Della Preghiera by Ortolani/Phoebe Zeitgeist vi abbiamo detto di recente. Non vi avevamo detto però che lo spettacolo era parte di una rassegna, Contagio, composta da tre titoli e appena conclusasi allo Spazio Tertulliano.
Abbiamo quindi seguito anche i due spettacoli seguenti: Chi ha paura delle badanti? (flyer a destra) e Desideranza (cui si riferiscono l'immagine in apertura e quella qui sotto a sinistra).
Il primo, dei Sutta Scupa, vede in scena due immigrati rumeni che, per trovarsi un lavoro, si travestono da donne pur di apparire credibili come badanti di una capricciosa “sciura” borghese (perdonate, ma non so come suoni l’equivalente in palermitano, accento che peraltro la giovane benestante in realtà cerca di celare); borghese ma paraplegica, con cui s’instaura un teso gioco a tre fra “Serve” (il riferimento a Genet non è casuale) e “padrona” (avvantaggiata socialmente ma “anormale” fisicamente), tutti legati fra loro da fili ben più stretti di quelli di un rapporto di lavoro (la padrona ha capito benissimo che i due non sono ragazze, ma dalla sua sedia a rotelle è impossibilitata a desiderare il rumeno da cui si sente attratta).
Il secondo, dei Teatrialchemici, mette in scena un rapporto non meno soffocante fra due fratelli siciliani, dove l’uno handicappato dipende fisicamente dall’altro, il quale alla lunga si rivela però non più “libero” grazie alla propria “normalità” psicofisica. Ambedue oppressi dall’incombente presenza fuori scena di una madre a sua volta immobilizzata a letto ma da lì comunque soffocante e poi realmente soffocata dal figlio ritardato. Vi lasciamo scoprire da soli l'epilogo "fantastico", tragico e liberatorio insieme perché ne varrebbe la pena, anche se la tenitura al Tertulliano purtroppo finiva domenica 1 dicembre.
A questo punto abbiamo fatto una chiacchierata con Giuseppe Isgrò, regista del primo lavoro e curatore della rassegna, per capire meglio lo spirito dell’operazione e i legami che intercorrono fra la giovane compagnia milanese e due realtà del teatro di ricerca palermitano.
Mi sono innamorato del loro linguaggio forte, ricco di elementi legati al territorio d’origine, anche se con un respiro che non esiterei a definire internazionale, che infatti ha ottenuto una risposta molto positiva anche qui, da parte del pubblico milanese della rassegna Contagio, che appunto ho proposto allo Spazio Tertulliano per portare a Milano due spettacoli che qui non erano ancora stati visti, come indubbiamente meritavano. Per trasformare quell’esperienza in un vero scambio".
E perché questo scambio si è poi chiamato proprio Contagio?
"Perché appunto ci si contagia vicendevolmente con i rispettivi segni e proposte artistiche. E poi, naturalmente, perché i tre spettacoli con cui ho composto la rassegna – pur nella differenza di soggetti, trame e stili – avevano in comune questa tematica della malattia o, più in generale, del disagio, sia esso fisico (handicap), psichico (follia) o sociale (estraneità/marginalità). In tutti e tre i lavori, i protagonisti poi elaborano dei giochi, come farebbero i bambini, come strategia di resistenza al disagio che vivono. Così facendo, sviluppano anche delle forme di teatro nel teatro, inventandosi dei ruoli, delle “parti” alternative, di fantasia, di vera e propria evasione dall’orrore che opprime il loro quotidiano".
E che cosa unisce tre linee artistiche così personali, come quella di Phoebe Zeitgeist e delle due compagnie palermitane ospiti?
I secondi lavorando su una non meno originale mistura di italiano e siciliano, in grado di esprimere il conflitto fra la realtà che li imprigiona e dimensione fantastica della fuga". Integrandosi anche fisicamente, aggiungiamo noi, in una coreografia gestuale – fra le pose del fratello “normale” in aiuto dei disequilibri di quello “spastico” – che rende perfettamente il tormento delle anime prigioniere in quei corpi, rasentando il teatro danza (vedi foto a sinistra).
Ultima curiosità: Contagio è un progetto che si conclude coll’ultima replica di Desideranza, oppure ha un futuro?
"Io, anzi tutti noi, vorremmo sicuramente che lo avesse. Mi auguro decisamente che l’esperienza di collaborazione con Margherita Ortolani – e quindi con le altre compagnie siciliane – si amplii e (come si usa dire oggi) riesca a fare rete, a formare una sorta di nuova scena teatrale indipendente e innovativa, al di là dei rispettivi background territoriali. L’accoglienza che già ha ricevuto il progetto nella prima presentazione pubblica nello spazio occupato Macao, che vorremmo rappresentasse l’inizio di un processo di riappropriazione di spazi non istituzionali per fare teatro nuovo. Quali appunto sono il Macao a Milano (un bell'ambiente, quello di Viale Molise 68, in effetti, NdR) e il TGA a Palermo: spazi dove sia possibile essere artisti, “non normali”, “matti” (nel senso di fuori dagli schemi), senza per questo essere “marginali”, come appunto sono tutti i protagonisti di questa (speriamo solo prima) rassegna".
Mario G