“Il fiore dell’illusione produce il frutto della realtà”. Questa frase di Paul Claudel è il motto sotto cui il Teatro Litta racchiude la stagione 2014/15. La citazione, specie accostata all’immagine del gabbiano (un po’ “Jonathan Livingstone”) che vedete in apertura, potrebbe parere sdolcinata e trarre in inganno. Però, a farci drizzare le antenne, ci pensa la prima nuova produzione del Litta, diretta da Antonio Syxty: “Sogno (ma forse no)”, atto unico di Pirandello del 1929, che il regista stesso definisce “un David Lynch anticipato di 70 anni” (locandina tarantiniana qui a destra).
“Il Sogno è un testo difficile dal punto di vista teatrale: contiene più didascalie dell’autore che dialoghi veri e propri fra i personaggi in scena”, spiega il regista. “Per questo si prestava a una messinscena più performativa, che stiamo costruendo in scena” (le prove iniziano il 2 ottobre ). “Gli attori avranno delle movenze… appunto, oniriche: dei gesti ripetuti macchinalmente, ma che non arrivano mai ad un compimento e restano come in sospeso, talvolta interagendo con le immagini proiettate sugli schermi in scena, tratte dai film di Maya Deren” (come At Land, che vedete QUI, anche se con musiche non attinenti, NdA).
“Non a caso – continua Syxty – omaggeremo Lynch utilizzando anche delle sue canzoni nella colonna sonora dello spettacolo, accanto a canzonette degli anni ’30 e… beh, vedrete”.
L’esca sembra messa apposta per vellicare noi lynchiani incalliti, ma no… non può mica averlo fatto solo per noi! Allora andiamo a sintonizzarci cosa si vedrà sugli altri “schermi” della stagione del Litta. E... zapp, scopriamo che: “i personaggi non hanno un nome ma un numero, sono numeri da decifrare, non parlano mai di loro stessi… esistono in astratto” (“Frammenti di contemporaneità (meno emergenze)” di Martin Crimp, foto a sinistra).
Altro zapp e… “la scena è una stanza della memoria, claustrofobica e senza via d’uscita. Le azioni si susseguono al ritmo ossessivo del ricordo, si confondono e si mischiano” (“Amleto" di Corrado d’Elia).
E ancora zapp! “Ma è un uomo a volere tutto questo o l’immagine di un comics che appare e scompare, sovrapponendosi alla sua identità?” (“Gebrek – monologo interrotto in due parti” di Claudio Elli, vedi tavola qui a destra).
Perfino il mondo della Locandiera di Goldoni (altro zapp di Corrado d’Elia) è “di plastica, simbolo moderno dell’artificio, coloratissimo e smaccatamente finto” (come l’immagine di locandina molto pop qui sotto a sinistra).
Anche “Confidenze Troppo Intime” (altra regia di Syxrty) ci offre – zapp zapp – “un intreccio geometrico in cui i protagonisti nascondono qualcosa e riescono a fare emergere i sentimenti più veri solo attraverso errori e fraintendimenti”.
Persino il Titanic non è più una tragedia certa: perché nel “Soliloquio marittimo per 2.201 personaggi e 3.177 cucchiaini” diretto da Renato Sarti “Giovanni racconta la sua storia, e poco importa che questa sia vera o solo un sogno ad occhi aperti… un sogno annegato tra le onde del destino e allegoria del nostro mondo vicino all’affondamento”.
Chiude il cerchio lo stesso condirettore artistico del Litta, che nel corso della stagione dirigerà anche un “Gabbiano” di Cechov (di cui vedete qui a destra la stuzzicante locandina): “anche questo testo ci presenta una sorta di doppio schermo, che separa ciò che i personaggi vivono e ciò che potrebbe essere, o che loro agognano che avvenga”.
A questo punto capite perché non si poteva non scambiare quattro chiacchiere col Syxty, per capire più a fondo da dove scaturisce questo affondo nei multipli regni dell’onirico e dell’illusorio. Il teatro sulle tracce di Inception?
“In realtà, non siamo partiti da un disegno preciso, programmatico”, spiega lui: “semplicemente, componendo la stagione sono emerse queste linee che tu hai notato, e il tema-guida si è andato definendo quasi spontaneamente…”.
Ma questo dipende dal fatto che certi temi sono nell’aria in un determinato momento, quindi le antenne degli artisti in programma li hanno intercettati indipendentemente l’uno dall’altro?
“Sicuramente. Questa ‘virtualità’, che tu avevi giustamente definito 'processo di sparizione della realtà' nel tuo articolo su Visioni di Solaris, è una condizione della contemporaneità: una proliferazione di cortine mediatiche ci illude di fare, scegliere, agire un mondo che in realtà ci agisce senza che ce ne accorgiamo, senza che possiamo ‘svegliarci’”.
La comunicazione massmediale si genera da sé, come in Videodrome?
“Ma certo, o come in Cosmopolis, ormai questa non è più fantascienza, è il nostro quotidiano! Tu vedi un tg e t’illudi che i servizi attingano dalla realtà, che ce la raccontino. Ma, da conoscitore dei meccanismi della comunicazione e del giornalismo, sai benissimo che invece non è così, che ormai è la realtà che si plasma sui media, come diceva già Noam Chomsky con le sue dieci strategie della manipolazione”.
Un bel caos... da incubo.
“Sì, un caos in cui ci gettiamo da noi stessi proprio mentre cerchiamo di mettere in ordine nelle nostre vite. E in questa situazione, il teatro – macchina della virtualità per eccellenza ben prima della tv o dei social network – ci offre una ‘macchina delle illusioni’ in cui sciacquare in qualche modo i nostri panni. Rispecchiandoci per come ci siamo ridotti e facendoci magari riflettere un istante nella foschia azzurrognola in cui galleggiamo”.
La stagione 2014/15 del Litta avrà inizio ufficialmente il 16 ottobre con “La Coscienza di Zeno spiegata al popolo” di Paolo Rossi, ma trovate già tutti i dettagli utili QUI.
Mario G