“Se potessi piantarmi la penna nel cuore e spillarlo tutto qui, su questo palco,
vi piacerebbe? O direste questo qui è davvero un tipo strano?”
(M. Jagger, It’ Only Rock’n’Roll)
La citazione dei Rolling Stones in epigrafe farebbe pensare a una riflessione su identità e cultura di massa. Invece, il nuovo lavoro dei Phoebe Zeitgeist (il quarto visto da me, locandina in apertura) è concentrato sull’intimo, non su massa e media. Su quel dentro di sé così intimo e fragile che... a volte si spezza.
“Preghiera è il racconto delle tappe di sopravvivenza di un’anima, attraverso l’esperienza della malattia. Il rigore scientifico dell’analisi affonda nei meccanismi di un corpo e di un pensiero che cercano di rintracciare le proprie possibilità dentro ed oltre saperi inflitti e guadagnati, alterazioni, doni e perdite continue”, dichiara la presentazione dell’opera.
Non ci è dato sapere perché, se per patologie biologiche, troppa sensibilità al male implicito nel vivere stesso, o per diversità dall’ambiente circostante (l’ipotesi è apertamente toccata durante lo spettacolo e forse a questo si riferisce la citazione stonesiana, utilizzata in italiano nel testo), o per tuto ciò insieme. Ma un giorno si scopre d’esser “pazzi”. O comunque “malati” (chi ricorda Malattia come Metafora di Susan Sontag?), quindi descritti, riassunti nell'algido, sterilizzato lessico medico scientifico che il testo satireggia così argutamente e sarcasticamente.
Allora si finisce nelle maglie di un “sistema terapeutico-lager”, e qui programmaticamente si apre la scena, con la protagonista Margherita Ortolani (già vista in Loretta Strong, pure un viaggio fantasurreale nella follia), trascinata sul palco dal deuteragonista Vito Bartucca, infermieremedicoaguzzinostupratore-avoltepartner, suo unico contraltare in scena per l’intera ora e mezza circa dello spettacolo (nella foto a destra li vedete insieme in scena).Margherita, anche autrice del testo – adattato per la scena con un lavoro di drammaturgia curato dall'autrice stessa insieme a Francesca Marianna Consonni, dramaturg, e Giuseppe Isgrò, regista della compagnia, con i suoni di Giovanni Isgrò (e molte canzoni anni ’50) e la voce off di Elena Russo Arman – rielabora dolorose esperienze autobiografiche, in un magma che offre ben pochi appigli a una lettura logico narrativa, ma folgora a più riprese con la forza della sintesi poetica di molte frasi, che vorrei riportare qui ma, non avendo potuto trascriverle al momento, non posso che invitarvi ad andare a coglierle di persona allo Spazio Tertulliano (dove il lavoro è in programma fino a domenica 17 novembre, dopo un debutto palermitano cui si riferisce il trailer che vedete QUI e la foto a sinistra).
Ne sarete abbagliati ad un ritmo di una ogni pochi minuti.
Anche la gestualità è spiazzante, contraddittoria: la Ortolani, corpo scenico asciutto, nervoso e duttile ad ogni dis-equilibrio, dal teatro danza del disagio alla parodia del vaudeville, spesso contraddice nei gesti i toni con cui recita le battute: talvolta visioni idilliache o ricordi infantili vengono evocati in un contesto scabro e oppressivo, così come le forme dell’ossessione possono venire espresse con un balletto buffo. “Per evitare l’effetto melodrammatico che generalmente si associa inevitabilmente a qualsiasi discorso sulla malattia, sul disagio e così via”, ci spiega l’autrice-attrice.
Che Bartucca sul palco interroga con la finta bonomia del dottore che in realtà tutto vuole controllare, pronto a mutare l’apparente condiscendenza in aperta oppressione (la paziente-vittima rinchiusa nella gabbia-voliera che vedete nella foto a destra), anche in abuso sessuale, qualora i parametri della sua scienza fredda e implacabile rilevino segnali di preoccupante “anormalità” della paziente.
C’è spazio anche per la religione (la Preghiera Oscena del titolo): l’istinto religioso, l’atto di pregare nelle varie modalità adottate dai culti sviluppati dall’umanità ci vengono presentati con la stessa modalità asetticamente analitica, “da Wikipedia”, del linguaggio scientifico. “La malattia cerca quasi sempre rifugio nella fede, non a caso gli ospedali ospitano sempre una chiesa e la chiesa spesso si fa ospedale”, spiega il regista Isgrò. “La religione e la scienza sono due istituzioni contrapposte ma caratterizzati da linguaggi similmente dogmatici e conniventi nella loro operazione di spersonalizzazione e inglobamento dell'individuo”.
Spettacolo (e testo) non facile, pur essendo dinamico e aggressivo, sovente urlato (con e senza microfono in scena). Idealmente accostabile alle schegge di follia del ballardiano Note per un Collasso Mentale (ma anche alla citata Loretta Strong di Copi, di cui vedete a sinistra una foto di scena solarizzata). Sarebbe da rivedere per fissare meglio le molte intuizioni fulminanti che – appunto in assenza di una continuum logico narrativo lineare – rischiano di non restarci nella memoria a luci spente. Come invece meriterebbero.Affrontatelo. Scoprirete che in Italia ogni tanto si scrivono anche testi nuovi e non solo rielaborazioni di classici. E, forse, "quanta verità può sopportare un uomo" (F. Nietzche, nel testo).
Mario G