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Perché si guarda un film dell’orrore?
Per farsi spaventare, risposta ovvia. O almeno per accettare la sfida.
Da adolescenti, spesso si vuole sfidare la paura e dimostrare a sé e al mondo di non esser più bambini e di non temere il babau.
Poi, ci spiegano, per esorcizzare le paure del presente, come i popoli antichi facevano bruciando il fantoccio della strega per scacciare il male. Infatti, nei momenti storici (come l’attuale) in cui si diffondono crisi, sfiducia e paura per il futuro, l’horror va a gonfie vele.
Infine, il cinefilo ‘pulp’ guarda l’horror con occhio ‘tarantiniano’: scova i rimandi, gli omaggi, si gode le citazioni, le strizzatine d’occhio, smaschera le piatte copiature. Segue l’evoluzione del genere, le contaminazioni o gli spiazzamenti.
Ma così non va a farsi benedire la pura emozione? Spesso sì. Infatti, a chi segue il genere, alla lunga capita sempre più raramente di chiudersi gli occhi con le mani.
Se questa è la funzione primordiale del cinema dell’orrore, “Martyrs” di Pascal Laugier è l’unico vero horror che io possa dire d’aver visto da anni a questa parte: una raffica di mazzate allo spettatore in costante crescendo emotivo, sempre più micidiali, crudeltà oltre il sopportabile congegnate in un meccanismo infallibile e orchestrate in maniera molto originale senza alcuna concessione ai cliché.
Un’ora e mezza senza tregua. Ma non è tutto. Non basterebbe.
Come sempre, la crudeltà risulta intollerabile non quando e tanta (e qui non si scherza, come suggeriscono le foto), se no nessuno competerebbe con gli splatter giapponesi, però grotteschi. È l’essere inserita in un tessuto drammaturgico in cui non possiamo non immedesimarci che ci fa sentir male come se le mazzate le stessero dando a noi (obiettivo dichiarato di Laugier) e non su un set.
Qui sta il punto: il regista ha realizzato una delle più tragiche, angoscianti e disperate discese nell’inferno del Male umano, della crudeltà che l’homo sapiens sapiens riesce ad infliggere scientemente, gratuitamente, per piacere o per distorti fini pseudoscientifici, antropologici etc. al suo simile.
Nel film è la ricerca del martirio come esperienza dell’aldilà raggiunto ‘da vivi’, ma il discorso varrebbe altrettanto se si trattasse di eugenetica, razzismo o politica. Non a caso, la misteriosa “signora dei martìri” mostra alla malcapitata vittima una serie di foto storiche di persone passate appunto attraverso l’esperienza del martirio per le cause più diverse, dal campo di concentramento all’incidente fortuito, dalla malattia alle percosse domestiche.
Foto che a me hanno ricordato i documentari sui lager posti significativamente in apertura di “The Addiction” di Abel Ferrara come epitome del Male Assoluto che percorre la storia umana. Ma è stato un attimo, il film non ti lascia tempo di abbandonarti a citazioni e confronti.
Nondimeno, queste ambizioni ‘alte’ lo staccano nettamente dal gusto exploitation dei torture porn alla “Hostel” – cui somiglia solo superficialmente per le scene di tortura a vittime inermi in un antro delle atrocità senza limiti – facendolo accostare se mai (non vi sembri una bestemmia) a un moderno “Salò” di Pasolini, meno politico e più mistico-antropologico.
Per tornare all’emozione pura, il sottoscritto (che pure nel genere non s’è fatto mancar nulla in questi generosi anni) è uscito dal cinema totalmente schiacciato dall’angoscia: incapace di scrivere, di guardare altro (avevo appena iniziato in dvd il più furbetto ma convenzionale “Frontière(s)” del connazionale Xavier Gens), anche solo di mettere a fuoco i propri pensieri. Infatti, a parte rilevare che il film è fatto molto bene, con immagini sporche e malate, lunghi piani sequenza e inquadrature sempre strette addosso ai volti e ai corpi martoriati delle (bravissime) protagoniste, non mi sento in condizione di commentare approfonditamente gli elementi tecnici della regia.
Il pensare che il caso di cronaca del padre austriaco che ha segregato la figlia nel sottoscala per 20 anni rende l’incubo di Laugier meno ‘di fantasia’ di quanto vorremmo, ha forse contribuito a farmi deambulare a vuoto per Milano una mezz’ora dopo la proiezione, con la mente in subbuglio.
Il dubbio mi è rimasto addosso: scrivere una recensione? Positiva o negativa? Si può definire “Martyrs”, per quanto lucidamente condotto, ‘un bel film’?
Il regista, in un’intervista a Horrormagazine.it, afferma d’aver passato momenti duri e di “aver avuto spesso l’impressione di proporre un film pornografico”. Ora capisco quel che intendeva. Come capisco l’altra sua affermazione, che il film abbia anche “una sua necessità e una sua nobiltà”. {mosimage}
Eppure, mi sono chiesto, questo tirar fuori “l’orrore contemporaneo, che amoreggia con la tentazione del nulla” (sempre Laugier) avrà un valore catartico? Oppure – come suggeriva la coppietta di decerebrati che ridevano uscendo davanti a me, con un silos di pop corn alto come loro – stiamo solo spingendo un passo più in là la soglia del mostrabile nello spettacolo? In una parola, stiamo appunto facendo solo del “torture porn”?
Non son certo d’avere in pugno la risposta giusta. Come non so se questo film potrà avere un vero successo commerciale né, soprattutto, se in coscienza augurarmi che ciò accada, al di là dell’indubbia qualità del prodotto in sé.
Molti i dubbi, lo so: l’ultimo è se consigliare o meno di vedere “Martyrs” a voi che leggete queste righe. Che dire, per me è stata una delle esperienze più intense e strazianti vissute al cinema da molti anni. Se mi seguirete, fatelo a ragion veduta e non in momenti di depressione o debolezza personale.
E… “lasciate ogni speranza o voi che entrate”.
Mario