Era prevedibile, s'è detto e infatti è accaduto: Sucker Punch ha diviso fortemente i pareri dei recensori fra chi lo stronca inappellabilmente come un roboante pateracchio di botti, duelli e sparatorie da videogame e chi invece vede nell'ultimo sforzo visionario di Zack Snyder un'opera comunque complessa dai molti strati di significato e non inutilmente pretenziosa.
Fra i primi trovate per esempio Porro del Corriere della Sera, Zonta sull'Unità, perfino Cacioppo sul sito di Nocturno, rivista che di solito non teme di stare in minoranza nella difesa del cinema di genere inviso ai soloni della critica togata.
Non che il film non abbia punti deboli, eh, ne abbiamo accennato anche noi nella nostra recensione. Però, siccome il marchio d'infamia a priori è un esercizio futile di cui son appunto già pieni i giornali, noi preferiamo qui ascoltare il punto di vista della difesa: se ne incarica Debora Montanari di Ciao Radio in uno dei suoi articoli più ispirati (in cui di certo parla anche la scrittirce fantasy accanto alla cinefila), che dà conto dei significati impliciti in quest'opera che tutti si sono affrettati a definire "ambiziosa, fin troppo", senza che però nessuno andasse veramente a fondo a sviscerare che cosa ambisse dire Zack e perché fosse più o meno riuscito nel tentativo.
Debora l'ha fatto, quindi - che siate o meno d'accordo con lei - la parola ora spetta alla Difesa.
Ho sentito molte voci su questo film e, dopo averlo visto, mi aspettavo che la povertà culturale del nostro Paese si sarebbe fatta sentire divertendosi a deriderlo, mettendo in campo la saccenza e non la conoscenza, senza notare nulla di tutto ciò che invece Zack Snyder ci mostra. Devo dire che, al di là della forzatura su alcuni film presi ad esempio, Mario è uno dei pochi che è riuscito ad ascoltare con una certa attenzione Snyder. Quando parlo di forzature mi riferisco agli esempi cinematografici perché, benché “Sucker Punch” si mostri su più livelli di immaginazione, è molto lontano da “Inception”, così come lo è da “Matrix”.
Sucker Punch si avvicina a Inception solo per un fattore: si svolge su più livelli. Livello della realtà vissuta, il primo, il più infimo; livello di realtà immaginata, il secondo livello, angosciante anche questo ma altro non è che una rampa di lancio per il vero viaggio pindarico, verso la fantascienza del terzo livello, luogo di immaginazione sfrenata. Quindi è chiaro che qui non si parla di sogni, bensì di fantasia e c’è una grande differenza: il sogno si realizza dormendo e non sempre è possibile controllarlo; la fantasia invece è un sogno a occhi aperti, dove tutto è deciso dalla mente che la realizza e può persino diventare realtà, o essere una realtà modificata.
La nostra fantasia ci può portare dove vogliamo, anche in un Paese delle Meraviglie come quello distorto e violento, ma anche epico, di Babydoll: sfuggire all’inferno della realtà cercando un luogo dove le sue idee di fuga possano essere elaborate, pensate e anche provate, questa è la giustificazione di una trama a livelli, e dove il vero protagonista è lo Spirito e questa, invece, è la splendida idea di Snyder che sta alla base della trama: i protagonisti sono spiriti liberi, spiriti eroici, spiriti che percorrono un cammino di libertà non solo dalla prigionia di un manicomio ma di libertà dell’anima. Tutto ciò altro non è che un viaggio iniziatico e lo stesso Snyder ci ha messo sotto il naso un indizio molto chiaro a riguardo - che Mario cita nella sua recensione - e che io vorrei riproporre così come riportato dallo stesso Snyder: “Alice in Wonderland with machine guns”.
Chi conosce la letteratura sa bene che “Alice nel Paese delle Meraviglie” è la storia di un viaggio iniziatico, di conseguenza ermetico, da interpretare attraverso determinate conoscenze. Snyder è meno ermetico di Carroll, ma certo ha nascosto molto tra le righe.
