La Casa del Cinema di Roma lo scorso 16 Dicembre ha ospitato l’incontro in terra italiana di due registi che più lontani e al contempo vicini non potrebbero essere: Nicolas Winding Refn e Alejandro Jodorowsky sono due ragazzacci divisi per provenienza geografica ed età, ma accomunati indissolubilmente dalla passione per un cinema che sia capace di prendersi i suoi rischi, con sfrontatezza e fiducia in un’idea integrale di Settima Arte.
Refn saluta il maestro, cui ha per altro dedicato il suo ultimo Solo Dio Perdona (sotto a sinistra il protagonista Ryan Gosling in una scena del film, NdR) e che ha sempre identificato come uno dei suoi massimi modelli cinematografici, con un eloquente “You’re the president!” (giusto per mettere le cose in chiaro fin da subito). A seguire ha avuto inizio il dialogo, a tratti irresistibile, con i giornalisti presenti: lo scenario è quello di una conferenza stampa per pochi intimi e l’occasione (o meglio, il meraviglioso pretesto) è l’uscita natalizia del cofanetto con gli ultimi due film del danese in dvd: Solo Dio Perdona e Drive (01 Distribution, ne vedete la copertina qui a destra e alle spalle dell'incredibile duo registico sotto a destra, NdR) alla cui presentazione si è sovrapposta una sorta di masterclass a due con il pubblico presente e gli studenti della NUCT.
“Il cinema è l’arte più importante – esordisce Jodorowsky – perché contiene al suo interno tutte le altre arti: musica, pittura, scultura, danza. Ma è anche un’arte che si è prostituita all’industria, specie per quanto riguarda l’industria degli Stati Uniti d’America. Un cinema, quello americano, in cui non c’è più ricercatezza psicologica, ma solo tecnica. Vai al cinema e ne esci stupido esattamente come sei entrato. Per anni ho cercato qualcuno che mi desse speranza nel cinema, poi mi sono imbattuto in una cassetta di Bronson. Ed è stata una vera rivelazione, trattandosi di un autentico film d’arte. Oggi il cinema è un’arte in cui ci sono pochissimi creatori e tantissimi imitatori. E Nicolas – o “Nicolà”, come lo chiama lui – fortunatamente non è uno di questi ultimi”.
Refn prosegue allora il discorso di Jodorowsky dal suo punto di vista: “Naturalmente ho iniziato molto dopo Jodorowsky a fare cinema, ma sono nato e cresciuto a New York, quindi sono sempre stato permeato dal mito del suo cinema. Quando sono stato grande abbastanza per vedere i suoi lavori ho capito che si potevano fare film come i suoi, con qualcosa di particolare, di speciale come d’altronde è il suo modo di fare cinema. Un cinema tutto focalizzato sui pensieri che l’arte evoca nella mente dello spettatore, imprescindibile sia dal punto di vista autoriale che da quello più commerciale. Per me i suoi film sono stati un’enorme fonte di ispirazione, tanto da viaggiare con me per tutto il resto della mia vita. Ed è grazie a lui che ho capito che il cinema è davvero un’arte al pari delle altre: perché le altre le puoi mettere dentro i film senza davvero conoscerle e padroneggiarle”.
