«Il Ragno inarcò il sopracciglio. Dunque era tutto vero. Quella donna era realmente precipitata nell’abisso.
Allora non è una storia inventata dall’amico di Alessia. Allora... «Ehi, ragazzi...» Dietro di lui non c’era nessuno.
Ovvio, l’avevano superato mentre si era fermato a fotografare gli insetti. Afferrò i due sacchi, quello con la digitale e l’altro con le corde, e si lasciò scivolare nel cunicolo. Fece parecchi metri nella roccia, senza incontrare nessuno. Non poteva credere che gli altri fossero andati così avanti, compreso quel Luca che non aveva mai messo piede in una grotta. Strisciò ancora per un po’ in una strettoia ripida, quasi verticale, finché non gli venne il sospetto di avere sbagliato strada. Eppure c’era un unico meandro che conduceva in quella direzione, o almeno così gli sembrava.
Non ci vuole nulla a perdersi in grotta. Un po’ di distrazione e di sfortuna e il gioco è fatto. Decise di tornare sui suoi passi, cercare un altro cunicolo. Tese l’orecchio. Silenzio. Non sentiva neppure lo scorrere del ruscello né il ticchettio lento delle gocce sul calcare.
Era ora di battere in ritirata. Gettò in avanti i sacchi e tentò di girarsi, per quanto la strettoia glielo consentisse. Era bassa e scoscesa, una fenditura piatta che tagliava la roccia contro la gravità. Scendere era stato piuttosto facile, risalirla non lo sarebbe stato altrettanto. Il Ragno lottò contro la pietra che gli premeva lo stomaco e il petto, contro gli spigoli che gli graffiavano il viso, gli tagliavano i guanti. Non si scoraggiò. Ne aveva viste di ben peggiori. Ormai era questione di metri e sarebbe stato fuori dalla strettoia. Poi udì il suono. Veniva da sotto, sotto i suoi piedi, giù, nella voragine del budello. L’entomologo si arrestò e tese l’orecchio. Qualcuno stava grattando la pietra. Ripetutamente. Eppure gli altri non erano là, non doveva esserci nessuno là, soffocato dalla fessura che spaccava la roccia. Non doveva esserci nessuno. Eppure il Ragno continuava a sentire grattare. Decise che non si sarebbe guardato indietro. Sarebbe uscito dalla strettoia senza voltarsi, poi forse ne avrebbe parlato agli altri: "Ragazzi, tutto okay. A parte uno strano rumore sulla roccia. Come se qualcuno grattasse con delle... delle..."
Unghie. Cristo.
Alessia e Nicola gli avrebbero riso in faccia. L’avrebbero preso per pazzo.
Era quasi fuori. Si issò sulle braccia e buttò la testa fuori dal buco. Ecco di nuovo il torrente e il meandro che portava al laghetto. Forse gli altri erano passati di là. Si catapultò fuori dal buco, ma uno dei due sacchi gli scivolò di mano. Quello con dentro la digitale. Cadde qualche metro più in giù, finché non si bloccò nella strettoia.
Proprio ora che era fuori. Proprio ora che non voleva voltarsi indietro. Imprecò. Schiacciò la pancia contro il bordo e infilò la mano nella fessura, tentando di afferrare il sacco con la digitale. Niente da fare: era perfettamente bloccato tra due pietre sporgenti. Si tolse il casco per far entrare meglio la testa e arrivare più in basso. Mentre lo posava sull’orlo si staccò il tubo e la fiamma si spense.
Buio.
Buio totale. E roccia ovunque che lo stringeva, pareti grondanti fango attaccate al suo viso. Il Ragno brancolò nell’oscurità alla ricerca del casco per riattaccare il tubo. Non lo trovò. Eppure l’aveva posato alla sua destra, a pochi centimetri dall’apertura. Mio Dio fa’ che riesca ad accendere la fiamma. Fa’ che riesca ad accenderla Signore ti prego.
