"Uh, giochi per la mente e per il corpo
Anche tu se di giorno non lo sei
Di notte assomigli a lui
Doctor Jekyll & Mr. Hyde"
(Ivan Graziani, Doctor Jekyll and Mr. Hyde)
Giunto oltre i tre quarti del romanzo di Alasdair Gray (1992, ed. Safarà, a sinistra la copertina riproducente la locandina del film che vedete a destra!), ho visto finalmente l'attesissima versione cinematografica diretta dall'enfant terrible Yorgos Lanthimos con la bravissima Emma Stone (che con 11 candidature si batterà per l'Oscar contro Oppenheimer): molto anticipato da gran battage mediatico, dal Leone d'oro a Venezia e definito "miglior film dell'anno" nella recensione di Nocturno di ottobre '23 (Lorenzo del Porto), l'opus magnum (141 minuti!) del greco, produzione anglo americana distribuita da noi dalla Disney si basa sulla sceneggiatura di Tony McNamara, che per Lanthimos aveva già scritto La Favorita (sempre con la Stone).
Giustamente definito "esperienza cinematografica che inizialmente stordisce lo spettatore" (sempre del Porto) per la psichedelica visionarietà, in effetti il film può vantare di non stancarti un attimo in quelle due ore e venti di ottovolante tra incipit in b/n con riprese fish-eye della casa di Dafoe/Godwin Baxter (eclettico pure lui) e mondo esterno ripreso in colori ipersaturi, come un'immensa "fabbrica di cioccolato" cosmica in cui l'ingenua Bella "neonata" si aggira avida di scoprire il mondo cui è appena rinata vedendolo - e facendolo vedere a noi - come una continua soggettiva dell'infantile stupore della protagonista per tutto ciò che vede/tocca/assaggia.
Infatti, probabilmente né Londra né Parigi, né tantomeno la Lisbona steampunk attraversata da futuristiche ovovie, né l'immaginaria Alessandria d'Egitto da Mille e una Notte, su cui pure si sbarca tramite una bizzarra teleferica, ricostruite in Ungheria (e immaginiamo con molta CGI), neppure in epoca vittoriana assomigliavano lontanamente al luna park ultrapop allestito dal direttore della fotografia Robbie Ryan (che afferma d'essersi basato sul Dracula di Coppola), con le barocche, strabilianti scenografie di Shona Heath e James Price (sotto a destra un totale del laboratorio frankesteiniano di Godwin/Dafoe con Bella a terra), giustamente paragonato alle visioni più ardite di un Terry Gilliam: ciò che noi vediamo è appunto la meraviglia bambina di Bella davanti a tutto ciò che scopre.
Fin qui il rutilante comparto visivo (già da Oscar in sé), sostenuto dalle musiche di Jerskin Fendrix, bizzarramente orchestrali ma opera del compositore rock inglese (tra Nick Cave e Black Midi). Ora torniamo al versante narrativo: McNamara e Lanthimos si sono distaccati molto liberamente dalla lettera del romanzo, pur rispettandone sostanzialmente lo spirito: intanto Godwin nel libro è uno studente di medicina circa coetaneo di McCandless (Ramy Youssef), quindi sono entrambi grossomodo coetanei della venticinquenne Bella "rigenerata" grazie al cervello ancora vivo del feto che portava in grembo quando si è suicidata; mentre Willem Dafoe è un quasi settantenne, assai più anziano del McCandless che alla fine sposerà Bella, oltre che profondamente sfigurato dal make up, volto a visualizzare gli orrendi esperimenti medici praticati dal padre "mad doctor" su di lui bambino, che infine l'han reso il "simil-Frankenstein" le cui scoperte gli hanno appunto consentito di sconfiggere la morte della bella suicida, prodromo della vicenda.
Vicenda che - prevedibilmente - salta a pie' pari la cornice metaletteraria del libro, che avrebbe inutilmente appesantito la pellicola, e che invece ci fa sentire il romanzo di Gray un "cugino precursore del nostro Hyde in Time, per la scelta di presentarsi l'autore come semplice "curatore" della pubblicazione dell'autobiografico Povere Creature! di Archibald McCandless, in seguito distrutto proprio ad opera di sua moglie (un po' come il primo manoscritto di Jekyll e Hyde, no?), che lo scrittore scozzese (Gray) paragona a Confessioni di un peccatore eletto di James Hogg, che di Stevenson fu fonte proprio per la novella del dr. Jekyll (e ora sta nutrendo il concept album che Steve Sylvester va scrivendo sull'intero ciclo narrativo del doppio malvagio, sentite un primo demo nel booktrailer qui sotto).
