"Ecco, il lupo era il mio modello, lo stemma araldico di Hyde: selvaggio e assetato di sangue, pronto a tutto per averlo, insensibile a qualsiasi dolore, proprio e altrui, con occhi che balenavano orgoglio e fierezza assassina. Giustamente venerato per secoli dalle società umane arcaiche nei riti orgiastici dei baccanali e dei lupercalia, il lupo aveva ispirato nel corso della storia diversi nomi di tribù primitive in aree geografiche anche molto distanti fra loro, come i luviani o i lycaones dell’antica Arcadia. Rituali che covano ancora nell’animo umano, anche dopo secoli di ceneri della civiltà che hanno allontanato dalle umane fauci il rituale dello smembramento della vittima sacrificale, di cui la nostra essenza profonda non ha mai smesso di sentire il bisogno."
Per comprendere il nucleo di Bloodthirsty, debutto (o quasi) registico della giovane canadese Amelia Moses, mi sovviene il passo sopra riportato dal mio (inedito) romanzo Hyde in Time (di cui sopra vedete un'ipotetica copertina by Roberta G), in cui il bieco alter ego di Jekyll riscopre in sé le "vere radici" ferine di ogni essere umano. Passo che a mia volta ho nutrito delle teorie antropologiche di Robert Eisler, nel saggio del 1951 Uomo diventa lupo (Adelphi, 2019).
Grey (la bionda Lauren Beatty) è una cantante pop poco più che ventenne, lesbica e vegana, star al primo disco ma afflitta da sanguinarie allucinazioni e preoccupata dalle difficoltà di partorire il fatidico secondo album: decide di affidarsi al noto produttore Vaughn (il misurato ma carismatico Greg Bryk), sospettato (ma prosciolto) d'aver ammazzato la precedente partner, a sua volta talentuosa cantante.
Capite che per uno che ha concepito Soniche Oblique Strategie e sui cortocircuiti fra musica e orrore ci ha costruito un universo narrativo (fin da Rave di Morte) il piatto è ricco: e infatti ci si ficca con soddisfazione: il film della Moses è fine e i personaggi ben caratterizzati, lo chalet fra le nevi del produttore ricorda facilmente il bellissimo The Lodge e le atmosfere sono affini. La tensione cresce lentamente (la fidanzata pittrice Charlie, ossia Katharine King So, non si fida molto del guru), l'evoluzione licantropica della protagonista non può non far venire in mente anche il potente Raw della Ducournau. La regista - donna pure qui - dosa abilmente e con prudenza la normalità di un'elegante magione di legno ed eleganti arredi da baita di lusso e le visioni di sangue, che pian piano si manifestano per essere poi non soltanto visioni. Anche a costo di mettere un po' il freno alla suspense.
Credibile e ben condotto anche il rapporto cantante-produttore/demiurgo e lo sviluppo dei nuovi brani (su cui lavora la vera cantante/musicista pure canadese (Elisabeth) Lowell (Boland), autrice della colonna sonora e delle canzoni di Grey, cui peraltro assomiglia anche fisicamente: nonostante l'associazione horror-musica facilmente prenda la strada del metal (come negli esempi citati più sotto) la Moses scarta anche questo cliché, servendoci all'austero tavolo dello chalet di Vaughn delicate ballad pop/emo/, per quanto poi "al sangue".
Quindi siamo al capolavoro, vi aspetterete voi, il fantarocker beato nel suo paradiso.
Invece purtroppo no, non ci siamo ancora. E non perché il finale con lo spiegone arriva un po' alla svelta e finisce senza l'attesa esplosione drammaturgica, quanto piuttosto perché - come in altre pellicole sul rapporto fra arte e orrore (con musica), come The Devil's Candy e il più furioso e riuscito, anche se tamarro, Bliss - a un certo punto inspiegabilmente lascia sullo sfondo il tema centrale della creazione musicale, gli inviti del produttore a "scavare più a fondo" nel sé oscuro, per servirci una banale spiegazione di discendenza licantropica familiare da onorare anche a prezzo di dolorosi sacrifici di sangue (vi lascio scoprire di chi).
Ma perché questo inutile (e pure vieto) detour? La musica non bastava, non sarebbe stato almeno un po' più originale dirci che per dar vita a un capolavoro nello spietato mondo del pop bisogna essere dei lupi, pronti a sbranare chiunque ci circondi o si frapponga fra il predatore e la sua meta?
Senza scomodare il Fantasma dell'Opera di Gaston Leroux e il suo epigono filmico glam-kitsch De Palma, sembra che nessun regista contemporaneo riesca a dar forma al concetto espresso dal produttore Brain One nella mia antologia fantamusicale sopra citata: "Non c'è creazione di un nuovo capolavoro senza perdita di qualcos'altro" (a destra lo vedete nell'interpretazione grafica per una fantacopertina discografica sempre by Roberta G).
Intendiamoci, Bloodthirsty - da poco uscito direttamente in dvd e bluray per Midnight Factory (qui sotto il trailer originale) - è visione assai gustosa di cui non ci si pente. E' solo il sofisma dell'appassionato (e autore a propria volta proprio su quella tematica) che vede il pel nell'ovo di una frittata sostanzialmente ben riuscita.
Buone visioni, si torna presto sull'imminente ciclo di Rai4 dal promettente titolo Weird Tales.
Mario G