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Avete letto la prima parte? No? Recuperatela QUI.
Piaciuta? Ok, si continua.
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Noè iniziò a correre sul ponte, con le mani tra i capelli canuti.
- A destra, figlio degenerato! Vira a destra! - strillò.
Il giovane ruotò il timone, L'Arca scricchiolò come se stesse per spezzarsi, mugolò come un animale ferito e poi scivolò placidamente dove le acque erano più profonde, sfuggendo per un soffio alla distruzione. Subito dopo iniziò a oscillare lievemente e si riportò sulla rotta di prima, riacquistando velocità in modo autonomo.
- Alleluja, figli miei! – tuonò Noè, felice – Alleluja!
- Che hai da essere così felice? – domandò il gatto, irritato.
- Ma non capisci? – rise il vecchio, allegro – Questo è un segno che la promessa di Dio sta per essere mantenuta! Se il fondo è così basso vuol dire che le acque si stanno ritirando!
- O che navighiamo sopra la cima delle montagne... – azzardò il gatto a mezza voce. Noè non lo ascoltò, sembrava sprofondato nuovamente nel suo febbricitante delirio mistico.
- Figli miei, venite! – ruggì – dobbiamo pregare e ringraziare insieme il Signore nell'Alto dei Cieli!
Mentre si inginocchiava sul ponte a pregare con aria sognante, il gatto gli si avvicinò con un'aria perplessa dipinta sul muso. – Noè, ascoltami bene! – disse, per la prima volta con una certa urgenza – Quello che tu chiami “Signore” è uguale a me! E sì, sta “nell'alto dei cieli”, ma non come intendi tu! C'è una flotta di astronavi in orbita intorno al pianeta e presto...
- Sia lode a te, Signore Onnipotente! – gridò Noè, sollevando le braccia verso il cielo con espressione beata e ignorando il piccolo felino – Tua è la Gloria, tua è la Potenza! Sia fatta la tua volontà!
- Lode a te, o Signore! – fecero eco gli altri, che si stavano lentamente radunando intorno al loro vecchio capo.
Il gatto serrò le fauci e si allontanò, imprecando sommessamente tra sé. Poi si sedette all'ombra della murata di prua e osservò in silenzio il gruppo di uomini e donne che invocavano la benedizione di un autocrate alieno, genuflessi e con occhi sognanti.
- Mpf. – borbottò.
Dopo le preghiere gli uomini e le donne consumarono il pasto in grazia di Dio e fu solo alla fine che Noè si alzò in piedi e sollevò un pugno, con sguardo deciso.
- Figli miei! – declamò – Mie amate nuore! E' finalmente giunto il momento!
Il gatto trotterellò nella loro direzione e si sedette accanto a Jafet. - Mao. - disse, sommessamente. Quasi senza pensarci, il ragazzo afferrò un pezzo di carne secca e imboccò la creaturina.
- Il Signore ci ha benedetto. – continuò Noè – Sono certo che la terraferma sia vicina, perciò ho pensato ad una soluzione.
Gli altri si protesero verso di lui, quasi in estasi. Il gatto si strusciò contro la gamba della moglie di Sem, saltellò sul suo grembo e lì si accoccolò. Senza neppure accorgersene, la ragazza iniziò ad accarezzarlo e a coccolarlo.
- Manderemo un uccello a cercare la terra! – propose il vecchio – Se tornerà portandoci un segno navigheremo nella stessa direzione in cui è volato! – portò i pugni ai fianchi e scrutò la platea con aria trionfante – Che ne dite? Non è una trovata geniale?
Tutti esplosero in un applauso accorato, accompagnato da commenti lusinghieri riguardo l'acume del loro anziano ma energico leader.
- Ho una domanda. – fece il gatto, alzando una zampa e interrompendo per un secondo il rumoroso borbottio delle fusa.
- Sì? – fece Noè, schiarendosi nervosamente la voce. Non gli piaceva quel Gatto. Aveva un che di sinistro, e non era ancora del tutto sicuro che non si trattasse di un demonio, dopotutto.
- Perché invece non ci sediamo e non aspettiamo di arrivare a terra? – sbadigliò
– Voglio dire... ho notato solo io che pur non avendo vele questa specie di pachiderma si muove a velocità costante da giorni e sempre nella stessa direzione?
- In effetti... – mormorò Jafet, perplesso, grattandosi il mento barbuto. Gli altri si scambiarono occhiate confuse e vagamente timorose.
- Certo che lo abbiamo notato! – intervenne Noè con fervore – Sono gli angeli di Dio che ci spingono nella direzione giusta!