Bene, sgombrato il campo dagli "interessi privati in atti d'ufficio", torniamo al film: che dal romanzo si discosta alquanto anche nei personaggi: ad esempio, gli incontri sul piroscafo; il Dr. Hooker, robusto ex missionario americano a suo modo religioso e il cinico commerciante inglese Mr Astley, con cui Bella nel libro affronta raffinate disquisizioni filosofiche sull'etica, l'ingiustizia sociale, il colonialismo e altre comode ipocrisie con cui l'Occidente capitalista da sempre maschera i propri istinti predatorî sul resto del pianeta, nel film diventano Harry Astley un nero - Jerrod Carmichael, benché sempre cinico - che a fine '800 ben difficilmente si sarebbe incontrato su un piroscafo turistico di lusso, una scelta registica al sottoscritto oscura. Hooker invece diventa l'anziana Marta (Hanna Schygulla), con cui Bella scambia folgoranti, buffe rivelazioni sul declino in tarda età del desiderio sessuale, che invece in lei avvampa e riempie delle sue ingenue, scurrili quanto furiose e quindi ancor più scostumate performance buona parte del film, più che nel libro, dove sono più alluse che narrate in dettaglio (coerentemente con la cornice di romanzo d'epoca vittoriana).
Anche la parte del bordello parigino è ampliata tramite numerosi siparietti con gli squallidi clienti, vengono arricchiti il rapporto con la maitresse (Kathryn Hunter) e anche l'amicizia con la collega Toinette (Suzy Bemba), la prostituta che dischiude a Bella le promesse di giustizia sociale del socialismo; la breve parentesi lesbica fra Bella e la nera impegnata appare un evidente omaggio all'epoca del gender fluid e della parità razziale, pur nel rigoglio erotico della nuova vita della protagonista. Che, essendo sempre ingenua come una bambina, anche se intellettualmente sempre più evoluta e consapevole, garantisce al film numerosissimi momenti spassosi e grotteschi: con il povero Duncan (Mark Ruffalo, il più fedele al corrispettivo letterario, anch'egli candidato all'Oscar come non protagonista), con i frequentatori del bordello e anche nelle conversazioni senza freni di Bella nei contesti salottieri meno indicati (comicissimo quello sul "tenere in bocca qualcosa che fa schifo" al ristorante!).
Al termine di tanta odissea nell'ipocrisia umana - ché questo è in fondo il senso del cammino d'apprendimento della protagonista - risulta invece un po' concluso velocemente l'ultimo banco di prova col precedente marito generale, propenso a "curare" la pericolosa "erotomane" con una circoncisione chirurgica di tipo islamico (nel libro scopriamo che lui aveva già questo piano prima della sparizione della consorte e che questo doveva essere il motivo del suicidio). Ovviamente qui non vi riveleremo il colpo di scena finale, che nel film è una punizione per contrappasso assai più ingegnosa e "horror" che nel libro, che direi coerente coll'immaginario macabro e spietato del Lanthimos di Lobster.
Il romanzo (riccamente illustrato come il nostro, qui da disegni dello scrittore stesso, un esempio a sinistra) invece impiega altre 70 pagine per arrivare alla conclusione, più altre 45 circa di note a cura di Alasdair Gray, da cui apprendiamo il resto della vita di Bella/Victoria dopo la morte del marito McCandless, presunto autore del libro, e la versione di lei sulle sue origini, che genialmente smentisce tutto quanto abbiamo letto sin lì, soprattutto l'aspetto fantastico e frankensteiniano delle sue origini come un cumulo di scempiaggini inventato dal marito.
Cosa sarà vero? Ai posteri... certo che il ruolo di "candida peccatrice di "Bella (evocato anche dalla canzone di Ivan Graziani citata in apertura) sarebbe probabilmente piaciuto al citato James Hogg, oltre a far di lei l'ideale "lupa gemella" cercata da Hyde in Mary Reilly nel mio romanzo (e chissà cosa accadrebbe se i due s'incontrassero in un folle sequel?).
Al netto delle differenze libro-film, Povere Creature! è sicuramente un opus magnum che o entusiasma o stordisce chi non sia pronto ad accettare la sua visionarietà spregiudicata e il suo grottesco sopra le righe, un po' come Beau ha paura di Aster o Madre di Aronofsky. E, come loro, visione obbligatoria per chi invece pretenda che il cinema - finché continuerà ad esistere ed essere proiettato nelle apposite sale - rappresenti una "visione" che ci spinge un passo più in là del nostro misero quotidiano.
Mario G.