“Si sono presi il nostro cuore sotto una coperta scura…” sono le parole di Fabrizio De Andrè ad accogliere il visitatore e ad accompagnarlo, impresse sui muri bianchi, attraverso un viaggio nel passato, alla (ri)scoperta del cinema, della musica, dell’arte, dei colori e degli avvenimenti di un decennio indelebile nella memoria collettiva italiana. Il decennio lungo del secolo breve, ovvero gli Anni Settanta, celebrati in una mostra della Triennale di Milano, curata da Gianni Canova, che si pone l’obiettivo di andare oltre gli anni di piombo cercando di “riesumare l’altro” per dirla con le parole del curatore, senza dimenticare il tragico, e prova, riuscendoci, a trasportare il visitatore in un universo parallelo per fargli vivere (o rivivere) l’esperienza di quegli anni.
Fin dalla prima installazione siamo posti di fronte alle due anime degli Anni Settanta: il bianco/nero e i colori, lo statico di fotografie che raccontano di cortei e uccisioni e il dinamico delle scene di vita quotidiana che parlano di matrimoni e vacanze al mare:
Le scene - e gli anni - si susseguono in ordine sparso: il teatro raccontato attraverso le sagome cartonate degli attori dell’epoca e una rappresentazione di Mistero Buffo di Dario Fo, la musica celebrata attraverso le più famose copertine di Storm Thorgerson e una “Cappella Seventina” colma di immagini e simboli che sormonta un pavimento di vinili giganti, il cinema ricordato nelle sue due connotazioni “impegnato” e “trash”, dove una divertente installazione con grossi buchi della serratura trasporta il visitatore in un film di Alvaro Vitali e, anzi, lo “trasforma” in lui.
E ancora, la letteratura, con le prime pagine dei libri usciti nel decennio contrapposte alle interviste ad alcuni degli scrittori di allora, la sezione dedicata all’arte e al design, che ripropone alcuni elementi di un mostra “Italy: The New Domestic Landscape” inaugurata al MoMA di New York nel maggio 1972, lo sport con le immancabili figurine panini affiancate ad una proiezione del celebre incontro di pugilato Ali-Foreman del ’74 a Kinshasa.
E non poteva mancare
annisettanta non è una mostra da vedere, è un mostra da vivere. In prima persona, lasciandosi trasportare dalle emozioni e dai ricordi, entrando in un bar dove tutto è come allora, (il jukebox, il flipper, il bancone, le carte da briscola) o mettendosi in gioco, come nell’installazione dedicata ai cortei, “tutti per uno, uno per tutti”, dove grazie ai prodigi della tecnologia la nostra immagine e il nostro grido “battagliero” viene ripetuto all’infinito sulle tre pareti della stanza.
E’ una mostra da vivere con inevitabile nostalgia, seppur ideata e realizzata con tutt’altro intento che quello nostalgico, per chi in quegli anni c’era, come i miei genitori, che nell’attraversare una stanza dopo l’altra rivivevano i momenti più belli o tristi della loro adolescenza e giovinezza.
Una mostra da vivere con un pizzico di rimpianto, per chi come me e mio fratello il caso ha voluto far nascere agli inizi degli anni 80 e che gli anni settanta li può respirare solo attraverso i Led Zeppelin, London Calling, Il Padrino, Frank Zappa, Arancia Meccanica, The Dark side of the Moon… che passo dopo passo cercavamo di riconoscere i volti, i suoni, le opere per mettere alla prova la nostra conoscenza storica.
La mostra, che si chiude con una sezione dedicata alla moda/antimoda di Elio Fiorucci quasi ad anticipare ciò che saranno i “ruggenti” anni ottanta, è ben lungi dall’essere una semplice raccolta di oggetti o immagini dell’epoca (siamo lontani anni luce dalla mostra sugli Anni
Desy B
annisettanta – il decennio lungo del secolo breve - è alla Triennale di Milano fino al 30 marzo 08