“[…] tutte le persone arrivate in questo posto sono donne. esse cuciono. cuciono busti, reggiseni, qualche volta corsetti e mutandine. spesso queste donne si sposano, oppure vanno in malora in qualche altro modo”.
Questo brano è (quasi) l’inizio de Le Amanti, romanzo del ’75 di Elfriede Jelinek (qui a destra, Nobel per la letteratura nel 20014 e autrice anche de La Pianista, da cui l’omonimo film di Haneke qui evocato dall’impiego in scena delle musiche di Schubert). Scrittrice a propria volta anche drammaturga, ma adattata per la scena in questa tagliente opera narrativa per la prima volta dai Teatrino Giullare, compagnia bolognese che abbiamo visto allo spazio Pim Off lo scorso 13 dicembre e che vi segnaliamo, anche se con colpevole ritardo, perché è stata sicuramente una delle visioni da ricordare del 2015.
Si tratta della storia parallela di due giovani donne in un ridente paesino austriaco, incorniciato da “belle montagne con un orizzonte, cosa che molti paesi non hanno”. Come purtroppo anche molte ragazze, fra cui le protagoniste Brigitte e Paula, operaie prive d’alcuna prospettiva esistenziale dinanzi a sé: la prima cucitrice nella fabbrica di reggiseni della citazione in apertura, la seconda commessa in un supermercato e aspirante sartina.
Loro massimo sogno è sposare un bifolco del paese, un taglialegna o “addirittura” un elettricista, maschi che l’autrice descrive sempre spietatamente come dediti solo a sbronzarsi, montare animalescamente le loro donne e ogni tanto a gonfiarle di botte. O di bambini, attraverso i quali ricominciare da capo lo stesso desolante ciclo senza speranza, in cui tutti odiano tutti e le famiglie vedono i figli solo come dei mal tollerati investimenti in progetti di futuro benessere economico. Proprio come le ragazze vedono nel matrimonio l’unica chance di realizzazione sociale in grado di concretizzare qualcuno dei meschini sogni di agi piccolo borghesi in cui identificano il concetto di “felicità”.
Solo una delle due raggiungerà il traguardo. L’altra si perderà nella sua odissea di maltrattamenti, ubriachezza, fallimento coniugale, inevitabile prostituzione, trovandosi alla fine a cercare l’estrema opportunità di salvezza nella medesima squallida filanda da cui era partito il cammino della prima.
Ma il disperato piattume esistenziale, morale e socio esistenziale che la Jelinek ci mostra col suo micidiale sarcasmo è lo stesso per entrambe. Anche nel suo “ciclo dei vinti” mitteleuropeo nessuno ha speranza di salvarsi.
La drammaturgia dei Teatrino Giullare, dicevamo, segue il testo romanzesco rispettando il principio che l'autrice stessa definisce di “dissociazione tra corpo e voce”. “Io ingrandisco (o riduco) le mie figure in una dimensione super-umana, ne faccio dei fantocci, visto che devono stare su una sorta di piedistallo”, dice la Jelinek. “Non mi sforzo di rappresentare uomini completi […] io colpisco per così dire con l'ascia, in modo che non cresca più l'erba dove sono passate le mie figure”. E come smentirla?!
In scena solo due attori, un uomo e una donna. Non interpretano i personaggi della vicenda: lei svolge il ruolo di narratore che ci espone i fatti della storia con lo stesso punto di vista esterno e distaccato che usa l’autrice nel libro. Lui è (quasi) muto e si limita ad agire pupazzi (le due ragazze) e maschere (gli altri personaggi, fidanzati e familiari del deprimente teatrino della loro non vita), dando voce a chi serve nei rari dialoghi previsti dal copione.
Sicché Brigitte e Paula, le protagoniste, sono ridotte a due manichini, due abbozzi di umanità privi di vera vita, di facoltà di muoversi se non agiti dai due attori-burattinai in scena (come vedete dalle foto ai lati). Una strategia scenica che è la cifra artistica della compagnia (che personalmente ho scoperto proprio con questo spettacolo), ma che a questo testo dona un surplus di significato tragico, evidenziando l’assoluta mancanza d’identità in cui si trascina l’esistenza delle due ragazze, che si agitano prive d’alcuna reale autonomia di scelta, d’azione, di un minimo straccio di dignità umana.
Appunto, “agite” dall’ambiente circostante in una meschina “corsa dei topi” senza scampo. Per nessuno.
Ottima anche l’essenziale scenografia di Cikuska, a base di scatoloni di cartone che con poche sapienti mosse dei due burattinai in scena si trasformano ad evocare la filanda, il supermercato, la sartoria e le case dei personaggi.
Tenitura purtroppo brevissima al Pim Off (13-15 dicembre): se se ne ripresentasse l’occasione, vi consigliamo sicuramente di non perdere questa visione (come di leggere il romanzo, edito in Italia da Frassinelli e oggi colpevolmente fuori catalogo). Anche se… non proprio bene augurante all’inizio di un nuovo anno!
Mario G
N.B.: le foto che illustrano l'articolo non sono relative alla serata del 13 dicembre ma, in mancanza di fonti originali, abbiamo utilizzato immagini di scena trovate in rete. Per il loro utilizzo qui Posthuman ringrazia tutti gli autori e la compagnia.