Intanto le unghie avevano ripreso a grattare, lentamente, poi sempre più veloce: Unghie affondate nel fango. Ora il rumore era diverso: stavano grattando contro il sacco. Il suo sacco. Le sentiva contro la stoffa impermeabile. Al diavolo il casco, prima avrebbe recuperato la sua macchina con le preziose foto scattate agli insetti. Si spinse più in avanti e si protese nel buio, fiducioso che in quella posizione ce l’avrebbe fatta. Poi qualcosa lo afferrò per il braccio e lo tirò con violenza dentro la spaccatura».
Quello che avete appena letto è un corposo estratto de L'abisso di Dora, con le sue 76 pagine il più lungo degli 11 racconti che compongono Il Re dei Topi, l'antologia che - anche grazie all'augusto assist di Joe R. Lansdale, che la definì "scrittrice di storie lucide e taglienti" - ha lanciato di Cristiana Astori nell'arena del thriller italico. Uscita originariamente nel 2006 per Alacràn (a lato la copertina dell'epoca, in apertura l'attuale), trovate la raccolta ora ristampata (sia nel simpatico formato pocket cartaceo che in ebook) da Cordero nella collana M curata da Andrea Carlo Cappi, con prefazione di Claudia Salvatori (altra pregevole giallista italiana su cui bisognerà tornare).
Oggi la Astori ha conquistato un suo pubblico con la fortunata "trilogia dei colori" (Tutto Quel Nero/Rosso/Blu), uscita per il Giallo Mondadori e incentrata sulla studentessa Susanna, che in ogni episodio si trova al centro di delitti in qualche modo collegati a qualche pellicola "maledetta" del cinema di genere: rispettivamente, Un dia en Lisboa di Jess Franco, Profondo Rosso (sapete di chi?!) e il perduto Maldoror di Cavallone, di cui la timida e narcolettica giovine va a caccia con l'aiuto dello scafato e 'hard boiled' cacciatore di pellicole rare Steve Salvatori.
Personalmente non sono fra i fan più accesi della trilogia dei colori: simpatica (e magnetica per noi cinefili) ma secondo me sconta un po' di cliché nei personaggi (non saprei dire se perché concepiti già in un'ottica "seriale"). La studentessa si caccia sempre in cineguai, ma quando ci si trova trema, balbetta e crolla come la Bella Addormentata. Il cinebullo bulleggia perennemente un passo avanti a tutto, cinico e saputo, armato quando serve, un Clint Eastwood del collezionismo di celluloide.
Invece nei racconti di Cristiana, ancorché precedenti, ho trovato personaggi a mio parere meglio scolpiti, con autentica introspezione femminile, ma non solo nel cesellare credibili dark lady cui donare cuore (e sangue), misteriose "fatine" che ti fan danzare nei boschi per 50 anni senza che tu te ne accorga, ma anche semplici studentesse innamorate del fidanzato ma rose da una gelosia... disperatamente malsana. Ma anche, per esempio proprio ne L'abisso di Dora che avete appena assaggiato, credibili figure maschili, anche alquanto diverse fra loro e tutte legate intorno all'amicizia con una trascinante appassionata quanto malcapitata speleologa (il racconto è un po' un The Descent by Astori).
Ma il vero colpo da maestro, secondo me, è proprio il racconto che dà titolo all'antologia (tratto dalla canzone Sally di De André, citata in epigrafe): una tremenda (benché in sole 10 pagine) storia di crudeltà domestica, con una bambina rinchiusa nell'armadio per le isteriche punizioni di una madre snaturata, ubriacona e sfatta. Ma, siccome in qualche modo le colpe dei padri (e delle madri, certo) ricadono sempre sui figli... quello che poteva apparire un buon mélo familiare-onirico si ribalta con un twist veramente inatteso, che ne fa uno dei racconti brevi più originali e affilati che io abbia letto di recente.
Ultimo pregio della raccolta, la varietà: di trame, temi, protagonisti, ambientazioni e lunghezze; possiamo esser grati a Cristiana di non ripetere lo stesso canovaccio, solo con qualche variante da un racconto all'altro. Anche questo rende piacevole scoprire le sue storie (e non sempre accade).
Sicché... buona discesa nella sua "cecità illuminata", come dice la Salvatori nella prefazione.
Mario G