Articolo a lungo covato per rendere giustizia al cinema nostrano dopo tante critiche rivoltegli anche da questo sito negli anni, per il suo ripiegamento (sembrava) inevitabile sulla commedia d’interni e su una (spesso pseudo) “autorialità” che - il più delle volte - era solo il paravento per giustificare la povertà di mezzi produttivi e anche di visione, oltre all’abbandono dei generi pulp che dal western leoniano al giallo argentiano, dall’horror a qualche originale titolo fantascientifico avevano reso il cinema italiano esportabile e financo copiato nel mondo dai tarantini, dai Burton e così via. E che infatti dava vita a “film importanti” solo nelle presentazioni di Fazio, film poi in realtà inesistenti oltre il Brennero e pure al di qua sei mesi dopo il lancio, buoni solo per riempire palinsesti televisivi al rosolio per anziani.
A quanto pare siamo stati finalmente smentiti e possiamo festeggiare d’esserlo: personalmente, avevo cominciato a intravedere una colomba col ramoscello d’ulivo nel becco quando tra fine agosto e primi di settembre 2019 abbiamo potuto vedere (in sala allora!) a breve distanza Il Signor Diavolo, ritorno al gotico del veterano Pupi Avati, e Il Nido (The Nest) dell’esordiente Roberto De Feo (recentemente passato su Rai 4 nel ciclo Supernatural Thriller e oggi in hv per CG|Entertainment ), che dello stesso genere fornivano due declinazioni personali – l’una ambientata nel Veneto degli anni ’50, l’altra in un’aristocratica magione cupa e programmaticamente fuori dal tempo e dallo spazio – e ambedue notevolissime.
Lo stesso anno è uscito anche l’ottimo L’uomo del Labirinto, secondo noir diretto da Donato Carrisi e tratto dal suo (parimenti appassionante) romanzo omonimo, riuscito esempio di caccia al rapitore/serial killer che riesce a tenerti inchiodato con originalità e stile, pur in un genere frequentatissimo da ricche produzioni USA mainstream, anche grazie a due interpreti extralusso come Toni Servillo e Dustin Hoffman.
Uno scrittore italiano che ce l’ha fatta (sia con la letteratura che con il film, peraltro fedele al libro) dove per il sottoscritto è ancora un sogno, quindi già in sé un faro illuminante tout court!
Con le sale cinematografiche sappiamo com’è finita, purtroppo, ma la necessità dello streaming ci ha fatto scoprire comunque alcuni titoli interessanti che meritavano di non passare sotto silenzio: ci siamo a lungo proposti di dedicare una recensione all’uno, poi all’altro in quanto più nuovo, ma bando ai pianti sul non scritto. Ora li riuniamo tutti in quest’articolo, proprio perché la crescita della loro falange induce a ben sperare per un nuovo Rinascimento del cinema di genere italiano.
Nel novembre 2020 è uscito su Amazon Prime Il Talento del Calabrone, originale noir metropolitano/radiofonico (per le spicce, un incrocio fra Un pomeriggio di un giorno da cani e Talk Radio) d’ambientazione milanese (anche se girato a Roma) di Giacomo Cimini, regista della generazione dei 40enni che si è potuto fregiare di un intenso Castellitto in un originale ruolo di “cattivo” (non si può dir di più, capirete), non privo di debolezze, specie nei personaggi secondari (la sbirra troppo “americana” Anna Foglietta, il dj “stronzetto” Lorenzo Richelmy), ma comunque intrigante e di ottima suspense.
Di Dove cadono le ombre s’è già detto nell’articolo dedicato, ma ancora su Prime non potete assolutamente lasciarvi scappare l’arditissimo La Stanza del 38enne Stefano Lodovichi (già apprezzato per In fondo al bosco): vibrante mystery dai toni cupi e verdastri che parte da una situazione molto kammerspiel – lui viene alla casa per la stanza in affitto, lei non gliela vuole dare perché si stava suicidando (vedete la scena nella locandina in alto), parte un dialogo serrato sempre al chiuso in drammatico crescendo fino all’arrivo del marito di lei e... – che via via si dilata a un surreale, spiazzante loop temporale. A noi ha ricordato persino un certo “surrealismo simbolista” alla Madre di Aronofsky (e scusate se è poco!): è una delle visioni più particolari degli ultimi tempi, che consigliamo calorosamente a chi non teme i rompicapi strizzameningi.
Film non facili, questi ultimi due, che non assomigliano in nulla a ciò che abitualmente ci si aspetta (si teme) dall’idea di “film italiano” (un po’ come The Place di Genovese, se volete).
Chiudiamo in bellezza con Il Primo Re (locandina in apertura) di Matteo Rovere – anche lui valente non-ancora-40enne, già premiato per il divertente Smetto quando voglio – coraggiosa produzione fantasy storica per una versione fangosa e violentemente tribale del mito di Romolo e Remo tutta dialogata in protolatino (sottotitolato, tranquilli!), che non fa rimpiangere in nulla il Valhalla Rising di Refn (da cui sugge molto, crediamo): sicuramente un impegno produttivo non da poco per la coproduzione italo belga con Rai Cinema (01 Distribution), uscito in sala nel 2019 ma oggi fortunatamente recuperabile su Raiplay.
E voi recuperatelo. Anzi, recuperateli tutti se potete. Non ve ne pentirete.
Aveva ragione Roberta Enni di Rai Gold nella nostra intervista sul blog di LiquidSky: il cinema italiano è in forma migliore di quanto ci aspettassimo. Meglio così, c’era molto da recuperare.
Confidiamo che sia solo l’inizio. Noi siamo pronti (anche con qualche soggetto).
Mario G