- Hai una spiegazione per tutto, vero? – sbottò il gatto, irritato – A casa mia si chiama navigazione satellitare. Datemi retta. Hanno installato in segreto un piccolo congegno che permette loro di portarvi fino a destinazione. Non serve mandare alcun uccello, a meno che non vogliate offrire loro la cena...
Noè torreggiò sopra il gatto e lo afferrò per la collottola, lo sollevò di fronte al proprio volto rugoso e lo fissò in cagnesco.
- Insomma, diavoletto! – ringhiò – Sono ore che continui a tediarmi con le tue bestemmie e le tue eresie senza senso! Perché insisti a volerti intromettere nel grandioso piano di Dio?
- Lo faccio per salvare quel tuo culo grinzoso, vecchio ingrato! – soffiò il gatto, perdendo la pazienza – Credi che mi faccia piacere? Ho rinunciato al mio posto nell'esercito per avvertirvi! Sono stato esiliato e ho perso il mio titolo nobiliare, tutto per tentare di risvegliare un po' di raziocinio nel vostro stupido cervello di scimmia! Ma voi no! No, no, c'è il Signore che ci protegge, il Signore che ci guida, bla, bla, bla!
Orripilato, Noè lasciò ricadere il gatto. Quello si arrotolò su sé stesso e piegò indietro le orecchie, agitando la coda come un flagello. – Non avete occhi per vedere? Non avete orecchie per ascoltare? Vi siete mai chiesti perché proprio un diluvio e non, che so, un terremoto? O un meteorite? – sibilò – Ve lo dico io! Perché noi gatti odiamo l'acqua. Un'alluvione di queste proporzione è il cataclisma peggiore che siamo riusciti a pensare! Una volta che sarà finito la civiltà pastorale che tanto aveva confidato su quegli odiosi cani sarà scomparsa del tutto e al suo posto i miei simili potranno costruire un dominio assoluto fondato sulla schiavitù. La vostra schiavitù!
Jafet e Cam erano sbiancati, Sem guardava suo padre, timoroso che potesse crollare al suolo per un colpo al cuore da un momento all'altro. Noè, paonazzo dalla rabbia, stringeva i pugni tremanti fino a farsi sbiancare le nocche. Il suo primo impulso era stato quello di afferrare il gatto e scagliarlo oltre la murata, giù nelle acque profonde, ma poi si era trattenuto. Il Signore era stato chiaro. Mai e poi mai avrebbe dovuto fare del male ad una creatura, sull'Arca.
- Noi non saremo mai schiavi di esseri meschini e senza Dio come te! Noi siamo il gregge del Signore! – tuonò Noè, sputacchiando.
- Ha senso. – lo rimbeccò il gatto, con disprezzo – Il pastore sfrutta il suo gregge per la lana, il latte e la carne. E le pecore si limitano a belare cose senza senso e a vivere nell'ignoranza!
- Come osi?
Jafet balzò in piedi a si frappose fra loro, cercando di calmare suo padre. – Su, su, non è il momento di mettersi a litigare, questo. Io... ehm... direi di procedere con il tuo piano, papà. Che ne dici? Prima troviamo terra e meglio è, non credete?
Noè si calmò poco a poco, poi chiuse gli occhi e recuperò parte di quel regale aplomb da patriarca che ben si confà a personaggi in grado di udire la voce di Dio.
- Non mi piace che tu lo difenda, figlio mio, ma... – disse infine, scoccando un'occhiataccia al gatto – … credo che tu abbia ragione, in fondo. Portatemi un corvo, orsù!
Gli altri si guardarono perplessi. – Perché un corvo, padre? - domandò Sem – E' nero e di cattivo auspicio...
- Sì – convenne Noè – Ma è un predatore forte e robusto, e poi è brutto come il peccato, se si dovesse perdere non ne faremmo un dramma.
La moglie di Cam tornò dalla stiva con un grosso corvaccio nero che si dimenava come un pazzo. Noè lo prese dalle sue mani e lo lanciò nell'aria.
- Vola, messaggero di Dio! – gridò – Portaci un segno della terraferma!
Il corvo svolazzò un po' sopra le loro teste, poi si allontanò dietro l'Arca e sparì alla vista. Lo attesero per due giorni, ma non lo videro tornare. In realtà il corvo aveva fatto il nido all'insaputa di tutti in una fessura della chiglia, a poppa. Un comportamento piuttosto logico da parte di un uccello terrestre liberato di punto in bianco in mare aperto.
