Terra finalmente? Si conclude l'odissea del gatto spaziale sull'Arca di Noè e con essa il racconto di Michele D'Angelo.
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Le puntate precedenti: PARTE PRIMA, PARTE SECONDA, PARTE TERZA.
Pronti a sbarcare? Siamo alle fasi conclusive...
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Con loro sommo sollievò, però, i cani passarono oltre senza trovare nulla e per i due giorni successivi Noè e i suoi figli setacciarono l'Arca da cima a fondo, cercando il clandestino. Inspiegabilmente, la creaturina sembrava scomparsa senza lasciare tracce. Perciò, seppure a malincuore, il vecchio rinunciò all'inseguimento, stabilendo che il gatto, preso dalla disperazione, doveva aver commesso l'infame atto del suicidio, gettandosi in mare per evitare la cattura. I suoi figli, abituati a dipendere da lui per ogni cosa, accettarono la spiegazione senza replicare. Tutti tranne Jafet e Tesbite, i quali rimasero in ansia per un'intera settimana, non riuscendosi a spiegare dove fosse sparito il loro piccolo amico.
A quel punto persino Noè, però, cominciava a preoccuparsi, anche se per motivi diversi.
- Dove potrà mai essere la terraferma? – borbottava da mattina a sera, scrutando l'orizzonte.
Alla loro velocità avrebbero già dovuto coprire la distanza tra il punto in cui si trovavano e quello in cui la colomba aveva raccolto il ramoscello d'ulivo. Ma allora la terra dov'era? Alba dopo alba Noè e i suoi figli non vedevano altro che mare.
Poi, all'improvviso, un mattino Sem si accorse che l'acqua era più bassa e che si poteva tranquillamente vedere il fondo.
Verso mezzogiorno un grande lembo di terra era apparso all'orizzonte.
- Ah, Iddio sia lodato! – declamò Noè, levando le braccia al cielo – Un po' in ritardo, forse, ma l'ordalia è finita! Ecco laggiù la nostra nuova casa!
I fratelli si riunirono alla murata di prua per ammirare lo spettacolo del sole che tramontava dietro una bellissima catena di montagne rosate. Alle loro pendici si dipanava una rigogliosa foresta e torrenti e ruscelli scorrevano ovunque. Stormi di gabbiani, miracolosamente sopravvissuti al diluvio, volavano in cerchio sulla costa e banchettavano con tonnellate di pesci che, per qualche inspiegabile motivo, si stavano dibattendo sulla battigia, come se improvvisamente gli fosse stato tolto il mare da sotto le pinne.
- Vedi qualche gatto? – sussurrò Tesbite al marito, scrutando la costa con apprensione.
Jafet scosse il capo. – No. Il piano di Gattaccio ha funzionato, siamo finiti in un luogo sicuro a quanto pare.
- E lui dove sarà?
- Non lo so davvero, moglie mia. Non lo so davvero. – rispose con espressione preoccupata.
L'Arca si incagliò dolcemente neppure un'ora dopo, spiaggiandosi come una balena ferita. Al colmo della gioia, Noè e i suoi figli scesero a baciare la terra, ottenendo solo una bella boccata di fango putrido al retrogusto d'alga. L'inconveniente però non scalfì il loro buonumore.
- Figli miei, presto! – garrì il vecchio, energico come non mai – Aprite la stiva! Liberate gli animali!
Le donne si misero a cucinare i pesci che c'erano sulla spiaggia, raccolsero acqua pulita e frutti dagli alberi, cantando le lodi del Signore. Il sole era già sparito dietro i monti, ma il cielo rimaneva chiaro e madreperlaceo. Uno spettacolo da togliere il fiato.
Mentre Jafet e Tesbite si riposavano in disparte, appoggiati l'uno all'altra su una roccia, udirono uno strano sibilo provenire da qualche parte dietro di loro.
- Psst! Psst!
I due si voltarono e videro un paio di occhi gialli scrutarli da dietro un cespuglio.
