“Never trust a man in a blue trench coat
Never drive a car when you're dead”
(Tom Waits*)
Una volta ho letto su una rivista musicale che stava stilando i ricorrenti “dieci imperdibili dei ‘70”, a proposito di London Calling dei Clash che “non se ne fanno più di dischi così, anche se la speranza di essere smentiti è la molla che ci spinge a continuare a comprarne” (cito a memoria ma il senso era quello). Quella massima mi ha accompagnato per una lunga carriera di compratore di dischi tuttora in corso. Poi anche di dvd, quindi di libri e anche di fumetti.
Com’è naturale che accada, le emozioni fortissime delle prime scoperte fatte tra i 15 e i 20 anni (che siano David Bowie, David Cronenberg o Milan Kundera) diventano sempre più difficili da rinnovare, man mano che si diventa ascoltatori, spettatori, lettori più evoluti e approfonditi. Quando poi si decide di fare il grande salto e diventare autori (nel mio caso di narrativa), si diventa un po’ dei “lettori professionisti”: ti senti in dovere di essere minimamente aggiornato sulla “scena”, poi non puoi non aver letto Bradbury, o Ellroy, o Scerbanenco, Sturgeon o chi volete voi. Poi un giorno (come a Fantozzi) vi tarla “un leggerissimo sospetto”: ma adesso sarà sempre tutto solo “molto interessante”? E quella carica per cui, iniziato un libro, ti chiudevi in bagno pur di andare avanti à bout de souffle? È morta per sempre, coll’ingenuità del lettore?
Lunga premessa per dire che In morte di una cicala di Maria Silvia Avanzato (Fazi, 2015, copertina in apertura, primo piano dell'autrice qui a destra) è proprio uno di quei libri che temevi di non incontrare più e che, una volta iniziati, scavalcano altre letture in corso non lasciandosi più mollare fino alla fine. Trattasi di noir ambientato in uno sperduto paesino dell’Appennino fuori Bologna (dov’è nata l’autrice), preclaro esempio di quel “gotico padano” (atmosfere cupe e fangose, terre in cui piove sempre) teorizzato da Pupi Avati all’epoca del suo indimenticato La casa dalle finestre che ridono del ’76 (cui fa riferimento il titolo del nostro articolo e l’immagine sotto a sinistra), spietato anche quando solare nei colori e nondimeno così raramente praticato, sia dal cinema che dalla letteratura italiani avidi solo di commedia, pur essendo lo Stivale tutt’altro che parco di terribili leggende ed orrori rurali, un po’ ad ogni latitudine.
Una ragazza va a stare in quest’orribile paesino e si mette a cercare l’ex compagna di liceo, scappata di casa e poi misteriosamente sparita. Ma non si può raccontare quasi nulla della trama senza rischiare di rovinarvi il gusto d’infangarvici da soli, sorpresa dopo sorpresa, perché lo sapete: in quei paesini “dove non succede mai niente” in realtà… In realtà, alla fine sarebbe solo una banale storiaccia di ragazzotti di campagna, sbandati e invischiati in giri tossici pericolosi, roba da dieci righe in cronaca nera sul giornale locale.
Ma si sa, non è tanto quel che si racconta – gli sceneggiatori hollywoodiani dicono che tutta la narrativa mondiale si può ricondurre a una dozzina di canovacci base – ma come lo si racconta. Ed è qui che la Avanzato spara le sue cartucce più letali: attraverso la scelta del narratore interno (ossia un punto di vista partecipe della vicenda e non superiore ed onnisciente); strategia moderna e, direi, ormai consustanziale al genere, perché facilita lo svelamento progressivo della trama attraverso ciò che il personaggio stesso va scoprendo e la crescita della suspense, peraltro utilizzata in alcuni dei noir che più mi hanno avvinto negli ultimi anni: dal geniale, psicanalitico Specchio delle mie brame di Stanley Ellin (del ’72), ai più recenti e noti La psichiatra di Wulf Dorn (copertina a destra) e Questa volta tocca a te di Arlidge.
Ma la Avanzato va oltre, moltiplicando il narratore interno addirittura per tre: non siamo al sofisticato minuetto pirandelliano dei molteplici punti di vista de Lo Scherzo del già citato Kundera, qui ogni narratore esce definitivamente di scena quando il relativo personaggio narrante fa una brutta fine. Ma l’indagine – e con essa la narrazione stessa – verrà portata avanti dall’ultima persona incontrata dal narratore precedente, fino allo svelamento finale attraverso gli occhi – e le parole infantili – di un bambino di circa sei anni.
Raffinata e poetica nelle descrizioni dello squallido, per nulla elegiaco ambiente rurale, la poco più che trentenne autrice bolognese è anche sottilmente, femminilmente empatica con i suoi vividi personaggi: con l’inquieta Azzurra (che pur afferma di detestare) come anche con quelli maschili o con le pericolosissime anziane megere del paesello, dedite a vecchi quanto letali merletti d’inestricabili relazioni e atavici odî. Senza però che la raffinatezza stilistica tolga un’oncia della fangosa implacabilità del meccanismo narrativo.
Scoperta per caso in una delle serate Giovedì Mistero al Baluba di Milano, presentate da Andrea G. Pinketts (foto a sinistra) e Andrea C. Cappi, la Avanzato con la sua Cicala mi ha spinto a pensare “ma come le è venuta quell’idea lì?” e subito dopo a meditare di ispirarmici per il racconto fanta che a mia volta sto scrivendo ora. Il che, tornando a quando si compie il pericoloso passo di diventare autori, lungi dai sogni di gloria e ricchezza (cui ormai può credere solo chi non ha mai scritto un rigo), credo che questo sia in fondo l’obiettivo cui tutti noi puntiamo. Incontrare un giorno una persona che ti dica “bello il tuo Xx, mi ha ispirato a sviluppare il mio…”.
Quindi, mentre covate il vostro noi, fangosa lettura a voi tutti del nuovo… London Calling del noir nostrano. O meglio, data l’ambientazione, direi Rain Dogs!
Mario G
(*) versi da Telephone call from Istambul di Tom Waits (Rain Dogs, 1983)