"Attraverso l’invasione da parte di una entità aliena della quale conosciamo solo dimensioni e forma, la vita quotidiana viene ribaltata, da qui lo spunto per scavare le mancanze della nostra società e la pochezza delle persone che la compongono che di fronte al dramma tornano, e questo è il punto di forza del film, a comportarsi da esseri umani".
Così introduce Cloverfield l'amica Debora Montanari, autrice fantasy premiata alla Deepcon con il suo romanzo "I draghi di Chrysos" (pubblicato da Elara, editore che alla convention di Fiuggi ha rastrellato ben altri 5 premi!), nonché cinegiornalista radiofonica per Ciao Radio, che con quest'articolo inaugura la sua collaborazione a Posthuman con un punto di vista personale su questo film di cui s'è parlato molto, incentrato più sulle valenze "etiche" implicite nella trama che sul discorso relativo al mezzo (l'uso della videocamera in soggettiva), di cui noi abbiamo parlato a proposito del tecnicamente omologo REC.
Ma lasciamo finalmente il microfono all'autrice.
Durante la festa ci vengono mostrati i comportamenti insulsi delle persone della nostra epoca, la loro stupidità e la loro superficialità, poi il mondo cade e ogni cosa perde di significato tranne quei valori che la nostra società ha smarrito lungo la strada quasi dimenticandosi della loro esistenza. Questi valori tornano a vivere, incredibilmente, attraverso lo shock della devastazione e la paura della perdita. Perché in un simile contesto gli affetti muoiono, si smarriscono, si rimane soli e si comprende di non aver fatto altro, nella vita, che comportarsi da stupidi, senza neanche notare ciò che c’è di davvero importante, pensando solo alle cose materiali, alle feste, al bicchiere sempre pieno, creandosi problemi che non esistono perché annoiati dalla vita. Ci vuole l’evento estremo, nel caso di Cloverfield rappresentato da un mostro sanguinario, per risvegliare le menti e il lato umano, quello profondo, coraggioso e romantico, delle persone. Cloverfield sembra il solito film di fantascienza ispirato a Godzilla, ma c’è molto di più.
Il film è diretto da Matt Reeves, in modo impeccabile vista la scelta del punto di vista; non fatevi impressionare dalle prime immagini, resistete quei dieci minuti che sembra di stare in alto mare, perché poi la videocamera si stabilizza, la storia prende piede, la regia apre la visuale, l’effetto si fa forse meno claustrofobico ma decisamente più angosciante. Angosciante anche perché alcune scene, quelle dell’inizio dell’attacco, ricordano il crollo delle Twin Towers, angosciante perché sappiamo tutti che la fantascienza usa metafore estreme per individuare la realtà, quindi il mostro alieno potrebbe essere chiunque e, visti gli eventi che noi tutti stiamo vivendo, è immancabile il ricordo dell’11 settembre e un pensiero al terrorismo, capace di devastare le nostre vite. Per questo motivo Cloverfield ha avuto tanto successo, perché cerca di dirci, attraverso il cambiamento di atteggiamento e persino di pensiero di un gruppo di ragazzi che si vedono crollare addosso il mondo, di stare attenti alle cose importanti della vita, agli affetti, ai sentimenti, di non lasciarsi sfuggire l’attimo perché anche solo due minuti dopo che quell’attimo è passato, potrebbe essere troppo tardi. Questo è il messaggio di Cloverfield".
Debora Montanari
Queste le riflessioni della scrittrice, ora si riapre il dibattito sui "film in diretta": genio o astuto espediente per mascherare pochezze economiche o inesperienze registiche? Il punto di vista di Debora non coincide necessariamente al 100% con quello del posthuman-staff, ma... i siti esistono proprio per stimolare il dialogo no?