- Gattaccio! – sussurro Tesbite con aria felice.
- Sei vivo! – fece Jafet, raggiungendolo e chinandosi accanto a lui. Gattaccio emerse dal cespuglio, camminando malfermo sulle gambe magre. Era grosso la metà di quando lo avevano visto l'ultima volta, segno che non era riuscito a nutrirsi come si deve.
- Il colpo d'occhio l'hai preso da tuo padre, eh? Sì, sono vivo. Anche se per un pelo. – mormorò, stanco. Poi iniziò a fare le fusa, mentre i due giovani lo accarezzavano amorevolmente.
- Come sei sopravvissuto per una settimana senza mangiare? – domandò Tesbite, curiosa.
- Credevo di morire, con quei cagnacci che setacciavano la nave a tutte le ore. Poi ho notato un piccolo anfratto sulla chiglia esterna dell'Arca, a poppa. Sono riuscito a raggiungerla e indovina un po'? Un corvo ci aveva fatto il nido.
- Un corvo?
- Già. Credo fosse quello che tuo padre aveva mandato a cercare la terra per primo. Intelligente, anche se un po' stopposo.
- Il tuo piano ha funzionato, Gattaccio! I tuoi simili non ci sono, qui. – disse poi la ragazza, mentre Jafet correva di soppiatto vicino al fuoco da campo per rubare del pesce.
- Arriveranno presto. – profetizzò lui – E io devo sparire. Credono che sia morto nel diluvio, ma se mi trovano mi aspetta la corte marziale.
Tesbite si morse il labbro inferiore, preoccupata. – Ma che succederà quando mio suocero vedrà i tuoi simili? Li attaccherà come ha fatto con te, pensando che siano diavoli!
- Proprio di questo volevo parlarvi. C'è una cosa che devo fare prima di andarmene...
Jafet tornò in quel momento con una piccola scorta di pesce che Gattaccio divorò avidamente. – Ah, molto meglio! – disse il micio, leccandosi i baffi – Sento tornare un po' delle mie energie.
- Cosa dobbiamo fare quando arriveranno gli altri gatti? – domandò il ragazzo, evidentemente in ansia.
- Comportatevi come se non li aveste mai visti prima. Un po' come avete fatto con me. – spiegò Gattaccio – Fategli un po' di smancerie, un po' di coccole, qualche grattino dietro le orecchie dovrebbe bastare per convincerli che siete malleabili e facilmente controllabili. I gatti cercheranno di risultare simpatici a tutti, ma per non destare sospetti non imporranno la loro presenza a chi non vorrà o non potrà tenerli in casa. Voi dovrete fare così e rifiutarvi di tenerne uno. Accampate qualche scusa, non importa quale. In ogni caso verrete tenuti d'occhio giorno e notte dai gatti del vicinato, perciò attenti a non farvi scappare qualche parola di troppo o vi attende il lavaggio del cervello.
- Lavaggio... del cervello? – fece Tesbite, grattandosi il capo.
- Un po' quello che sto per fare ai tuoi parenti, Jafet. – disse il gatto, stringendo minacciosamente gli occhi in direzione di un cespuglio lì vicino – Non è vero, vecchio caprone? – gridò, in modo che potesse essere chiaramente udibile dal nascondiglio di Noè.
Il vecchio emerse da dietro le frasche, livido in volto, e si avvicinò minacciosamente a suo figlio e a sua nuora, brandendo un grosso randello di legno nodoso.
- Pa... padre! – mormorò Jafet, spaventato a morte.
- Figlio degenere! – ringhiò Noè, furioso – E' così che ripaghi l'Onnipotente? Facendo comunella con il diavolo? Che la mia maledizione ricada su di te!
- Padre, non fare così! – cercò di difendersi Jafet, alzando le mani. – Gattaccio non è nostro nemico! Ci vuole aiutare!
- Bestemmia! – gridò Noè, sollevando il bastone sopra la testa per colpire il figlio.
