Con Terminator Salvation, la saga del cyborg raggiunge il quarto capitolo. Traguardo importante: un’altra saga s/f importante come Alien è ferma da anni al numero 4, forse per ambizioni più elevate... forse Terminator sta un passo più indietro, in una s/f più action e fracassona, però resiste stoicamente all’uscita del regista Cameron dalla cabina di pilotaggio e pure a quella del granitico Schwazy per raggiunti limiti d’età, il che non è proprio uno scherzo.
Anche la serie tv (The Sarah Connor Chronicles) ha chiuso i battenti (leggi QUI) per carenza di audience: quindi questo quarto capitolo da grande schermo era un banco di prova per capire se la produzione avrebbe svilito il franchise a semplice roboante videogame sparatutto finchè gli incassi l’avessero giustificato, oppure avrebbe rilanciato portando la trama verso nuove sfide.
Vista l’anteprima stampa (in inglese senza sottotitoli, che comporterà una seconda visione - esce il 5 giugno - per mettere a fuoco i dialoghi con maggior precisione), possiamo comunque dire che la storia evolve eccome, e pure in direzioni originali: non solo superando la contrapposizione Schwarzenegger-robot cattivo ma affrontando temi ambiziosi e filosoficamente interessanti.
Infatti, il concept di Terminator si gioca sul filo del paradosso temporale di un’azione che si svolge nel passato (il nostro presente) per consentire al futuro (da cui il plot prende le mosse) di manifestarsi come i protagonisti lo conoscono: quello di una Resistenza capeggiata da John Connor, in grado di contrastare la minaccia delle macchine e di Skynet all’esistenza stessa del genere umano.
Dato che il capitolo 3 si concludeva appunto con l’olocausto detto Judgement Day scatenato da queste ultime, il nuovo film non poteva che svolgersi nel futuro seguìto alla catastrofe. Eccoci dunque nel livido 2018 postnucleare, abbagliante e decolorato magistralmente dalla fotografia di Shane Hurlbut, che ha trattato vecchie pellicole Kodak con lunghe esposizioni alla luce, aggiunte d’argento e successivi interventi digitali sul girato per rendere i colori ‘corrotti’ di un’atmosfera mutata e degradata dalla guerra nucleare.
La collocazione postapocalittica della trama ci riporta così in un fantastico scenario dark da ‘civiltà collassata’: deserti desolati, metropoli ridotte a distese di ruderi, ferrigne catacombe industriali e torvi hangar da topi braccati come fortini della Resistenza. Un mondo dagli echi familiari di Mad Max, Fuga da NY, con un quartier generale della Resistenza che ricorda la Zion di Matrix (e che dire di quei cyborg acquatici che ricordano tanto le sentinelle-medusa dei Watchowsky?).
Però non di sole citazioni storiche vive l’imagerie del film: nelle scene d’azione ci sono i movimenti di macchina repentini e sobbalzanti da cardiopalma cui ci hanno ormai abituati i recenti Cloverfield o il (bellissimo) Hurt Locker di Kathryn Bigelow. E c’è spazio anche per una gustosa citazione del film d’esordio, nel combattimento finale ambientato nella fonderia in cui vengono prodotti i Terminator (foto qui a destra).
Ma la vera rivoluzione del film è narrativa: sta nell’introduzione il personaggio di Marcus Wright (Sam Worthington), un ibrido mezzo umano-mezzo cyborg che collabora (fra molti sospetti) con la causa della Resistenza portando con sé il dna cinematografico di Robocop e i quesiti filosofici ‘alti’ dei replicanti bladerunneriani (“Che cos’è l’umanità?”).
Con l’ardita scelta narrativa di rendere il suo aiuto indispensabile per il successo della missione (e alla fine della vita stessa) dell’eroe-Connor (l’ottimo Christian Bale) – mentre risulta ottusamente cinico il vice-comandante “umano” (Michael Ironside) – Terminator Salvation compie il definitivo ribaltamento di prospettiva rispetto alle sue premesse originarie. Non esiste più un conflitto “biologico” fra vita/intelligenza “umana” (=“buona”) contro intelligenza “artificiale” (=“cattiva”) dei cyborg (fin qui apertamente nemici, se non riprogrammati al bene dagli umani): è il libero arbitrio di scegliere da che parte stare che definisce l’”umano” (nella foto a lato un confronto fra i due protagonisti).
…QUESTA E’ UNA INTERFERENZA. QUESTA RECENSIONE E’ FALSA. INTERROMPETE…
…Tra l’altro, i fatto che la trasformazione dell’uomo-Marcus in cyborg sia ignota a lui stesso, che la scoprirà dolorosamente a film inoltrato, dona a questo personaggio una profondità dickiana, come in fondo dickiano è anche tutto questo rimbalzare fra futuro, passato e presente come fossero dimensioni parallele autonome, solo occasionalmente intersecanti (nel futuro Connor ascolta ancora le vecchie registrazioni della voce della madre su magnetofono!). E nel 2018 ritroviamo persino Kyle Reese, che in futuro (cioè nel primo Terminator) sarà il soldato maturo inviato da Connor a proteggere sua madre Sarah e poi a generare lui stesso. Fa girare la testa? Chiamate il dr Dick…
COMUNICAZIONE UFFICIALE DA CRITIC CENTRAL: CI SCUSIAMO CON I LETTORI PER LE SCORRETTEZZE QUI PUBBLICATE PER ERRORE.
…Christian Bale… molto bravo come Connor… i dubbi… un personaggio ancora “umanamente” insicuro sulla propria leadership…
LA DIREZIONE GARANTISCE CHE DA ORA IN POI SARANNO SEVERAMENTE RISPETTATI I NORMALI CRITERI DI CRITICA CINEMATOGRAFICA.
No, non ancora, non abbiamo finito: ascoltate la Resistenza!
Erano già circolate voci sull’esistenza di finali alternativi, anche molto nichilisti, per questo film (vedi QUI). Quello che abbiamo visto ora…
IL FILM QUI TRATTATO E’ SOLO UN CHIASSOSO PRODOTTO DI CONSUMO SENZA SENSO PER RAGAZZI IN CERCA DI EMOZIONI FORTI.
…Dobbiamo rivederlo un’altra volta…
LO SPETTATORE IN CERCA DI VERI SIGNIFICATI E’ CONSIGLIATO DI RIVOLGERSI ALLE OPERE DI WOODY ALLEN, NANNI MORETTI, WIM WENDERS, PEDRO ALMODOVAR…
“Se state ascoltando questo messaggio, siete la Resistenza”