Non vedendolo tornare, Noè si decise a ripiegare sulla benaugurale colomba bianca.
- Ti prego, colombella! – le sussurrò all'orecchio – Almeno tu non mi tradire come quell'infausto corvaccio! Va' e portami qualcosa!
E la colomba partì, sotto lo sguardo enigmatico del gatto, che la osservò andar via dalla prora dell'Arca, verso l'orizzonte arrossato.
Dietro di lui sopraggiunse Jafet, vagamente timoroso. Teneva per mano sua moglie e si guardava costantemente intorno, per paura che sopraggiungesse suo padre.
- Ehm... perdonami Gatto.
- Non chiamarmi in quel modo. Sono un pessimo Gatto, perciò chiamami... Gattaccio. – fece quello, piatto.
- Ehm... d'accordo... Gattaccio. Possiamo farti una domanda?
- Solo se poi non pretenderete che vi dia la risposta che volete sentire. – concesse la creaturina, senza neppure voltarsi a guardarli.
Jafet scambiò un'occhiata d'intesa con la moglie. – Ecco... noi non capiamo le cose che dici e abbiamo paura. La fede di papà finora ci ha dato tutte le risposte e ci ha salvato da morte certa. A... anche solo pensare che l'Onnipotente non voglia il nostro bene mi fa sentire male, come se stessi facendo qualcosa di sbagliato. Come se stessi disonorando mio padre, capisci?
- E cosa vuoi esattamente da me? – domandò duramente il gatto, ancora furioso per il comportamento ottuso di Noè.
- Noi... noi vogliamo sapere la verità. – disse il ragazzo dopo un attimo di esitazione.
Il gatto smise di agitare la coda e si girò elegantemente per fissare entrambi. La luce del tramonto faceva brillare l'assito del ponte come fosse lastricato d'oro.
- La verità, dici?
- Sì. Papà ha una sua verità, noi vogliamo sentire la tua.
Il gatto lo osservò di sottecchi, incuriosito. – E quando l'avrete sentita che ne farete? – domandò.
- La useremo per costruire la nostra. La nostra verità. – rispose il giovane. Poi sospirò, incerto. – Noi non sappiamo chi tu sia, Gattaccio. Potresti essere un demonio, come dice papà, o un inviato di Dio. Oppure potresti essere... qualcos'altro. Però sembri conoscere fatti che noi ignoriamo e non ce la sentiamo di continuare a farlo come se niente fosse.
Il gatto li fissò in silenzio, a lungo, immobile come una statua di pietra.
- Abbiamo paura, Gattaccio! – aggiunse la moglie di Jafet, stringendo la mano del marito – Abbiamo paura perché non capiamo. Ho visto morire l'intera popolazione del mondo, sommersa dall'ira di Dio. Fino a ieri avevo fede nelle parole di mio suocero, credevo che l'Onnipotente avesse punito tutti loro per i peccati che avevano commesso, ma ora sento che c'è qualcosa che non va, qualcosa che mi spaventa... sono morti dei bambini! Tutti i bambini! Cosa potevano aver mai fatto di male?
- Anche se non la si vede la verità c'è. – sospirò il gatto – possiamo percepirla, come qualcosa che vediamo con la coda dell'occhio ma che ci sfugge sempre. Sappiamo che c'è e che a volte è spaventosa, così raccontiamo a noi stessi delle favole per rendere la verità meno orribile.
Jafet si guardò intorno, spaventato. Per quanto preoccupante potesse essere la verità, sembrava che suo padre costituisse ai suoi occhi una minaccia ben peggiore.
- Rilassati. – sbottò il gatto, sbadigliando – Il vecchio trombone ha detto che andava a controllare le bestie prima di cena.
- Scu... scusami. – balbettò lui – E' che... sai... ho udito papà parlare con Sem, prima. Dicevano che prima o poi finirai per traviare le nostre menti con le tue menzogne e che avrebbero dovuto prendere dei provvedimenti, come rinchiuderti da qualche parte finché non saremo arrivati a terra.
Il gatto strinse gli occhi, facendo fremere i baffi. – Ha detto così, eh?
- Beh, si. Almeno per quanto ho potuto udire. Non appena mi sono avvicinato hanno smesso di parlare, guardandomi in modo strano. Ho paura che non si fidino più di me, perché prima ti ho difeso.
- Quel vecchio fanatico malfidente... questo potrebbe rivelarsi un problema – borbottò il micio, nervoso.
Jafet sospirò, sconsolato. – Scusalo, Gattaccio. Mio padre è un po' intransigente, a volte.
