So che in molti si aspettano una mia recensione di No Time to Die, visto che, oltre a essere io stesso autore (anche) di spy-story, mi sono occupato di James Bond 007 come traduttore, editore e saggista. Trovate una mia brevissima storia dell’evoluzione del personaggio su Borderfiction.
Non è compito facile recensire un film senza fare alcun riferimento alla trama, peraltro accennata da tempo nei riassunti ufficiali della produzione e intuibile nel trailer. Il fatto è che la densità dei colpi di scena è tale che rivelare qualcosa che accade anche solo nei primi minuti del film brucerebbe qualche sorpresa. Quindi vedrò di evitarlo con molta cura.
Posso dire, per cominciare, che se pensate di trovare un Bond-movie di routine, in cui accadono più o meno le stesse di sempre, resterete spiazzati: ci sono, è vero, acrobazie e scene di azione, persino l’infiltrazione finale nella fortezza del cattivo, ma tutto è risolto in maniera diversa e inedita, smontando i cliché cui siamo abituati. Anche gli stunt visti nel trailer non sono mostrati con ostentazione, bensì inseriti in quella che potremmo definire una "coreografia di sopravvivenza a ogni costo".
È originale anche il MacGuffin – per dirla alla Hitchcock – ovvero il motore dell’azione: un’arma di precisione che può essere calibrata in base al DNA del singolo bersaglio, ma riconvertibile in uno strumento di distruzione ‘selettiva’ di massa, ideale per nuove versioni del nazismo. Tuttavia ciò che importa – e coinvolge – è il fatto che la vicenda si basa su questioni strettamente personali.
Le presenze femminili sono molteplici. Il ruolo di primo piano spetta alla dottoressa Madeleine Swann (Léa Seydoux), prima Bondgirl dopo Sylvia Trench (Eunice Gayson) ad apparire in due film consecutivi. La vediamo persino bambina in un flashback norvegese all’inizio del film, che precede addirittura la sequenza pre-titoli girata a Matera e dintorni. 007 se n’è andato via con lei a tempo indeterminato, ma il loro desiderio di un futuro insieme si scontra con le ombre del passato di entrambi, sotto forma di emissari della SPECTRE che non apprezzano la cattura del loro capo Blofeld. Nel timore che si ripeta l’esperienza con Vesper (sì, vi conviene ripassare i quattro film precedenti prima di vedere questo, perché la continuity ha importanza), Bond congeda l’amante e sparisce.
Non c’è tempo per morire, ma neanche per i love interests: le altre donne del film sono colleghe con cui i rapporti rimangono professionali. Dato che Bond risulta disperso per cinque anni, il numero 007 viene riassegnato dall’MI6 alla giovane e combattiva Nomi (Lashana Lynch). Quando la CIA localizza Bond in Giamaica per chiedergli di andare in missione a Cuba, tra vecchio e nuova 007 si riproduce la rivalità tra colleghi vista spesso in pellicole del passato e destinata a diventare collaborazione. In questo si inserisce l’apparizione sopra le righe di Paloma (Ana De Armas), agente della CIA a Cuba che si rivela meno sprovveduta di quanto sembri e fornisce un elemento di commedia e glamour al film.
È sempre un piacere rivedere Naomie Harris nel ruolo di Moneypenny, che fa parte del cast fisso insieme a Ralph Fiennes (M), Rory Kinnear (Bill Tanner), Ben Whishaw (Q) e Jeffrey Wright (Felix Leiter). Ritroviamo anche Christoph Waltz nel ruolo di Blofeld, anche se gli avversari principali sono interpretati dall’inquietante Rami Malek (Safin) e da Dali Benssalah (il sicario Primo).
La storia non manca di strizzate d’occhio (bionico) per gli appassionati: nella galleria di ritratti dei vecchi M figurano anche quelli di interpreti della vecchia serie e la stessa Aston Martin DB5, riapparsa dal nulla in Skyfall, non è quella che Bond-Craig guidava alle Bahamas in Casinò Royale, bensì quella di Bond-Connery in Goldfinger e Thunderball (qui ai lati le storiche locandine dei due film). Non mancano però gli elementi ripresi da Ian Fleming: da una citazione di Jack London amata dallo scrittore britannico (qui letta in un libro da uno dei personaggi), alla Giamaica adorata da Fleming, fino al Giardino dei Veleni del romanzo Si vive solo due volte (sopra a sinistra la copertina dell'edizione originale inglese, a destra quella degli Oscar Mondadori, più in alto il poster del film e la copertina dell'edizione Garzanti, NdR): uno dei libri più traditi dal cinema, da cui infatti gli sceneggiatori hanno ricavato materiale anche in Skyfall.
Si sa che questo è l’ultimo film di 007 interpretato da Craig e la struttura è proprio quella di una saga in cinque episodi. "L’era Craig" ha riportato attenzione su un personaggio nato letterariamente quasi settant’anni fa e l’ha riproposto finalmente al cinema tormentato, sanguinante e noir com’era già nei romanzi originali (che forse nessuno legge più, per cui molti hanno creduto che fosse una novità).
La EON Production lascia intendere che James Bond tornerà. Ma di certo, dopo la svolta data da questi cinque film, sarà più difficile del solito.
Andrea Carlo Cappi
P.S.: in apertura un disegno originale di RobertaG che interpreta la recensione del film, fondendo il classico immaginario graphic/pop delle sequenze d'apertura dei Bond movie agli stupefacenti plot twist sentimentali di No Time To Die.