Spesso mi chiedo a che serve fare un film e se proprio uno decida di fare un film che genere di film si debba fare. Ma si sa che aggrapparsi alla dottrina estetica è una buona scusa per scrittori in crisi. I fratelli Coen, beh loro no, loro fanno, altro che crisi. Si possono scambiare per autori di genere ma non lo sono. I loro film sembrano noir, forse western ma sono pamphlet, un pò sul cinema o meglio sul senso del fare cinema, un pò sul senso del mondo.
Film metalinguistici che quasi si sottraggono alla cultura americana così didascalica e referenzialista. Insomma sembrano proprio europei, come se fosse wim wenders con più senso dell'umorismo e senza bono vox che gli scriva le sceneggiature. Insomma il Wenders di un tempo, studente colto e brillante del cinema.
Ripartiamo. A che serve fare un film? Invece che rispondere direttamente meglio esporre i nostri dubbi e le nostre convinzioni su cosa è un film, il senso ultimo verrà magari a fine carriera. Ed è la scelta migliore che abbiano fatto questi fratelli Coen. Da bravi artigiani prendono i loro personaggi, li costruiscono, li cesellano, li dipingono, li inseriscono in un contesto.
Perfetti burattinai. Perfettamente pinocchieschi i loro personaggi snocciolano avventure e ti fanno pensare e riflettere su qualcos'altro.
Pinocchio non vuole crescere, ma nemmeno lo spettatore che a lui si aggrappa e mente e vuole che la finzione non finisca mai.
Mi hanno chiesto: ma qual è la trama di "Non è un paese per vecchi?" sulle prime ho risposto che un tizio ritrovando una valigietta con due milioni di dollari crede di poter risolvere la sua vita, ma la incasina in maniera definitiva. Certo avrei anche potuto dire più elegantemente che si tratta di un film sull'irreversibilità delle scelte o della crisi della società americana. Poi invece mi sono riavuto ed ho detto: "beh si tratta della storia dell'angelo della morte e di come va in giro sulla terra a riscuotere".
Questo sì che rende le cose più interessanti.
Va bene i Coen non sono gli unici grandi registi americani.
Gridatemi pure che ci sono tanti maestri laggiù, e che hollywood non ha soffocato il cinema autoriale, infatti esiste ancora.
Ma la mia sensazione è che sia nascosto e negato in America. Perchè laggiù hanno davvero paura dell'arte e la premiano solo quando la scambiano per qualcos'altro cioè un evento pop con incassi consistenti.
Ma torniamo al film, inutile dirvi subito che è tutta una metafora della condizione umana. Volete pinocchio? Eccolo: è come voi. Guardatelo, si fa i fatti suoi, buono, fischietta ed è solo, va a caccia là fuori e ops, scopre i resti di un conflitto a fuoco tra spacciatori di droga. Due jeep sforacchiate e tanti cadaveri, tutti morti, una strage. Tra i corpi droga e soldi sono lì. Lui no, la droga non la prede, ma i soldi... perchè no?
Eccola la bugia, ciò che ci rende umani!
Ecco che il nostro burattino comincia a fremere di "umano", un colpo di fortuna, due milioni di dollari. Allora il personaggio sembra vivo di colpo, la magia della narrazione inizia, il film comincia.
Che farà mai un burattino che non vuole crescere? che non ha imparato la lezione? che dice le bugie anche se sa perfettamente che non deve e che tanto è tutto inutile, crescere è necessario? Scappa.
Così comincia la splendida fuga, lenta e angosciosa da noir che si rispetti, con qualche accelerazione che ci fa tremare che tutto sia finito.
Proprio come le nostre misere vite, piene di progetti senza senso. Ma dovevamo proprio rubare due milioni di dollari e ficcarci nei guai? Dovevamo proprio fare un film? La ricchezza o l'arte fermerà davvero la morte? La morale fermerà la morte? Sembra proprio di no e questa affermazione dei fratelli Coen, di come il loro burattino angelo della morte arrivi e uccida tutti, beh è in bilico tra la realtà e il sogno.
Sì perchè loro non lo sanno davvero se lui c'è e nemmeno il nostro protagonista che ne avverte la presenza ma non riesce mai a vederlo in faccia.
Ma i fratelli Coen la sua faccia la vedono benissimo così scelgono come angelo Javier Bardiem che ha qualcosa di grottesco e mostruoso nei capelli e nelle geometrie aspre del viso, antagonista dello yankee in fuga, l'americano Josh Brolin, abituato a fare i conti con una vita difficile da solo e molto americano. Ma non è la vita dell'america, parlano delle nostre vite.
