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Nel ’62 sull’Appennino ligure il dodicenne Morgan Perdinka scopre l’amore e la scrittura. Insieme all’orrore più assoluto, che diventerà la materia dei suoi futuri romanzi. Ma chi arginerà le mostruose creature della sua mente?
L’Estate di Montebuio di Danilo Arona è uno dei più ricchi e ambiziosi romanzi che in futuro si potrà citare per rispondere alla domanda “ma l’Italia, con tutte quelle leggende popolari e superstizioni religiose, non ha sviluppato una propria narrativa gotica?”.
L’autore di Alessandria (foto sotto a destra), navigato esperto del genere, suggella col fluviale epos (quasi 480 pagine, ed. Gargoyle, € 13,50) un sontuoso affresco, articolato e multi stratificato, che si candida per saldare l’horror gotico sovrannaturale lovecraftiano con la mitologia paleocristiana, i crudeli rituali fra fede e superstizione sopravissuti all’avanzare della modernità nelle piccole comunità rurali, attraverso uno sterminato bagaglio di riferimenti cineletterari che ingolosiranno il cultore del genere, spaziando dall’Esorcista di Blatty/Friedkin al Seme della Follia di Carpenter, dagli Ultracorpi di Siegel a Blob, da Cronenberg al teatro dell’apocalisse suicida di Sarah Kane, dall’ultimo spiazzante Lynch a Stephen King.
Potrebbe infatti ricordare uno Stand By Me nostrano il coté bildungsroman della storia, con la radice dell’Orrore annidata nel rimosso passato delle vacanze estive di una preadolescenza nei “solari” anni ’60 e dei relativi turbamenti. Ma Arona non si accontenta di questo, e fa del dodicenne protagonista Morgan Perdinka un futuro grande scrittore horror, disseminando il romanzo di riferimenti alla propria biografia e alla propria opera in questo campo.
E ancora non gli basta, giacché – al di là del giochetto autobiografico – i mostri più inquietanti annidati a Montebuio si riveleranno proprio quelli scaturiti dalla mente dello scrittore Perdinka, in mesmerica connessione con un Oltre oscuro e inimmaginabile attraverso una misteriosa macchina da scrivere dotata di vita propria, letterariamente connessa al “language is a virus” burroughsiano (nel libro lo scrittore viene definito più volte “un virus”). Soprattutto nella sua declinazione cinematografica by Cronenberg, che tendeva a rappresentare le visioni dell’autore del Pasto Nudo con mostruose macchine da scrivere-insetto e simili (metaforiche) maledizioni della scrittura. Ma, ancora, le creature che straziano le proprie vittime con ganci metallici potrebbero far pensare anche all’Hellraiser di Clive Barker e… insomma, avete capito che potremmo continuare coi riferimenti per pagine e pagine.
Ciò detto, però, secondo me è nella spiegazione (per così dire) logica di come i confini fra immaginario e reale possano essersi fatti così fluidi da permettere i mostruosi e luttuosi sconfinamenti cui s’è accennato sopra che Arona compie il proprio capolavoro architettonico: infatti, attingendo alle frontiere della fisica quantistica – che permettono di postulare l’esistenza di diverse dimensioni parallele – l’autore fonde il buon vecchio horror sovrannaturale con la fantascienza alla Philip K. Dick; di qui il riferimento a Ubik nel titolo del nostro articolo (ricordate? “Io sono vivo, voi siete morti”, il fulminante manifesto della realtà come proiezione allucinatoria). E per questa via dona nuova linfa ad entrambi i generi.
È in questa (multi)dimensione che s’inquadra anche il riferimento al cinema di David Lynch, che Arona fa definire a Perdinka “l’unico regista che gira in base alla teoria dei quanti”, ossia “scrivere un film scena per scena, senza la più pallida idea di come vada a finire… Cazzo, questa è paura allo stato puro”.
Più metafisico che di pura e semplice suspence, L’Estate di Montebuio ti trascina per le sue 477 pagine senza un attimo di stanca, vorticandoti senza tregua fra diversi piani temporali, vicende e personaggi, alternando alla storia narrata (e pure da diversi punti di vista) ampi brani rivelatori dei libri (immaginari) dello scrittore Perdinka, dei suoi appunti e messaggi al mondo “reale” da cui si va progressivamente allontanando. Il che dà vita a una fanta-polifonia assai pensata e ricercata anche sul versante stilistico.
Avvalendosi fra l’altro di una miriade di citazioni anche musicali (come già nel suo Bad Visions, infatti Arona – come il suo Perdinka – è anche chitarrista), nella narrazione, come nei titoli dei capitoli, che spaziano da Hendrix a Sapore di Sale, da Ben E. King a Modugno, dai Creedence Clearwater Revival a Rascel.
A qualcuno forse sembrerà troppa carne al fuoco, ma lasciatemi dire ce ne fossero di più di opere così cosmicamente ardite, in giro! E, siccome a quanto pare l’autore Arona condivide col suo alter ego Perdinka anche l’ambizione di “scrivere un corrispettivo su carta di Mulholland Drive”, pensiamo che presto su questo versante avremo una ghiotta sorpresa da annunciarvi.
Buona lettura e un bentornato a tutte le creature della notte (dell’”ora del lupo”?) che ci leggono fedelmente. L'estate sta finendo, Posthuman è di nuovo con voi.
Mario G