Interrogato sul suo ultimo film da regista, La Danza de la Realidad, Jodorowsky afferma di aver fatto un film sulla sua infanzia cilena e dunque di averlo girato “ad altezza di bambino”. Discorso diverso invece per Solo Dio Perdona, in cui Nicolas Winding Refn si è ritrovato a maneggiare temi più complessi, oscuri e stratificati, come lui stesso sottolinea: “Credo che ci si sia sempre qualcosa di molto erotico nel rapporto con la propria madre. Prima o poi tutti fanno dei pensieri erotici sulla madre, e per me era interessante parlare di questo tema, di una dinamica che sa essere allo stesso tempo attraente ma anche repellente, rendendo il mio protagonista un essere umano interattivo, incapace di agire perché bloccato da quest’aspetto in una specie di impasse”.Jodorowsky è invece decisamente logorroico su questo film e palesa senza remore il suo contagioso entusiasmo. Il regista di El Topo l’ha evidentemente amato moltissimo, ben al di là della dedica a lui indirizzata: “Nel film di Nicolas è davvero sorprendente il richiamo alla tragedia greca, una formidabile immersione nell’inconscio alla ricerca delle nostre pulsioni. Non solo il rapporto del protagonista con la madre ma anche quello col fratello, che è il figlio prediletto. Per non parlare del padre morto in circostanze non meglio precisate: quando al protagonista vengono recise le mani lo si può considerare un simbolismo connesso al senso di colpa per aver strangolato il padre, oppure come l’inevitabile prezzo da pagare per aver infilato le mani nel ventre della madre, violandola. Per me Solo Dio Perdona è il suo miglior film in assoluto, ricco di significati inconsci, tecnicamente coraggioso, un’opera totalmente immersa nel buio della notte in cui c’è sempre e solo l’oscurità. I personaggi vi si muovono all’interno lentamente, come in una specie di sogno. Drive si comprende subito, questo film invece va più lontano del precedente, va digerito, ricreato. E’ come la Gioconda di Da Vinci, che non sa si sa perché sorride e così facendo genera tanti interrogativi: l’arte deve dar vita a una tribolazione, a un lavorio”.
“Entrambi amiamo la violenza – continua Jodorowsky, individuando una convergenza tra il suo cinema e quello di Refn – intesa come forma d’arte, non la violenza volgare del cinema americano e degli imitatori o quella idiota del cinema cinese e di Hong Kong. Quella assurda, coi calci in testa e tutti quei parossismi ridicoli. La tortura di questo film è raffinata. Bruce Lee e Jackie Chan vincono sempre, il protagonista di Solo Dio Perdona no. Io chiamo Dio il poliziotto di questo film, che altro non fa che mettere in scena una lotta dell’uomo contro Dio: alla fine perde, ma lo fa in modo meraviglioso. Siamo tutti dei mortali, tutti dei perdenti. Ci sarà sempre qualcuno migliore di noi e le relazioni sono destinate alla fine, per cui è bello vedere un perfetto perdente, almeno al cinema. Perché Dio canta il karaoke alla fine del film? Be’ ma anche noi tutti siamo dei karaoke viventi. Ripetiamo continuamente ciò che ci dicono gli altri, le frasi pronunciate dai finanzieri, da Obama…”.
Al sottoscritto che stimola i due su una possibile lettura western di Solo Dio Perdona (ricordando al cineasta cileno che il suo El Topo (a sinistra una locandina dell'epoca, NdR) è da molti ritenuto il primo western allucinato della storia del cinema), Jodorowsky risponde con la pazienza e la semplicità esplicativa del nonno saggio e canuto: “Io lo vedo piuttosto come un poliziesco. E’ un polar, con la stessa stratificazione dei personaggi di quel genere. E trovo fondamentale la dimensione familiare e larger than life dei personaggi, basti pensare a Shakespeare, che ha dato il meglio di sé in tragedie focalizzate su famiglie reali, come il Macbeth”. Anche Refn declina la lettura, spaziando con l’eleganza flemmatica che lo caratterizza: “Certo, nel film c’è un poliziotto che è una specie di sceriffo e richiama alcuni tratti tipici di quella figura classica del genere, ma non l’ho pensato come un western. Amo alcuni western italiani ma non sono un grande fan del genere in assoluto, ciò che mi attrae e interessa di più è il modernismo”.
