La croce sulle labbra è il primo frutto della collaborazione fra Danilo Arona (di cui sul sito avete già letto più volte) ed Edoardo Rosati, giornalista medico-scientifico e scrittore di medical thriller: uscito su Segretissimo Mondadori nel 2008 (copertina sotto) e ora ristampato da Edizioni Anordest in versione ampliata e aggiornata al 2013 (cover in apertura, pgg 255, € 12,90), precede dunque Protocollo Stonehenge (che invece trovate come ebook della Mezzotints, cover e autori qui sotto a destra), un classico Arona soprannaturale, in cui il fantasma killer femminile Melissa, torna a vendicarsi su sconosciuti viandanti autostradali del proprio tragico destino percorrendo impervi canali di entanglement ("intreccio") materia-energia in fisica quantistica esteso ai processi biologici e soprattutto psichici.
Ipotesi folgorante (anche se a prima vista può apparire impervia) in grado di connettere quelle manifestazioni che storicamente abbiamo definito “occulte” (come appunto l’apparizione di fantasmi o altre “comunicazioni con l’aldilà”) non tanto con l’ignoranza e superstizione cui dall’epoca dei Lumi sono associate, quanto con fenomeni fisici razionali, ancorché di frontiera (in narrativa una miscela horror + s/f).
Nulla di tutto ciò in La croce sulle labbra (di cui qui a sinistra vedete la cover della prima edizione): definito “medical thriller” nel risvolto di copertina, il romanzo non ha – badate – granché a che vedere coi delitti in corsia o l’indagine su casi di malasanità alla Robin Cook (Coma Profondo), se non che i protagonisti della storia (come in Protocollo Stonehenge) sono un terzetto di medici, “entangled” – oltre che dalla lotta alla mortale minaccia che muove la trama – da un piccante triangolo passionale (simpatico, ma che forse rallenta un po’ il ritmo della parte centrale del libro).
Qui infatti l’aspetto “medical”, cui senz’altro Rosati ha infuso le proprie reali conoscenze scientifiche nelle descrizioni di virus, proteine mutate e vari micro killer biologici, ha a che fare con un classico plot fanta-epidemiologico. Se volessimo cercare dei referenti cinematografici (peraltro mai come qui assenti dal testo), ci troveremmo in una sorta d’incrocio fraVirus Letale o La città verrà distrutta all’alba con Il serpente e l’arcobaleno.
E qui sta l’aspetto “100% Arona guaranteed” della trama, che parte negli assolati scenari dell’isola antillana di Guana (area in cui si svolgeva già il capolavoro Palo Mayombe), dove minacciose ricerche biologiche si fondono appunto con il lato oscuro dei culti sincretici centramericani per lanciare una maledizione epidemica contro il mondo opulento dei “bianchi”, attraverso una falange di bioterroristi kamikaze, fanatizzati dal culto del tenebroso Exù, primordiale, crudele dio alato degli incroci.
Punto di forza da sempre della narrativa di Arona è quello di collegare reali (o, come in questo caso, plausibilissimi) fatti di cronaca a teorie scientifiche di frontiera (come si diceva sopra) attraverso i “contagiosi” fili del fantastico. Qui pericolosamente seducente è l’ipotesi di una “vendetta virale” vibrata dagli esponenti del mondo degli oppressi su quello degli oppressori che riporti la nostra ordinata società opulenta al terrore ancestrale delle pestilenze.
Meno chiaro, diciamolo, risulta invece il coagulante socio antropologico: perché un potente cartello di narcotrafficanti – generalmente intenzionati ad arricchirsi vendendo lo sballo prodotto nelle terre povere alle metropoli ricche – dovrebbe finanziare ricerche finalizzate a seminare nella nostra società il mefitico Armageddon, che inevitabilmente ne minerebbe i lucrosi affari? E perché questa rivolta del Terzo Mondo dei paradisi fiscali inattingibili ai residenti dovrebbe puntare per la biblica punizione non sull’odiata (e più vicina geograficamente) mecca del capitalismo “gringo”, bensì su una sfigata metropoli mediterranea come Milano (nel 2013 assai poco “da bere”), dove appunto si svolge il grosso della trama?
Prima Milano, poi il mondo? Probabile, ma questo il romanzo di Arona-Rosati non lo chiarisce esplicitamente. Certo è che la mappa dei luoghi meneghini, vie, palazzi, parchi in cui si svolge la vicenda di fiction (Rosati è milanese, presumo che abbia contribuito anche sul versante geografico) è estremamente realistica: ce la vediamo quasi come in un film, come forse non sarebbe stato facile fare ambientando il contagio a Los Angeles o New Orleans.
L’altra cosa che non troverete nel libro è l’aspetto “meta”: come si diceva, non ci sono esplicite citazioni cinematografiche (a differenza di Io Sono Le Voci, che ne è intessuto), né musicali (come in Rock e nello stesso Palo Mayombe), a parte un radio d.j. notturno che – prima di scoprire la strage in corso intorno a sé – ha mandato in onda Santana, né metaletterarie (il Male dalla scrittura, come nell’Estate di Montebuio).
Ciò su cui invece anche stavolta potrete contare, nella lineare scrittura aroniana di fenomeni complessi ed esoterici, è la capacità di sbozzare caratteri umani credibili, con cui il lettore empatizza subito: dai protagonisti fino ai personaggi più marginali, le vittime, quelli che entrano in scena solo per finire falciati dalla minaccia che anima la storia. Di ognuno di loro apprendiamo se sono guardie giurate, studentesse o professionisti/e rampanti/e, se sono innamorati o in crisi col coniuge, se sono appena usciti da un concerto in un centro sociale o odiano i negri. E questa componente lavora nel nostro subconscio di lettori, anche se poi razionalmente noi ci limitiamo a pesare gli ingredienti che più ci interessano nel libro (quanto horror, quanto thriller, quanto fanta...). Se i personaggi non sono vivi, anche un impianto fatto su misura per noi non lievita.
Invece io non mi sono emozionato, quindi me ne son chiesto il perché. La risposta che mi sono dato è proprio la bidimensionalità dei personaggi, tutti letali femme fatale assassine o sadici torturatori fumettistici. Ma nessun essere umano che ci interessi davvero se scampa o crepa. E ammetto che ciò mi ha dato da pensare anche su quel che io stesso scrivo…
Ma, tornando al tandem Arona & Rosati, ciò che infine non potrà non “contagiarvi” nel nuovo “La croce sulle labbra 2013” sono le scene d’azione: il romanzo ha (quasi sempre) un buon ritmo, addirittura pulsante nella fase iniziale come anche poi procedendo verso l’epilogo, si beve d’un fiato e la sparatoria finale all’aeroporto di Orio al Serio è fra le più efficaci messe su carta dall’Alessandrino finora, nulla da invidiare a un action thriller made in USA.
Ciò in cui invece l’Arona non è “ammeregano” è il (rituale) finale aperto: il Male è nell’aria, sconfiggerlo in una battaglia non potrà mai debellarlo definitivamente.
Del resto, anche se – come vi abbiamo detto – qui non abbondano le spiegazioni di fisica quantistica, rileggiamo un attimo un passo del citato Protocollo Stonehenge: “Ogni pezzo di realtà si porta dietro il suo micro carico di leggi quantistiche, e la conseguenza è una specie di virus che infetta la materia”.
Ma allora…
Veloce ed energico, meno concettoso di Montebuio o Malapunta, se non siete dei lettori aroniani di lunga data, La croce sulle labbra è senz'altro un buon titolo per iniziare il trip e... vaccinarsi.
Mario G