L'hanno definito un western mitologico, ma io preferirei un diverso conio, quello di noir filosofico che adotta il western come stilema, ma definizioni a parte dentro "non è un paese per vecchi" c'è puro cinema. Guardate le panoramiche iniziali asciutte e secche sul deserto, i campi lunghi, il mix di visioni in bilico tra frank capra, lynch, kubrik, ma meglio non esagerare con le citazioni e ricordare che la fotografia è di Roger Deakins. Llewelyn Moss, questo è il nome dello yankee reduce del vietnam interpretato da Brolin, che fugge, è in gamba scaltro e se c'è uno che può farcela è lui.
L'angelo della morte non è l'unico ad inseguirlo, ci sono altri commedianti, personaggi minori che i Coen curano sempre in maniera maniacale. Il killer professionista rivale o l'oscuro mandante e vari altri narcotrafficanti. Tutti svolgono perfettamente il loro ruolo che è quello di farci ironizzare sulla vicenda e di chiarire la natura mitologica e concettuale dei protagonisti, anzi dei tetragonisti. Sì perchè oltre all'angelo della morte e allo yankee in fuga c'è Bell, al secolo Tommy Lee Jones con il suo cappello da poliziotto. Forte, incorruttibile, ma sta per andare in pensione. Lui è uno di quelli che rischiano la vita solo perchè hanno fatto una promessa. Grazie a questo personaggio geniale, all'anima occulta e nascosta degli autori che la riflessione sulla vita, la morte, il cinema, decolla.
Sono gli occhi smarriti, tristi, di Tommy Lee alla ricerca di un senso alla fine del mondo, al perchè del cambiamento, alla velocità impressa alla vita dalla modernità, che testimoniano come la nostra coscienza lentamente affoghi e prefiguri di riabbracciare il padre.
Cosa vi posso dire? L'angelo della morte è maledettamente bravo a scovarvi e se non vi trova lui sarà qualcos'altro a farlo, ma lui salda sempre i conti.
Giusto per chiarire: non potete ammazzarlo, non potete ammazzare la morte; non è una favoletta questa, ecco perchè Anton si rialza dopo il suo tremendo incidente e visibilmente noncurante dell'inconveniente si rimette in cammino solo dopo aver cambiato la camicia.
Anton Chigurh, questo il suo nome. Non è il diavolo e nemmeno un pazzo.
Sulla pazzia il film riflette molto. La pazzia di chi? Della modernità? Del serial killer? Dei narcotrafficanti? Della morte? Della vita? Della febbre dei soldi? Il nostro Chigurh (a proposito non so l'esatta origine del nome ma in inglese suona come un mix tra sugar e gun) segue una sua logica ben precisa, per questo uso la mefatora dell'angelo della morte. La parola angelo fa pensare a qualcosa di molto morale, questo personaggio invece è profondamente amorale, è una forza cieca, devastante inarrestabile, non rispetta le nostre regole segue solo le sue leggi interne.
Imperdibile e gustosa la scena della monetina, la scelta tra testa o croce di come questa riflessione tra causalità e casualità ancora è intatta, nonostante gli sforzi recenti di molte dottrine.
L'unica cosa stonata del film sono gli Oscar. Ma vi invito a riflettere su come il cinema autoriale debba nascondersi e sembrare qualcos'altro per sopravvivere in america. Tim Burton lo scambiano per uno "cartonaro" e lo tollerano, figurarsi. D'altra parte se i distributori/produttori si fossero accorti che "Fratello dove sei" era un'odissea all'americana non lo avrebbero nemmeno messo nelle sale.
Invece la figura dello sceriffo e del serial killer fa sembrare che si tratti di un film saponetta come gli altri. Ma non è un film sull'essere un serial killer.
Bisogna guardarlo per rendersi conto che non è così.
Che non sia un film commerciale, questo è chiaro, ma non è nemmeno-un film sulla middle-america pur prendendo un libro che fa sembrare il tutto un'analisi sociologica della decomposizione americana. Tutt'altro è un film mitologico e universale. Capite il gusto dei Coen di rileggere un libro "con il callo" conservatore? Spesso letteratura e cinema stanno su piani diversi, ennesima prova che il cinema non è letteratura filmata.
Un film Hegeliano? Sartriano? Alla Camus? Vabbè se l'avete visto rivedetelo o schiodatevi da posthuman.it e andate al cinema.
A proposito, fatemi un favore non lo chiamate "western" o "thriller". E' un film dei fratelli Coen, chiaro?
Guardatevi alle spalle, Chigurh è là fuori.
Titolo originale: No country for old men
Nazione: Stati Uniti
Anno: 2007
Durata: 122'
Regia:Ethan Coen, Joel Coen
Cast: Javier Bardem, Josh Blaylock, Rodger Boyce, Josh Brolin, Garret Dillahunt, Beth Grant, Woody Harrelson, Tommy Lee Jones, Josh Meyer, Kelly Macdonald, Barry Corbin
Produzione: Paramount Classics, Paramount Vantage, Miramax Films, Scott Rudin Productions
Distribuzione: UIP