Tesbite si gettò contro di lui, gridando e abbracciandolo per farlo ragionare, ma Noè la ignorò e continuò a fissare Jafet con occhi di brace, stringendo i denti per la rabbia.
- Io... io...
- Padre! – urlarono Cam e Sem, sbucando dalla boscaglia con le rispettive mogli. Erano stati attirati lì dal chiasso e ora fissavano increduli la scena che avevano di fronte.
Esasperato, Noè si divincolò dalla presa di Tesbite e la gettò nel fango, poi sollevò nuovamente il bastone e urlò, pronto a colpire il suo stesso figlio.
- Adesso basta! – l'ordine di Gattaccio rimbombò nell'aria come un tuono. Noè spalancò gli occhi e lasciò cadere il bastone. Lui, Sem, Cam e le loro mogli si afferrarono il capo e caddero sulle ginocchia, incapaci di resistere alla volontà superiore della creaturina.
Tesbite e Jafet si raggiunsero e si abbracciarono, poi fissarono sgomenti Noè e gli altri che si genuflettevano dinnanzi al gatto, sbavando come neonati.
- Mi dispiace, Jafet. – disse Gattaccio – Ma questo è indispensabile per la vostra stessa sicurezza. I tuoi parenti devono dimenticare tutto, o metteranno in pericolo sia voi che loro stessi.
Il ragazzo distolse lo sguardo, incapace di sopportare quella crudeltà. – Lo capisco bene. – disse, tuttavia. Poi strinse Tesbite più forte. – Fai quello che devi fare.
Gattaccio annuì e riportò lo sguardo sulle persone prostrate dinnanzi a lui.
- Ascoltate bene i miei ordini. – disse, facendo rimbombare la propria voce con una forza inaspettata. Intorno a lui l'aria stessa sembrava quasi vibrare, mossa dalla potenza della sua volontà. - Voi non mi avete mai visto. Siete sbarcati e avete festeggiato, poi avete liberato gli animali e avete ringraziato il Signore per la sua misericordia. La vostra nuova vita ricomincia da qui. Jafet e Tesbite sono due membri della vostra famiglia, molto amati e molto rispettati. E' tutto chiaro?
- Sì, signore. – ripeterono in coro Noè e gli altri.
- Bene. E ora dormite.
Sotto gli occhi esterrefatti dei due giovani, Noè, Sem, Cam e le loro mogli crollarono a faccia a terra , nel fango, russando sonoramente.
- Stai tranquillo, Jafet. – disse Gattaccio, strusciandosi contro la sua gamba – Dormiranno solo per una mezz'ora e quando si sveglieranno non ricorderanno nulla di questa vicenda e saranno di ottimo umore.
- Grazie, Gattaccio. Mi hai salvato.
- Ho solo restituito il favore.
- Ma se potevi farlo dall'inizio, perché hai rischiato la vita? – chiese Tesbite, incapace di comprendere.
Il gatto distolse lo sguardo e miagolò. – Volevo cercare di convincervi, prima. Non amo usare il condizionamento mentale, se non è necessario. Nessun gatto ama farlo. Ci mette troppo in contatto con il vostro animo e spesso è...diciamo...sgradevole. E alla lunga potrebbe causare danni neurologici permanenti, ragione per cui il Dittatore non ama assoggettare i popoli in questo modo.
I tre raggiunsero la spiaggia, dove gli animali, divisi a coppie, si stavano aggirando tutt'attorno, confusi da quell'ambiente naturale del tutto nuovo.
Tesbite sgranò gli occhi e sollevò un braccio. – Cos'è quello?
Jafet si accigliò. – Un arcobaleno? – disse, incredulo – Eppure non ha piovuto... e non ne ho mai visti di così belli e definiti. Sembra quasi solido.
- Questo perché è solido. – spiegò Gattaccio, sbadigliando.
- Che vuoi dire?
- Che non è un arcobaleno. Si chiama Ponte Quantico Trifase, è un costrutto fotonico che serve a trasportare un gran numero di truppe sopra alcuni ostacoli, solitamente di natura liquida.