Refn non lesina altri dettagli sul suo rapporto personale con Jodorowsky: “Ho rubato molto a lui, conscio del fatto che in realtà è impossibile rubargli qualcosa. Non lo si può neanche imitare, non posso certo prendere il suo corpo e la sua mente e farli miei! La prima volta che lo incontrai ero a Los Angeles e stavo preparando Drive (da cui proviene la violenta scena nell'immagine a sinistra, NdR). Mi dissero che se avessi voluto Jodorowsky sarebbe stato disponibile ad incontrarmi. Non ci pensai due volte e presi il primo volo per Parigi. Cenai da lui con la sua gradevole consorte, Pascal, e poi mi fece i tarocchi. Mentre tutti mi dicevano che Drive sarebbe stato un fallimento lui mi disse che con quel film avrei viaggiato. E aveva ragione. Gli chiesi se dovevo fare Solo Dio Perdona e lui mi rispose che dovevo farlo assolutamente. Avevo tante domande in testa ma gli chiesi solo se il film avrebbe avuto successo e Jodorowsky mi rispose: ‘Solo se non ci penserai’, e così ho smesso di pensarci. Insomma, ho capito che la cosa migliore del nostro rapporto è avere la possibilità di fargli delle domande, quando non so bene quale sia la scelta sbagliata da fare. E quando ho saputo che ci saremmo visti, qui a Roma, mi sono raccomandato di portare le carte, perché ho una serie di cose importanti da chiedergli, visti i moltissimi impegni che mi aspettano”.
Nel corso della lezione serale con gli studenti della NUCT, i momenti da antologia si sprecano: Refn che – interrogato su eventuali prossimi progetti con Bryan Cranston – risponde alla domanda tirando in ballo Ryan Gosling (“Scusate, è che parlo sempre di Ryan, ho confuso Bryan con Ryan! Sì, farò qualcosa con Ryan, che legge l’elenco del telefono e lo rende interessante”); Jodorowsky che si scaglia ancora contro i produttori hollywoodiani (“Sono come il drago de Lo Hobbit, covano l’oro sotto di loro”); per non parlare di Refn che nel pomeriggio, nel corso di altre interviste, non ha mancato di manifestare per l’ennesima volta la sua avversione da sempre tutt’altro che nascosta nei riguardi di Lars von Trier: “No, non vedrò The Nymphomaniac all’anteprima del film a Copenaghen, perché non mi interessa vedere un porno così lungo. Mi pare di capire che adesso Lars ami la pornografia. Evidentemente sta invecchiando. Mio padre lo conosce molto bene ed io lo ammiro molto, ma un porno di cinque ore proprio non mi va di vederlo. Da questo bisogna dedurre che io scopo, mentre Lars forse no…”.
A fine serata Jodorowsky, per il divertimento di tutti i presenti, si mette a fare i tarocchi a Refn in diretta e l’oggetto del contendere principale è il nuovo film del danese: film horror con molte donne o commedia a Los Angeles con Ryan Gosling? Dopo tante peregrinazioni da psicomago nel corso delle quali Jodorowsky dà luogo a un vero e proprio siparietto in cui vengono tirati in ballo anche Papa Francesco e Maria Maddalena, il mitico Jodo opta per la prima opzione (“Esistono tanti Ryan Gosling oggi, ma c’è un solo Nicolas Winding Refn”), contravvenendo ai dettami della moglie di Refn che è la prima consigliera e psicologa del danese, oltre a detenere il potere decisionale massimo e ultimo su quali film il marito andrà poi effettivamente a realizzare. E’ lo stesso Refn a spiegarlo, ribadendo che la moglie si era imposta in passato contro la sua volontà di girare a Tokyo perché non voleva assolutamente vivere nella capitale nipponica col regista e i loro due bambini.L’apice assoluto i due l’avevano però probabilmente già raggiunto alla fine dell’incontro pomeridiano con la stampa, quando Refn, incalzato da Jodorowsky, ha ricordato un aneddoto gustoso che gli era passato di mente lì per lì: “Alla fine della nostra prima cena chiesi a Jodorowsky: cosa devo fare con Hollywood? Sono tutti dei businessmen, non gli importa nulla dell’arte cinematografica. Devono continuare ad esistere, e mi dicono sempre di cambiare qualcosa con qualcos’altro. Lui mi disse di sorridere, di fare quello che volevo come mi pareva, che tanto si sarebbero dimenticati in fretta di quello che mi avevano detto. Così ho fatto Drive tra mille sorrisi. Jodo per l’esattezza mi disse: ‘Qualunque cosa ti diranno, tu sorridi, fai sì con la testa mentre li ascolti, e poi vattene!’ E ha funzionato!”.
Davide E. Stanzione