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E' terribile. Scrividescriviillustraspiega. No, evocavisualizzametaforizza.
Tutto inutile, un film di Terry Gilliam è sempre incontenibile, irraccontabile, indescrivibile. E' più grande della vita, figuriamoci della parola per descriverla...
E questo Parnassus (L'uomo che voleva ingannare il diavolo, nelle sale italiane dal 23 ottobre) è Gilliam al quadrato, dilaga sul mio blocco, sto già prendendo appunti su tre fogli contemporaneamente...
Ma non posso arrendermi così. Proviamo.
Abituato da sempre alle imprese titaniche e alle catastrofi più rovinose (vedetevi Lost in La Mancha sul suo incompiuto progetto sul Don Chisciotte), Terry Gilliam - per il suo primo soggetto originale da anni a questa parte - ha fatto le cose in grande. C'era da dubitarne?! Ora che il digitale (come dicevamo già QUI) consente di dar forma alle fantasie più spericolate a costi tutto sommato (quasi) umani, il regista incubo di ogni produttore per le sue richieste faraoniche ha potuto tracimare sulla pellicola con una piena d'immagini surreal-onirico-grottesche da vertigine, roba da far sembrare La Fabbrica di Cioccolato di Tim Burton un filmetto d'epoca in bianco e nero!
In un certo senso, Parnassus sembra insieme una summa e un superamento di tutto il cinema di Gilliam fino ad oggi, in cui convivono senza problemi il mito di Faust con il fantasy moderno di Neil Gaiman e la Tempesta shakespeariana (Parnassus mi ricorda un po' Prospero).
Lo spunto di partenza è l'Immaginarium (foto a sinistra), teatrino itinerante del mago Parnassus, appunto, contenente lo specchio miracoloso che, se lo attraversi, ti proietta nel mondo dei tuoi desideri: un luna park di dolci colorati (che sembra uscito da Sergeant Pepper dei Beatles) se sei un bambino, una selva oscura in cui piovono bottiglie dagli alberi se sei un teppista ubriaco, una megavetrina di ciclopiche scarpe alla moda se sei una signora chic, oppure una romantica gondola sul fiume se sei una ragazza innamorata con il suo bello.
Parnassus-Plummer è un idealista: offre alla sorda e fredda gente della Londra d'oggi la sottile e incompresa bellezza della fantasia. Ma il diavolo Tom Waits (foto qui a destra e sopra con C. Plummer) ci mette lo zampino: per riscuotere un'antica scommessa, si prenderà l'anima della figlia Valentina quando fra tre giorni compirà 16 anni.
A meno che... Parnassus non gli offra in cambio cinque anime 'fresche' per salvare l'amata pulzella. Gli sarà di grande aiuto il disinvolto aiuto dell'affascinante, istrionico quanto ambiguo Tony-Heath Ledger, di cui subito Valentina s'innamora.
Ed eccoci alla catastrofe di Gilliam: Ledger (foto a sinistra) muore prematuralmente durante le riprese e il film rischia di fare la fine di Don Chisciotte, se non lo salvasse una magia degna del Parnassus, i sosia multipli: Johnny Depp, Colin Farrell e Jude Law s'alternano nel ruolo di Tony in omaggio allo scomparso amico Heath.
Sarà la follia della storia, ma l'escamotage riesce da dio: i tre attori compaiono in successive incurisoni dentro lo specchio magico, quindi perché stupirsi se in un mondo di fantasia un personaggio (come del resto tutta la realtà attorno a lui) cambia leggermente faccia?
I dubbi che a me suscita il film sono altri, se mai: l'opera di Gilliam è assai più profonda, sfaccettata e articolata di quanto la sua esuberanza visiva potrebbe lasciarci intendere a prima vista. Ok, c'è la lotta Bene-Male (Parnassus-Mr Dick) di ogni fantasy che si rispetti, l'esaltazione del potere della fantasia (l'Immaginarium) sulla pochezza della vita contemporanea, arida e materialista.
Ma non è tutto qui: l'ambiguità del personaggio di Tony, prima benefico per il teatro e alla fine sordido, cosa significa? L'ingannevolezza delle apparenze? O c'è altro?
E il finale - che non svelo per correttezza, anche se non è certo l'apice del film - cosa intende simboleggiare? Mi sembra di intravedere in Parnassus e nel suo destino delle simbologie mistico religiose, anche se non riesco a metterle bene a fuoco...
Gilliam sfugge alla mia presa, forse è proprio questo il suo fascino e lui non ambisce a trasmetterci allegorie e simboli univoci ma ci lascia uno spazio d'interpretazione soggettiva. Liberi come la fantasia? Del resto, leggendo come è stata laboriosa la stesura della sceneggiatura da parte di Gilliam e Charles McKeown (Brazil) e quale spazio è stato lasciato all'improvvisazione degli attori (Ledger su tutti) nella definizione dei caratteri, non può essere che così........ o no?
Aiuto, quest'articolo mi si sta sfrangiando in mille interrogativi invece che in una visione compiuta da trasmettere a voi che mi leggete. Come un salone degli specchi magrittiano che va in frantumi. Sarà la volontà di Gilliam... o quella del perfido Dick-Waits che mi sta disorientando?
Vi prego, andatelo a vedere e poi venitemi a prendere, sono dietro lo specchio e ormai sto scrivendo su dieci pagine contemporaneamente...
Mario G