"Sentivo ridere ogni cellula del mio corpo.
Ero dappertutto e da nessuna parte."
(Vera sulla sua trasmigrazione)
Le identità "liquide" sono proprio IL tema del momento: dopo Titane, l'esordio nel lungometraggio dell'anconetano Beniamino Catena lo declina in Io Sono Vera (locandina a lato, trailer qui sotto) attraverso un altrettanto pazzesco scambio d'identità fra una undicenne ligure (Caterina Bussa) appassionata di astrologia e un tecnico di parabole satellitari cileno (Marcelo Alonso).
L'uomo ha un infarto sul lavoro (era ubriaco, dice sua figlia). La ragazzina si trova sulla scogliera del promontorio di Punta Crena, sulla riviera di Ponente, per gettare in mare le ceneri dell'amata cagna Bruna, appena morta, in compagnia di Claudio (Davide Iacopini), amico di famiglia che le aveva regalato l'animale e ora insegnate della sua imminente prima media. All'improvviso Vera scompare senza lasciare alcuna traccia di sé. Qualcuno addirittura sospetterà il prof di essere un killer pedofilo.
L'uomo clinicamente morto in Cile frattanto si rianima all'improvviso, ripetendo ossessivamente la frase "dove c'è fuoco", di cui però non sa spiegare il senso. E' la prima spia dell'arcana connessione, una sorta di entanglement quantistico, che lo lega inspiegabilmente alla bambina dall'altra parte del mondo, forse a seguito dell'energia sprigionata dalla collisione cosmica fra due corpi celesti, che però a noi spettatori non viene mostrata, se non attraverso il disegno che la bambina dona all'amico insegnante e sulla copertina del libro di astronomia che la spinge a chiedere al padre un telescopio in regalo.
Il "Lazzaro resuscitato" sogna una bambina sconosciuta, cerca la riconciliazione con la figlia abbandonata molti anni prima, quindi parte per un viaggio da eremita alla ricerca di risposte: sarà il rituale allucinogeno di una sciamana nel deserto a fargli scoprire l'identità della bambina italiana: Elias parte alla volta della Liguria, dove salderà il suo debito esistenziale (spoiler trama) gettandosi dalla medesima scogliera.
Vera ricompare quindi due anni dopo sulla spiaggia dov'era sparita, nuda come una sirena, ma col fisico ormai sviluppato di una circa trentenne (Marta Gastini) e totalmente inconsapevole del suo passato. La sua famiglia ha un bel daffare ad accettare la ricomparsa di una donna che solo l'istinto della madre (Anita Caprioli), corroborato dai test genetici, sente essere davvero sua figlia, contro ogni logica, anche quella del marito che sulle prime non l'accetta.
In una messinscena essenziale, quasi "documentaristica" la definisce il regista stesso, priva di effetti speciali e per fortuna anche di "spiegoni" parascientifici volti a razionalizzare (all'americana) ciò che per forza deve rimanere nell'inspiegabile, aleggiano fantasmi di Solaris, dell'Orlando di Virginia Woolf/Potter, persino di Phenomena, quando la Vera rinata attira su di sé le api allevate dal padre senza subirne alcuna puntura, dimostrando una consonanza con la natura nello sconcerto del riluttante genitore.
Ma alla fine il tempo metterà le cose a posto, anche se non senza nuovo dolore per tutti: "il tempo sta solo giocando con me", dichiara Vera ai genitori quando sente che la sua energia vitale si sta esaurendo in questa connessione cosmica, ben rappresentata dall'omaggio disegnato per questa recensione - "Ovunque e da nessuna parte" - dall'infaticabile, non meno poetica Roberta G.
Il regista Beniamino Catena riesce a trasformare in poesia lo spaesamento della coscienza davanti all'infinito dell'universo. E quando il cileno Elias attraversa l'illuminazione sciamanica non si può non sentire l'alito del misticismo panico di Jodorowsky.
Grande economia di mezzi cui presiede una pari maturità espressiva, sempre orientata in direzione dell'empatia verso personaggi profondi e travagliati dalla difficoltà di accettare l'ineffabile, che ci spinge a sussurrare che siamo di fronte a un piccolo capolavoro.
Nessun difetto usuale del cinema italiano del "vorrei ma non posso", Catena ha realizzato un film fantastico (in ambo i sensi, del genere e del risultato) che si potrebbe accostare a certi esempi di fantascienza filosofica indie come Los Cronocrimenes (Timecrimes) di Vigalondo, o Enemy di Villeneuve (da Saramago), piuttosto che alle imprevedibili concatenazioni del destino di un Babel di Iñárritu. O, specie dnel sacrificio finale, al Donnie Darko di Kelly.
Il fedele del FantaRock apprezzerà infine anche la colonna sonora attillata all'atmosfera rarefatta del film e mai invadente, firmata dai Marlene Kuntz, già amici del regista, che infatti ha diretto alcuni loro videoclip prima di arrivare al lungometraggio.
Lode dunque a NO.MAD ENTERTAINMENT che distribuisce nelle sale italiane (dal 17 febbraio) questa piccola gemma così lontana dal cinema urlato dei blockbuster che sembrano gli unici scogli a resistere allo tsunami che sta investendo la classica visione del cinema in sala con cui siamo cresciuti: cercatelo prima che venga inghiottito dai flutti di quel mare che a volte restituisce e altre sommerge per sempre.
Mario G