più del divertissement che finge d'essere (anche se forse così è nato), essendo altresì ulteriore prova di una band di grande perizia tecnica (questa sì davvero 'progressive'!) ma al servizio di una onnivora creatività e libertà stilistica di esprimersi in generi anche molto lontani dalla propria 'comfort zone' d'appartenenza.
Se volete sincerarvi, partecipate l'11-12 ottobre 2025 alla presentazione del loro nuovo album di canzoni "vere", cioè Rubbish, che Paolo definisce senza giri di parole "il capolavoro del gruppo" (e che peraltro già potete assaggiare su Spotify) al Milano Hi-Fidelity all'Hotel Melià, giacché il gruppo tiene sempre in modo particolare anche alla migliore resa sonora delle proprie registrazioni (altro tratto squisitamente prog).
Udire per credere.
Mario G.