Curiosamente, ci troviamo a riparlare per la seconda volta nel giro di dieci giorni di un film della premiata ditta Manetti Bros. Personalmente, questo Paura 3D (in sala dal 15) è il loro primo lavoro che vedo, per cui ero curioso di farmi un’idea personale sul tandem che sta guadagnando un passo dopo l’altro la nomea di neo gladiatori del cinema di genere italiano, dopo aver osato addirittura la fantascienza con L’Arrivo di Wang (sul quale il confronto fra la recensione contro di Marco Marchetti e quella pro di Francesco Verso su Hyperhouse è già esemplare del dibattito cui può dar vita).
Per di più, qui si tratta addirittura di un horror in 3D, altra curiosità che carezzavo da tempo (no, S. Valentino di sangue non ho osato avvicinarlo!). Inoltre, Manlio Gomarasca, su Nocturno di aprile accostava Paura al Martyrs di Laugier e al The Woman di McKee, due punte di diamante del genere di questi ultimi anni, per cui le premesse erano succulente.
No, i Manetti puntano allo shocker puro; e va pur detto che, una volta pagato il dazio della scontata introduzione coi tre buzziconi de borgata che se la spassano nella villa dell’aristocratico burineggiando in romanesco, quando uno di loro scopre la prigioniera in cantina il risultato viene anche raggiunto.
Il tentativo di liberare la prigioniera, infatti, l’attesa spasmodica dell’incombente arrivo dell’orco (“La stanza dell’orco” e poi “L’ombra dell’orco” erano i titoli di lavorazione prima della scelta dell’originalissimo Paura, brutto come la locandina malamente photoshoppata che vedete in apertura), la scena della depilazione pubica di lei e quindi della tortura del ragazzo incatenato accanto a Francesca Cuttica sono il piatto forte della pellicola e creano una bella suspence e vero panico per le tenaglie.
Merito senz’altro dell’eccellente recitazione sommessa di Peppe-AvionTravel-Servillo (il Marchese), degno fratello di tanto Toni, del quale deve aver studiato a fondo le movenze compassate (insieme a quelle di Nuot Arquint di Shadow, che mi ha ricordato per un istante) e l’arte del sottotono, perché sembra in tutto un clone del fratello attore (ma va anche detto che la Cuttica appesa nuda e balbettante al gancio varrebbe un’ora e mezza di film tutta per sé!).
Purtroppo, da questo momento in avanti si cambia registro: dal torture porn duro si passa a un survival horror più d’azione e l’atmosfera ne scapita inesorabilmente. Tra inverosimiglianze e sciatterie di sceneggiatura difficili da mandar giù (gli inseguiti che decidono continuamente di separarsi per favorire la mattanza, l’orco colpito che ovviamente non è morto), dialoghi da Tex Willer (“Adesso è davvero tutto finito”) e splatter trash, tutta la tensione creata finisce in vacca.
E a risollevarla non vale purtroppo neppure il twist finale, che stacca sì il film dalla banalità di un Hostel (o quantomeno lo avvicina più al 2 che all’1), ma è comunque prevedibile – io me l’aspettavo, e non ho mai scoperto un colpevole, neanche nel Tenente Colombo! – e condotto in maniera non meno inverosimile di tutta l’ultima mezz’ora di film.
Beninteso, non voglio dire che Paura 3D sia una chiavica dilettantesca, come purtroppo sono risultati, anche (ma non solo) per povertà di mezzi, alcuni recenti tentativi di ripresa dell’horror all’italiana come Morituris o l’inguardabile Hypnosis. Effetti speciali di Stivaletti, molto gore, parecchio metal in colonna sonora (con i nostrani Death SS), il film dei Manetti è comunque decentemente girato e prodotto: può situarsi dalle parti del citato Shadow di Zampaglione, anche se con minor fantasia visionaria e non sfigura al cospetto di un Eli Roth (emerso come regista horror solo per l’amicizia con San Quentin).Ma di certo capolavori horror “con un’anima” come Martyrs, The Woman o – che so – Lasciami Entrare, restano a una distanza siderale. Non necessariamente in quanto produzioni faraoniche, ma per sceneggiature più solide e originali (vogliamo confrontare l’architettura di Martyrs con quella di Paura?), con personaggi ben scritti e sviluppati, in cui ci si immedesima o di cui comunque si seguono le evoluzioni psicologiche, per cui quando esplode la violenza sì che t’arriva come un pugno nello stomaco. E per scrivere bene una storia non servono più soldi che per scriverla male, non nascondiamoci dietro un dito.
Per quanto riguarda il 3D, affidato – c’informano i registi – a una nuovissima macchina da presa Panasonic, secondo me non aggiunge molto al menu, a parte alcune buone inquadrature dalle prospettive sghembe sulle scale della villa e nello spazio asfittico della cantina degli orrori. Anzi, talvolta i dettagli in primissimo piano ai bordi dell’inquadratura al mio occhio risultavano in qualche modo sgradevolmente fuori fuoco, non so se per problemi degli occhiali, della mia vista o delle riprese stesse; comunque sia, credo che una visione in 2D di questo film non risulterà penalizzante.
Ma anche una non visione sarà del tutto tollerabile, a meno che non siate anche voi degli incalliti sognatori di un tantalico rinascimento dell’horror italiano dei tempi di Profondo Rosso e Suspiria, che nemmeno stavolta potremo festeggiare.
Per cui si ripropone il dibattito sollevato dalla stroncatura di L’Arrivo di Wang da parte di Marco Marchetti linkata all'inizio: dobbiamo sostenere il cinema di genere italico anche se un po’ rachitico, come una specie biologica in via di estinzione, o per volergli bene meglio trattarlo alla stessa stregua di quello internazionale e schiaffeggiarlo se cialtroneggia?
Perché, se questa è la via, allora – provocatoriamente, dato che nessuno ne ha parlato molto bene – aridatece Il Mistero di Rookford e The Lady In Black, al cui confronto Paura può essere un onesto straight to video!
Mario G