I libri di Danilo Arona (a lato nel ruolo del chitarrista Morgan Perdinka) non finiscono mai.
Non è (non solo) una battuta, perché scaturiscono tutti da una personale e precisa visione cosmica, tellurica dell’orrore: nella sua narrativa non c’è mai solo la motivazione individuale, psicanalitica del male. Anche se la trama ruota su dei serial killer cinefili (come in Io Sono Le Voci), o su misteriosi untori epidemici caraibici (come ne La croce sulle labbra), all’origine di qualunque crimine c’è il Male. Quello cosmico, assoluto, cieco, insensato e inarrestabile. Quello che l’autore di Alessandria (pardon, Bassavilla) definisce un brivido sulla schiena del drago (altro suo titolo storico), ossia una vibrazione alterata dell’asse terrestre, un fenomeno fisico che – attraverso il celebre effetto farfalla genera nefandezze a catena.
Anche in luoghi (o in tempi) fra loro lontanissimi: perché ci insegna un’altra teoria fisica centrale nella Weltanschauung aroniana che il “contagio” del Male non si muove secondo i vetusti criteri del moto dei corpi, bensì attraverso quello ben più imprevedibile dell’entaglement quantistico. In questa Weltanschauung quindi il Male non si sconfigge mai una volta per tutte (come Yin e Yang si equilibrano, nessuno dei due può prevalere in forma definitiva), lo si può arrestare temporaneamente ma prima o poi un altro dissesto tellurico lo rimetterà fatalmente in circolo a seminare morte e terrore sfruttando temporanei varchi dimensionali per sbucare dove meno ce lo aspetta.
Ecco che dunque in Land’s End - il teorema della distruzione (copertina in apertura) ritroviamo i serial killer di bambini biondi, ossessionati dal ciclo dei film sul Villaggio dei dannati (di cui accanto vedete un’emblematica scena del remake carpenteriano) nel citato Io Sono Le Voci, che stanziano il loro sinistro luna park proprio a Land’s End, reale punta estrema della Cornovaglia sul mare. Dove vive anche la coppia formata dall’ex giornalista Angus con la moglie sciamana Dafne, dotata di poteri medianici che le fanno presentire l’imminente arrivo dell’Onda, presumibile fine del mondo conosciuto secondo lo Schema tracciato da padre Nicholas, un religioso che ha lasciato enigmatiche premonizioni sull’imminente Armageddon sulle pareti della cella dell’ormai deserto monastero in cui viveva.
A Land’s End converge anche lo scrittore maledetto Morgan Perdinka per scoprire il luogo in cui sta ambientando il suo ultimo romanzo. Che ultimo resterà perché – già da L’estate di Montebuio – sappiamo che lo scrittore è morto suicida. Quindi questo suo nuovo romanzo si situa poco prima del fatto? Oppure quel che leggiamo sono gli incubi della sua amante e manager Cassandra, ossessionata dall’inspiegabile fine dell’amato creatore d’incubi, la quale ora sembra vivere proprio in un incubo partorito dalla di lui penna? O forse è la sua ancor più misteriosa, vetusta macchina da scrivere Continental (già ingombrante presenza in Montebuio), che sembra vivere di (malvagia) vita propria, vomitando orrori tramite il brillante scrittore o persino da sola?
Le due coppie si sfiorano a Land’s End senza davvero incontrarsi, perché in realtà abitano dimensioni diverse. O non sarà che forse Dafne e Angus sono solo i personaggi di un b-movie horror che il regista David Demoreaux sta girando a Hollywood, basandosi sulla storia di Soyoko, con due sfiorite glorie come attori protagonisti nei loro ruoli? Lo gira basandosi sulla storia di Soyoko, nel libro una leggenda indiana: bellissima giovine pellerossa trucidata da bruti gringo ai piedi del Monte Graham (sede dell’osservatorio vaticano inviso al suo popolo e altro avamposto per cogliere i segni dello Schema finale), diventa un leggendario babau che striscia senza gambe, s’annuncia con un inquietante “tike tike” e uccide per vendetta con uncini alla Freddy Krueger (di cui accanto ripassate la famigerata mano artigliata) anche se a me ha ricordato un po’ quelle maledizioni dell’horror nipponico alla The Ring/The Grudge (vedi a sinistra) avviluppate in nere chiome, sensazione confermata quando un dialogo verso la fine del libro ricorda la sua origine proprio in una leggenda metropolitana giapponese (Teke teke). Qui essa viene cucinata appunto in salsa indiana, comunque attraverso varchi dimensionali e/od onirici, Soyoko appare e fa danni sia di là che di qua dall’Atlantico, perfino nella Milano della terrorizzata Cassandra Marsalis.
