Eccoci, come promesso, ai “Posthuman Oscar”, scelti per voi fra i film distribuiti in Italia nel 2012 dalle firme che hanno animato le recensioni cinematografiche del sito, ossia Marco Marchetti (anche collaboratore di Nocturno) e Davide Stanzione (redattore di Point Blank e Settima Arte), insieme ovviamente al sottoscritto.
Una selezione che, come quelle su narrativa e fumetto che l’hanno da poco preceduta nelle riletture riassuntive della proposta culturale dell’annata, non ha pretesa di completezza né di obiettività, ma solo di esprimere liberamente il parere delle firme coinvolte e – speriamo – risultare utili per il lettore che vorrà cercarsi qualche film magari difficili, mal distribuiti o persi in sala.
Apriamo subito le danze con…
La top 10 (a ritroso) di Davide Stanzione
10. “Argo” – Ben Affleck si conferma regista sopraffino e di robustissima solidità formale. Adrenalinico, incalzante, avvincente. Affleck è ormai autore vero, senza se e senza ma.
9. “Bella Addormentata” – Bellocchio è (ancora) uno dei più grandi autori europei per l’abilità come sempre spaventosa di creare un tessuto di immagini straordinario e di saper scrutare come pochi l’abisso morale dei suoi personaggi.
8. “Cosmopolis” – Il film più cerebrale e astratto di Cronenberg, la vampirizzazione definitiva del suo cinema che segna il distacco ma paradossalmente anche l’unica possibile ri-affermazione odierna della sua celeberrima nuova carne.
7. “Io e te” – I corpi dei ragazzi di Bertolucci, pasoliniani e politici nel senso più alto del termine, rifiutano l’esterno e si rifugiano in polverosi scantinati in cui le emozioni esplodono selvagge e incontrollate.
6. “Paradise Faith” – Ulrich Seidl e le sue unghiate stilizzate e corrosive a ogni forma di superstizione, alla stupidità di costrizioni quotidiane che mortificano l’uomo e le sue azione. Un film spiazzante e alienante, molto più che banalmente anticlericale.
5. “Beast of the Southern Wild” – di Benh Zeitlin. La sorpresa dell’anno sa farsi ode struggente e controcanto poetico al delirio straziante di una natura in disarmo.
4. “Moonrise Kingdom” – di Wes Anderson, una storia d’amore che ha tutta la dolorosa, sfuggente magia del tempo che ci siamo lasciati alle spalle e che avremmo voluto non perdere. Lì ad urlarci che la bellezza nella sua forma più squarciante, ora come allora, risiede sempre nell’atipicità non conformata. La chiave per la felicità è la disobbedienza in sé, cantavano gli Afterhours.
3. “Amour” & “The Master” (ex-aequo) – Da un lato la carezza disturbante del più sadico degli autori contemporanei alla fragilissima vecchiaia di un amore giovanissimo, talmente vitale da potersi negare, uscir di scena e (forse?) risorgere. E dall’altro l’orchestrazione magniloquente di un regista sublime nell’accezione romantica e cerebrale come il bisturi di un trattato psicanalitico.
2. “Tabu” – L’anno delle limousine, ma anche delle bestie misteriose e inusuali, preziose e rarissime. Film sperimentale, piccolissimo, miracoloso, per rendere giustizia anzitutto alla sua componente di assoluta vaghezza, e ricerca. Sulle immagini, per le immagini.
1. “Holy Motors” – Carax risorge celebrando il canto del cigno definitivo di un cinema-meccanismo di ferocia teorica e visiva assolutamente squassante.
Delusione dell’anno: “To the Wonder”. Un film che sembra girato dal fratello monco di Malick o da un Malick inebetito, alle prese con l’autoparodia di sé stesso. La luminosità celestiale di “The tree of life” rovesciata in un suo bieco contraltare melenso, stucchevole, enfatico. Un tonfo sonorissimo, una ferita aperta.
E fateceli vedere: “Shell”, vincitore dell’ultimo Torino Film Festival. Perché io per primo, che a Torino purtroppo non c’ero, voglio vederlo. “No”, perché è un film di Pablo Larraìn. E tanto basta. “Take this Waltz”, perché Michelle Williams è come sempre di una bravura sorprendente. “Post Tenebras Lux”. Carlos Reygadas: puro, perverso piacere della regia. “Spring Breakers”. Profezie da una galassia avant-pop, cialtrona ma non così lontana. “Twixt”, Francis Ford Coppola e il cinema che abbiamo amato e che non c’è più, in versione bignami.
E ora…
La top 10 di Marco Marchetti
1. “C'era una volta in Anatolia” di Nuri Bilge Ceylan. Un film sulla morte che parla della vita, un film sulla vita che parla della morte. Un film su ciò che siamo.
