Quando ho messo su il cd sono stato colto da un momento di this-appunto, come direbbero loro: noo, siamo già alla copia dei Massimo Volume? Il paragone con un gruppo italiano che ho ascoltato negli ormai lontani anni ’90, non apprezzato e quindi ignorato di lì in avanti, mi veniva in relazione ai testi (in italiano anche qui, ovviamente), declamati più che cantati, quasi in forma di piccoli monologhi teatrali, con i quali peraltro la band calabrese afferma di “accompagnare sempre i propri live musicali”. Qui mi scuso subito se il paragone suona superficiale, ma (mea culpa) la mia frequentazione coi Massimo Volume terminò con l’ascolto (durante la visione del film) delle musiche per l’ottimo Almost Blue di Infascelli, quindi mi son perso le loro successive collaborazioni con Manuel Agnelli, Cristina Donà, il grande Steve Piccolo (ex Lounge Lizards), la recente reunion e così via. Forse mi son perso qualcosa di buono, ma la vita è tutta qui per colmare le lacune che ci siamo lasciati in ascolti/visioni/letture, no?
Però, come direbbero i Dissidio, “non è questo il punto” (espressione di cui abusano nell’ostentato nonsense delle loro note-non biografiche, fornite a chi s’illudesse di raccapezzarsi con un press kit sugli orizzonti dei mattacchioni calabresi). Perché qui ci occupiamo del loro album Thisorientamento (in cui il nonsense invece lo trovo arguto), e non dei Massimo Volume. E ce ne occupiamo perché l’esperienza del primo ascolto ci ha, mi ha convinto a farlo: perché, mentre il disco andava, la mia mente – che aveva già bollato l’operazione come di scarso interesse – via via registrava invece frasi acute, intelligenti, sarcastiche sull’assurdità del vivere contemporaneo: «Tu dovresti vestire perbene, Tu dovresti parlare normale, Tu dovresti morire prima ancora di fiatare» (Uniforme-Mente), o «Sorridi, sei in vetrina» (Vetrinaspecchio), «Oggi mi sento proprio bene, potrei addirittura provare a vivere/crescere» (Ha Ha Ha, nulla a che vedere cogli Ultravox!), «Viviamo in piccoli momenti di dimenticanza, mentre l’inizio si allontana e la fine avanza» (Saturday Night Dead, idem).
Si potrebbe continuare ancora per un bel po’, perché i testi dei Dissidio sono una miniera di piccole gemme surreali e acuminate sulla banalità che governa le nostre azioni e modi di dire quotidiani. Ma poi arriva il dittico-clou sui rapporti lui-lei: L’amore è un lavoro strano (narrata proprio alla Massimo Volume), in cui lui s’illude di essere notato dalla bella, che invece vuole solo ordinare le consumazioni a lui, cameriere; seguita dal vertice di Pezzo di sfiga: titolo apparentemente banalotto per quello che invece per me è il vertice dell’album, un violento hardcore scandito dal geniale, appiccicoso scioglilingua «Non ci provare con la figa perché la figa sta col figo tu non sei figo ma sfigato non sarai mai il suo fidanzato». E quando un autore riesce a ricombinare le frasi, i modi di dire elementari del quotidiano, componendo un flash spietato e indelebile di come da sempre funzionano le relazioni fra noi sfigati sapiens, beh, ha fatto quello per cui esiste la pop song, no? In pratica siamo in “zona Manuel Agnelli” (l’autore che ha fatto di più per una forma di pop rock song in italiano, ribadiamolo) anche senza ripassar dai Massimo Volume.
Che poi tanto pop non è, musicalmente parlando (ah, sì, i Dissidio fan canzoni, non solo testi, anche se forse direbbero che “non è questo il punto”): piuttosto, potrebbe trattarsi di… dei Devo di Mongoloid, suonati dalla Rollins Band o dai Jesus Lizard. Ma forse… neanche questo è il punto, visto che il gruppo dice di sé “la nostra musica è nostra, sinceramente non sentiamo nessun preciso canone d’appartenenza, alla domanda “che genere fate?” non abbiamo mai saputo rispondere in maniera adeguata, potremmo dirvi che le nostre liriche e il nostro sound sono indubbiamente rock, ma oltre questo solo voi potete capirlo”. Però mente per il gusto (facile) di giocare a nascondino, perché la matrice hardcore evoluto/nu metal intellettuale è un “canone” perfettamente individuabile, a parte il (troppo) breve squarcio onirico di 9, nono titolo del disco, composto ed eseguito da quella spiritosona di Lili Refrain, le cui ammalianti risacche vocali tornano ad arricchire Se si sa si sa, sai? (un bel saggio d’isteria che suffraga il parallelo Devo-Rollins).
Al di fuori di questa piacevole, spiazzante collaborazione (all’origine, il motivo per cui avevo cercato di sentire l’album), la meno articolata (e appesantita da erre moscia) voce di Michelangelo Mercuri (torrido chitarrista, ma come cantante ben lungi dai gorgheggi di un… Mercury!) la fa da padrone, spalleggiata da quella del bassista Valentino De Vito e dalla poderosa batteria di Francesco Procopio. E ottiene il curioso record personale di prima recensione della vita del sottoscritto in cui si parla prima dei testi che della musica. Un vanto? Un demerito? A voi l’ardua, io posso dire che alla fine mi ricredo: il debutto dei Dissidio vale decisamente l’ascolto: se potenzieranno ulteriormente la loro vena surreale e isterica (anche musicalmente, con quei rapidi cambi di tempo dal riflessivo al turbolento di Saturday Night Dead) potremmo trovarci davvero di fronte a dei pregiatissimi “spaghetti-Devo”, e non solo agli ennesimi “mugugnoni hardcore da centro sociale”. Le carte ci sono già tutte nel loro mazzo.
Mario G
P.S.: da Thisorientamento verranno tratti 12 videoclip, uno per ogni traccia dell’album, tutti firmati dalla regia di Mario Vitale della Bunker Film. I video verranno pubblicati il giorno 13 di ogni mese, partendo da Febbraio per finire a Gennaio 2016, sul canale Youtube e sulla pagina Facebook della band. QUI un assaggio fino ad ora.