Come in ogni Arona che si rispetti, cronaca, leggenda e pura invenzione letteraria s’intrecciano fittamente, per la gioia degli “gnoseo-giallisti” che troveranno pane per i propri denti nel dipanare il reale dall’immaginario: perché ad esempio la specola vaticana sul Graham esiste davvero, la località di Land’s End in Cornovaglia pure, Soyoko è leggenda ma ben testimoniata, lo tsunami di La Palma, che nel libro minaccia di cancellare Land’s End e mezzo mondo con essa è un fenomeno pare possibile (e studiato da scienziati) ma fortunatamente ancora di fantasia nella nostra dimensione.
Anche sulla ghiandola pineale come sede dell’anima (Cartesio), “terzo occhio” (induismo) od occhio “della visione spirituale”, non manca la letteratura di riferimento, che da Galeno arriva fino all’occultista Madame Blavatsky e a Lovecraft, che v’imperniò il suo racconto Dall’ignoto (da cui il mediocre horror From Beyond - Terrore dall'ignoto di Stuart Gordon, di cui qui a lato vedete un frame). Ma su quanto possano durare le sue visioni dopo la morte fisica dell’organismo che la ospita… beh, qui vi lascio scoprire da soli dove vi porta Arona nel finale (e decidere se lì sia scienza o fanta).
Come in ogni Arona, la materia al fuoco è molta – anche più che nei suoi titoli più recenti – e portarla avanti richiede all’autore (che ancora una volta si firma insieme a una coautrice, l’editor Sabina Guidotti) molte parti connettive e molte spiegazioni fisico-sciamanico-astrali, che talvolta rallentano un po’ il flusso narrativo. A chi cerca l’horror all’americana, tutto action e colpi di scena, la miscela potrebbe risultare indigesta. Per il sottoscritto lo sono le orde di gatti dagli occhi psicopompi di anime di bambini mal morti, ma ognuno fissa l’asticella dove vuole; del resto che anche l’ambiguo felino goda di vasta tradizione occulta, dall’Egitto alla stregoneria nostrana, è cosa nota e non sarò io a schierarmi disarmato contro le agguerritissime schiere dei gattofili che trovano nell'Arona colto alfiere.
Mentre sempre godibile (anche per il gattofobo) è l’apparato metaletterario/filmico che l’Alessandrino smuove nelle sue vicende: dai citati Nightmare e Villaggio dei Dannati ai classici cult aroniani di Henry James (Il giro di vite e relative cinediramazioni), di Hitchcock (da Psycho agli Uccelli), del Re, da Shining a It (quei sinistri clown proiezionisti) fino al suo illustre progenitore, Il popolo dell’autunno di Bradbury, direttamente citato un paio di volte nel testo, fino a Voices (in italiano E se oggi... fosse già domani?), poco noto precursore inglese del '73 del filone alla Sesto Senso/The Others.
Forse si può dire di Arona quel che s’è detto della filmografia di Jess Franco: che non hai visto un suo film davvero finché non li hai visti tutti. Se è vero, preparatevi a leggere, perché al recente Stranimondi Danilo era presente con almeno altri due titoli freschi (di cui intanto vi mostriamo le copertine ai due lati del testo): Morgan e il buio (per Vincent Books, sulla seconda vita da chitarrista rock del magmatico Morgan Perdinka, alter ego dell’autore) e Solo il mare intorno (tre storie isolane insieme ad Angelo Marenzana e Luigi Milani, Nero Press), di cui vi proponiamo le copertine qui ai due lati.
Se ne riparlerà presto.
Mario G