2. “Oltre le colline” di Cristian Mungiu. Il vincitore in pectore dell'ultimo Cannes, scalzato dal pur valido Haneke. Elegante perché non giudica, doloroso perché insegna a dubitare.
3. “Silent Souls” di Aleksei Fedorchenko. Un viaggio “eracliteo” negli imperscrutabili cicli dell'esistenza.
4. “Il sospetto” di Thomas Vinterberg. Una spietata riflessione sulle colpe dell'anima, quelle che non si dimenticano nel tempo e che nessuna sentenza potrà mai cancellare.
5. “I colori della passione” di Lech Majewski. La genesi di un capolavoro dell'arte, diretta con “pittorica” maestria e impalpabile grazia di modi.
6. “Monsieur Lazhar” di Philippe Falardeau. Un dramma intenso, una storia di colpa e riscatto che non rinuncia a subitanei momenti di gioia.
7. “Cena tra amici” di Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte. Chi non ama le commedie francesi non è degno di sedere alla mia mensa, né a bere né a mangiare e nemmeno a bersi il caffè.
8. “Killer Joe” di William Friedkin (foto sotto). Leccare polli è una primizia, non lo sapevate?
9. “Amour” di Michael Haneke. Una riflessione struggente, dura ma necessaria sulla vecchiaia, la solitudine e la morte. Haneke solleva un argomento di cui nessuno, né al cinema né altrove, ha il coraggio di parlare.
10. “Prometheus” di Ridley Scott & “Another Earth” di Mike Cahill ex-aequo. Entrambe rare perle di fantascienza esistenzialista.
Menzione Speciale: “ACAB“ di Stefano Sollima ex-aequo con “Cesare deve morire“ (locandina sotto) di Paolo e Vittorio Taviani. La (timida) riscossa del cinema italiano.
Delusioni dell'anno: “Pietà“ di Kim Ki-Duk, a pari (de)merito con “Moonrise Kingdom“ di Wes Anderson, il primo perché è un cacciucco di volgarità travestite da filmetto di impegno politico, il secondo per la sua pacchiana, sgargiante e oltremodo altezzosa regia.
E Fateceli vedere: “Paradies: Liebe“ e “Paradies: Glaube“, perché Seidl è uno dei miei registi preferiti, perché ha rischiato la censura, perché ha vinto il Gran Premio della Giuria a Venezia, e infine perché nessuno si è accorto di tutto ciò che ho appena elencato.
E, per concludere…
La top 10 di Mario G
1. “Cosmopolis” – concordo con Davide, e con Antonio Syxty che lo definisce “il Blade Runner di adesso” (se ne riparlerà sul prossimo NeXT).
2. “Prometheus” – se n’è detto un gran male in giro, ma Scott è riuscito a infondere nuova profondità filosofica all’Alien saga dopo 30 anni.
3. “Another Earth“ – concordo con Marco (v. sopra)
4. “Killer Joe“ – quarto gran noir del Friedkin, cattivissimo (v. foto a sinistra), anche se mantengo delle perplessità sul finale grottesco.
5. “Chained“ – il thriller della Lynch figlia in dvd è la sorpresa in chiusura d’anno (e per questo guadagna la cover in apertura): spiazzante fino alla fine, disturbante anche senza il torture porn che t’aspetteresti all’inizio. Psicologie non banali e finale in levare.
6. “Cesare deve morire“ di Paolo e Vittorio Taviani – teatro e carcere, binomio per me inevitabile (ci ruota il romanzo in corso): regia originale senza sovrapporsi alla materia “sociologica” e notevoli interpretazioni.
7. “In Time“ – la fantascienza più action del Niccol non oscura un intelligente spunto sul capitalismo moderno, ideale pendant di Cosmopolis.
8. “Bed Time“ – il thriller psicologico non-horror del Balaguerò avvince anche senza secchiate di sangue e ci evita la chiusa edificante nel finale.
9. “I Bambini di Cold Rock“ – anche Laugiers sa mantenersi originale e far riflettere pur senza “martìri”.
10. “The Woman“ – distribuito quest’anno in italiano (in streaming su Film Senza Limiti) l’horror familiare di Lucky McKee completa il poker delle famiglie disfunzionali con la violenza che la Lynch tiene fuori campo e Laugiers pare aver abbandonato.
Delusioni dell’anno: “Paura 3D” dei Manetti, tamarro e sbracato, e “Quella Casa nel Bosco” di Goddard e Wheddon, pasticcio horror presuntuosetto e inutile.
E Fateceli vedere: l’Abel Ferrara evocato l’anno scorso rimane chimera, quest’anno aggiungerei almeno il “Masks” di Andreas Marschall visto al Fanta Festival di Roma, originale omaggio a Suspiria in cui l’orrore scaturisce dai metodi teatrali.
Tornate a trovarci presto per gli award musicali del 2012.