Ci troviamo quindi di fronte ad una Alice da combattimento? Non proprio, direi che Babydoll è più vicina a “Sailor Moon” e i richiami al famoso Anime giapponese sono evidenti: primo tra tutti il costume - mai sottovalutare i costumi di scena, chi conosce il cinema sa che molti artisti parlano anche attraverso gli abiti dei loro protagonisti – Babydoll veste da marinaretta - proprio come Bunny di Sailor Moon - anche se Babydoll è una marinaretta dark e persino il modo di acconciarsi i capelli cita Sailor Moon, infatti ha lunghi e biondi codini; lei è la bella ragazza guerriera - titolo completo di Sailor Moon -, che raduna attorno a sé altre 4 guerriere, ognuna di loro con un nickname da battaglia; infine Baby Doll, proprio come Sailor Moon, è la guerriera della giustizia.
Ci può stare quindi che ci sia una citazione indiretta a “Kill Bill (volume 1)” visto che Tarantino cerca la sua ispirazione proprio negli Anime.
Il modo di raccontare per immagini, con dialoghi ridotti, con pensieri raccontati ad alta voce che accompagnano le scene come poesie, anche questo ripercorre lo stile giapponese, dove è l’immagine che deve raccontare la forza attraverso la battaglia, il dolore attraverso la prigionia e la morte, la poesia attraverso le persone e la loro umanità.
Questo film riesce in ogni momento a descrivere e a raccontare la sua essenza, che altro non è che la ricerca di un perché alla vita e ai suoi eventi e lo racconta percorrendo il viaggio terribile di una ragazza che attraverso le peripezie e gli ostacoli imposti da questo stesso viaggio riesce ad elevare il suo animo rendendolo non solo forte ma persino eroico. Babydoll non sapeva fin dove poteva arrivare con la sua forza, ma lo scoprirà, diventando speranza e battaglia allo stesso tempo. E qui torniamo alla filosofia del viaggio iniziatico, espressa persino attraverso la fotografia che varia a seconda dei livelli, ed evidenziata dalla presenza del personaggio interpretato da Scott Glenn (foto a destra).
Qualcuno, in una recensione, ha definito questo personaggio inutile: be’, se si legge la favola per quello che è, e se si ascoltano i dialoghi si arriva a comprendere che Wise Man - letteralmente Uomo Saggio, guarda caso! - è il Maestro, l’immancabile Maestro che sta all’inizio, lungo il percorso e alla fine di ogni viaggio iniziatico, vedi Obi Wan Kenobi per Luke e Morpheus per Neo.
Qualcun altro poi mi ha chiesto come sia possibile che in un manicomio buona parte delle ragazze siano normali, quindi vittime: avete notato che il film è ambientato negli anni ’50? All’epoca i manicomi erano “discariche” per persone scomode – vedi “Changeling” – o per persone alternative, magari poco conformi alla società rigida dell’epoca, ma non certo matte. E qui i riferimenti sono chiari, a cominciare da “Ragazze Interrotte” (1999) per finire al film più citato, tra le righe, da Sucker Punch: “Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo” (1975): uno sceneggiatore che scrive fantascienza non necessariamente cita o si ispira a film di fantascienza per creare la sua storia e Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo ne è l’esempio lampante, pensate per un attimo al finale.
A proposito di finale: questo film ha uno dei finali più potenti e comunicativi, nonché umani e poetici, che io abbia mai visto.
Quindi mi trovo d’accordo con Mario che parla di finale spiazzante e io aggiungo emozionante e toccante, e sono d’accordo anche sulla colonna sonora, che gioca sulla fusione di musica d’impatto ma ben scelta, come alcuni pezzi rock, e musica classica: si riconosce infatti l’opera “Requiem K626” di Mozart.
Sucker Punch è un film che va visto con la mente aperta cercando al di sotto della patina roboante da action-movie destinata a chi non ama “leggere” i film e a chi si fa solo trascinare dalla tempestosa superficie senza mai immergersi per scoprire la ricchezza dei fondali, d’altronde, sembra che in pochi conoscano l’esistenza di questi fondali.
Debora Montanari