"Ice blue silver sky / Fades into grey
To a grey hope that oh yearns to be / Starless and bible black"
(cit. dal testo del brano)
Starless è una soave, lunga (12 minuti nell versione pubblicata, anche 15 in quelle dal vivo) composizione di Robert Fripp insieme a David Cross, violinista dei King Crimson 'mark III' e John Wetton (futuro Uriah Heep e pure Asia), bassista e cantante delle liriche composte da Richard Palmer-James, ispirato da una poesia di Dylan Thomas sulla rottura tra due amici e come il futuro sembri "privo di stelle e nero come la Bibbia" (alla faccia del politically correct!).
Concepita originariamente per l'album che appunto prende il titolo dal suo ritornello qui sopra riportato (Starless and bible black, appunto, del marzo 1974), finì invece a chiudere il successivo (e sottovalutato) Red, dell'ottobre dello stesso anno, destinato ad essere l'ultimo album dei King Crimson degli anni '70 e, a quanto sembrava allora, l'ultimo del gruppo definitivamente: dopo l'uscita del disco, Fripp annunziò lo scioglimento del gruppo e si mise a studiare le teorie di Gurdjieff all'International Academy for Continuous Education a Sherborne nel Gloucestershire, dove rimase per quasi due anni senza contatti col mondo musicale.
Maurizio Marsico fa del brano dei Crimson il tema portante del suo ultimo album sub nomine Monofonic Orchestra, una lunga improvvisazione al pianoforte classico di ben 36 minuti e mezzo (con delicati interventi elettronici di Massimo Mascheroni e solo qualche urlo selvaggio del musicista nella cassa armonica del piano ad agitare le tranquille acque di una performance eminentemente acustica, come vedete nella foto qui sotto a destra) registrata dal vivo a Milano nell'aprile del 2023, con accenni a Sechs bagatellen (op. 125) di Beethoven all'inizio e O Que Será di Chico Buarque nella parte più improvvisata al centro dell'esecuzione.
Marsico definisce il brano simbolicamente il crepuscolo non solo di quella formazione ma in un certo senso di un'era tutta - quella del progressive rock - e di un intero mondo, quantomeno di un modo di essere musicisti; quello in cui lui stesso, nella Milano al giro di boa fra i '70 e gli '80 incombenti, "quando in ogni cantina c'era un gruppo che suonava, meno levigato e plastificato della bellezza simmetrica un po' 'alla Ferragni' generato dal digitale, anche nell'ambito musicale", dice lui.
Probabilmente le lunghe antenne di Fripp già nel '74 fiutavano che il mondo stava cambiando: il glam dei Bowie, Ferry e Bolan, l'elettronica del kraut rock, il proto punk poetico di Patti Smith stavano già incubando la disco music elettronica di Moroder e la new wave a venire.
Molto del cui sound fu in realtà plasmato proprio da musicisti già maturati nel decennio precedente, come Bowie appunto e Eno, nel cui lavoro su Heroes (1977, a sinistra still dalla session in studio) e sul seguente Fear of Music (copertina a destra) dei Talking Heads (1979) Fripp maturò l'evoluzione del suo stesso approccio chitarristico, che poi diede vita ai nuovi King Crimson del molto "testeparlante" album Discipline dell'81, ben sette anni dopo Red e Starless. Ma questa è già un'altra storia e meriterebbe un saggio a sé.
Tornando all'album di Marsico, il secondo e ultimo brano che lo compone è una rielaborazione in studio della medesima esecuzione live di Starless, prodotta dal musicista norvegese Jan-M. Iversen che ha poi pubblicato il cd con la sua etichetta TIBProd, specializzata in sonorità ambient electro/jazz.
"Non si tratta di uno di quei radicali remix di un brano acustico che lo trasformano di peso in una techno radicale, ma solo di una rielaborazione in studio di quanto uscito spontaneamente in un'improvvisazione live, che all'origine non avevo neppure avuto l'idea di registrare. L'elettronica c'è per portare in evidenza certe porzioni dell'esecuzione, distendere dei soundscape leggeri sullo sfondo, è come se fossero due versioni indipendenti dello stesso materiale", spiega Marsico.
"Io non sono certo contrario all'elettronica, l'ho sempre usata molto nei miei dischi e ne ho seguito l'evoluzione: ma l'elettronica che piace a me è comunque sempre guidata dall'uomo verso un ampliamento delle possibilità creative e comprende anche la possibilità dell'errore, dell'imprevisto", continua il musicista. "Un percorso inverso a quello attuale, dell'uso dell'elettronica - oggi anche dell'AI - per produrre del materiale superficialmente 'perfetto' in quanto levigato e plastificato, ma nella sostanza sempre clone di qualcosa che già esiste, senza lo scarto in avanti che ti permette d'inventare qualcosa di nuovo. Il trionfo dei talent show in tv, il fenomeno delle tribute band oggi sono le spie della fine di quell'atteggiamento musicale che io ho definito 'progressive' in relazione alla carriera dei Crimson, ma che in realtà avevano anche i Talking Heads, gli italiani Chrisma e la congrega Japan/Sylvian, Porcupine Tree & co.".
Stili diversi ma personalità autentiche forgiate nelle stesse cantine, a dispetto delle zazzere cotonate e platinate.
Se siete ascoltatori 'semplici' e vi approcciate all'album senza provenire da un workshop sui metodi di Gurdjieff, si può sintetizzare che anche gli appassionati di Keith Jarrett o di Ludovico Einaudi potranno ascoltarlo con gli amici provenienti da una rassegna cinematografica d'autore senza sputare di colpo le trenette al pesto della cena come potrebbe accadergli coll'elettronica industriale della Monofonic Orchestra+ODRZ, che farebbe fatica ad associare allo stesso compositore.
Se invece siete nostalgici di quello "spirito prog" che si diceva, immergetevi in entrambi i mondi per capire che forse, se si gratta sotto la superficie opprimente del cosiddetto mainstream (e questo vale per ogni linguaggio, la nostra letteratura, il cinema e tutto), non è ancora morto del tutto, come di Starless troviamo superbe versioni anche nei live più recenti dei Crimson (io ne ho almeno quattro): siamo solo noi che scegliamo fin dove vale la pena scavare.
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Mario G