Il gatto sgranò gli occhi, divertito. – Un po' intransigente? Curioso modo di sminuire la testardaggine di quel caprone! E io che ho messo in pericolo la mia vita per cercare di avvertirlo! Bah! - tossicchiò - Ma non c'è niente da fare, finché le bestie rimarranno tali troveranno sempre qualcuno che le chiuderà in un recinto e le prenderà a frustate. - sospirò, soffiando in modo curioso – E tu, Jafet? – chiese dopo un istante, fissandolo con i suoi strani occhi gialli – Tu e tua moglie siete bestie? O preferite l'oltraggioso brivido del pensiero autonomo?
- Pe... pensiero autonomo? – sembrava più una richiesta di chiarimento lessicale che una scelta vera e propria.
- Ottima risposta! – sorrise il gatto.
Poi iniziò a raccontar loro la verità, accorgendosi immediatamente che i due ragazzi non avevano i mezzi cognitivi e culturali per seguirlo nel suo ragionamento.
- Cosa significa astronavi? – domandò timidamente la moglie di Jafet, alzando una mano poco dopo l'inizio della spiegazione.
Il gatto si schiarì la voce. – Ehm... sono... diciamo... delle arche. Un po' come questa, ma navigano attraverso lo spazio.
- Spazio? – ripeté Jafet, confuso.
- Quello che c'è oltre il cielo.
- Vuoi dire il paradiso?
Il gatto sospirò, sconsolato. – non lo definirei esattamente così, ma... sì, il paradiso.
- Dunque sei davvero un emissario di Dio?
- Maledizione, no! – sbottò l'animaletto – Sono venuto per conto mio, non mi ha mandato nessuno! Perché dovete sempre pensare che mi abbia inviato una divinità o un demonio? La gente si sposta anche senza essere per forza “inviata”, sapete?
- Scusaci...
- Uff. Non importa. Dov'ero rimasto?
- Alle arche che navigano attraverso il paradiso.
- Ehm... sì. Io e il mio popolo siamo venuti qui per colonizzare questo pianeta.
- Colonizzare? – fece Jafet, sgranando gli occhi.
- Pianeta? – lo imitò sua moglie.
Il gatto socchiuse gli occhi e iniziò a frustare l'aria con la coda.
- Maledizione... sarebbe più facile cercare di spiegare la trigonometria ad una pietra. – borbottò – Allora, ve lo spiegherò in modo che possiate capire. Io e il popolo di diavoli a cui appartengo abbiamo provocato questo terribile diluvio e abbiamo fatto credere a tuo padre che fosse opera di Dio. E' chiaro fin qui?
I due ragazzi sbiancarono.
- Lo prenderò per un sì. La nostra razza ha bisogno di servi, perciò il nostro dittat... ehm, il nostro re, ha deciso di salvare solo una piccola porzione di uomini, in varie parti del mondo. Altri sono stati catturati con i nostri... ehm... poteri magici, portati sulle nostre arche e convinti a non considerarci come nemici ma come semplici animali da compagnia. Quando tutto questo sarà finito vi troverete uno dei miei simili in ogni casa e senza rendervene conto ci starete servendo come degli schiavi ubbidienti. Abbiamo già fatto lo stesso in decine di mondi della galassia e... uhm, no, questo non va bene. Non potete sapere cos'è una galassia. – borbottò tra sé, poi continuò con veemenza – Quello che è importante è che voi capiate che il mio popolo è vostro nemico! Vi renderà schiavi e vi terrà la mente ottenebrata dalla religione, dalle guerre e più avanti da cose peggiori, come il dibattito politico e l'intrattenimento di massa! E mentre sarete distratti da tutto questo ci sarà un paio di occhi gialli che sorveglia la schiena di ognuno di voi, dei vostri figli e dei figli dei vostri figli. Manipoleranno la vostra società, utilizzando le risorse di questo mondo per i loro fini e voi come manodopera a basso costo. E la cosa terribile è che non lo saprete! La raffinatezza del nostro metodo sta proprio in questo! Sarete convinti di essere liberi e indipendenti e non vi ribellerete mai. E credetemi, ho visto decine di civiltà finire in questo modo. Perciò questo è il momento, ragazzi! Pensate con le vostre teste! Combattete per il vostro futuro! E se lo vorrete io vi aiuterò!
Soddisfatto della sua spiegazione, sebbene piuttosto sommaria, il gatto si erse trionfante e fissò negli occhi i due giovani sbigottiti. – E allora? – domandò, pronto ad entrare in azione – Ci sono domande? Che ne pensate?
CONTINUA