- Io credo di essermi fermato alla parola “ponte”... – borbottò Jafet. – Che significa?
- Che i miei simili saranno qui entro un'ora. Stanno usando il ponte per superare il braccio di mare che ci divide dal punto in cui saremmo dovuti sbarcare originariamente.
- E' meglio che tu vada, allora. – disse Tesbite con un sorriso, accarezzandogli un'ultima volta la testa.
- Sì, credo anch'io. – ammise Gattaccio.
- Ti rivedremo? – chiese Jafet, un po' dispiaciuto.
Il gatto lo fissò di sottecchi, sornione. – Ve l'ho detto. La mia stirpe e la vostra saranno sempre legate. Io e i miei discendenti terremo sempre un occhio vigile su di voi e sui figli dei vostri figli, finché non arriverà il momento della liberazione. Poi ci uniremo per scacciare l'invasore da questo mondo. Ma fino ad allora dovrete mantenere un basso profilo e fare attenzione anche ai vostri simili. La reazione di tuo padre dovrebbe esserti di monito. La gente non ama chi racconta l'amara verità, preferisce sempre una dolce bugia.
- Ma... come farai ad ottenere una discendenza, Gattaccio? – domandò Tesbite, arrossendo lievemente – Tu sei solo, non hai una compagna.
Il gatto tossicchiò, imbarazzato. – Stai tranquilla, Tesbite. Non sono l'unico nell'esercito dell'Impero che non ama i metodi del Dittatore. Lasciate a me il compito di mettere in piedi un movimento di resistenza ed educate i vostri figli ad avere un pensiero libero e indipendente. Così saranno pronti quando arriverà il momento.
- Lo faremo, Gattaccio. – disse Jafet, alzando una mano in segno di saluto – Abbi cura di te!
Il micio annuì, poi chinò la testa, afferrò un pesce tra le fauci e saltellò via tra i cespugli. Jafet e Tesbite si abbracciarono, lo videro balzare su una grossa roccia rossa, arrampicarsi fino in cima e voltarsi per un momento, prima di saltare dall'altra parte e sparire per sempre.
I due ragazzi rimasero in silenzio ad osservare il gigantesco arcobaleno, finché Noè e gli altri non si svegliarono, confusi ma stranamente allegri.
- Jafet, figlio mio! – trillò il vecchio, sedendosi sulla spiaggia accanto a lui – Eravamo così stanchi che ci siamo addormentati all'improvviso! Pazzesco, eh? Ma... cos'è quello? - chiese, indicando l'arco di sette colori che sembrava perdersi oltre l'orizzonte.
Jafet scambiò un'occhiata con sua moglie, poi sorrise. – Un Ponte Quantico Trifase.
- Cosa? – borbottò il vecchio, confuso.
- Non so, sembra un normale arcobaleno, ma è più bello. Non trovi? – ridacchiò Jafet, tra sé.
Il vecchio sgranò gli occhi e annuì lentamente. – Ma certo! Questo arcobaleno è il simbolo della nostra ritrovata pace e fratellanza con Dio! Alleluja, ragazzo mio! - rise, felice.
Jafet sospirò, malinconico.
- Sì. Alleluja, padre.
Rimasero lì in silenzio, ad ammirare il panorama per un po' di tempo, poi udirono la voce della moglie di Cam, che trillava alle loro spalle.
- Guardate cosa ho trovato nei cespugli, mentre raccoglievo bacche! Ce ne sono altri, laggiù! Toccalo Sem, non è carinissimo?
- Maow...
Nell'udire quel suono Jafet e Tesbite si scambiarono un'occhiata agghiacciata, poi deglutirono, annuirono e si presero per mano.
- Andiamo? - chiese Jafet.
- Andiamo. - rispose lei.
FINE
P.S.:
Michele D'Angelo dedica il racconto a Ringhio, Silvestro e Camilla, padroni dei suoi vicini.
Posthuman gli dedica un caloroso benvenuto per questo piacevole debutto letterario e si augura di riaverlo presto ospite.