Qualche giorno fa mi son messo a riascoltare gli Stranglers: avevo il loro primo e terzo cd, ma non li avevo mai sentiti tanto, quando li avevo presi erano finiti presto sullo scaffale. Ora li ho apprezzati come meritano e ho capito perché: sono un gruppo new wave di prima qualità, anche perché… suonano bene, quasi come una band progressive degli anni pre-punk! Detto allora sarebbe suonata una bestemmia, ma ascoltateli con attenzione… sentite quell’organo così doorsiano? Se ascoltate la cover di Bacharach (Walk On By, nei bonus di Black and White) non potete non notare che la lunga parte strumentale centrale è praticamente sovrapponibile a quella di Light My Fire by Manzarek-Krieger. “Forse suonavano troppo bene per sfondare, al loro tempo”, mi dice Fabio Bianco di Psycho, che mi ha venduto i cd ed è un loro fan storico.
Come anticipato nell’occhiello, Love, Lust and Revenge (in apertura la copertina, che fa molto cronaca nera) contiene 5 brani prodotti (ma anche suonati e due pure composti: Pass The Gun Around viene da DaDa di Alice Cooper, Under My Skin era destinata a Welcome 2 My Nightmare) da Dick Wagner, chitarrista extra lusso già al fianco (spesso in coppia con Steve Hunter) di Lou Reed (Berlin, Rock’n’Roll Animal e Lou Reed Live), Alice Cooper (dal ’72 al ‘91), ma anche con Peter Gabriel, Kiss, Aerosmith etc .
E si sente, ragazzi, se si sente: il mini (28‘ di durata) ha un suono rotondo e corposo che ricorda proprio il Lou Reed di metà Seventies, con dei coretti alla Bowie (diciamo Aladdin Sane) e qualche inflessione vocale che in effetti potrebbe anche ricordare il Peter Gabriel di passaggio del debutto solista. Tutti capolavori circa della stessa epoca, in cui in effetti il Wagner ebbe il suo bel ruolo nella definizione del suono.
Come ha fatto qui, dove raffina il Mugshots sound, originariamente più horror punk, dalle parti di Damned/Lords of the New Church (con i quali hanno anche suonato dal vivo, vedi foto sopra a sinistra), o dei succitati Stranglers (foto sotto a destra), “grandi fonti di ispirazione”, dice il cantante e compositore Mickey E.Vil (Michele Savoldi): “In effetti i Mugshots esistono perchè esistono gli Stranglers, coi quali abbiamo tra l'altro una solida amicizia, in particolare con Hugh Cornwell (che vedete con lui nella foto qui a lato, NdR), che abbiamo pure portato in Italia il marzo scorso”.
Ascoltando le composizioni della band bresciana, già più evolute dello standard punk, Max Gasperini della Black Widow (che distribuisce l’album) intuisce però che lo spettro dei Mugshots (il nome indica le foto segnaletiche della polizia USA) è più ampio: “facevano (e tuttora fanno) un horror rock tra Lou Reed, Stranglers, Damned e Lords of the New Church, con spiccati riferimenti anche ad Alice Cooper (e persino una passionaccia per certi Marillion!). È stato facile capire che potevano ‘progredire’ oltre. E con ciò intendo potenziare la componente prog già presente nel loro dna, in modo da essere apprezzati anche da quella fascia di pubblico: le loro armi compositive sono già abbastanza affilate per conquistarlo. La via per arrivarci si chiama Blue Oyster Cult, un gruppo hard/metal con che aveva nel proprio suono marcate componenti prog. Come c’erano del resto nel punk degli Stranglers”.
Ecco svelata l’introduzione dell’articolo: una connessione che Danilo Arona definirebbe una “consonanza cosmica” (sprofondate nel suo Protocollo Stonehenge, se ne riparlerà)!
Nella direzione tratteggiata sopra da Gasperini andrà dunque l’album full length che i Mugshots hanno già pronto a livello di scrittura dei brani, con in programma di registrarlo nel 2014, ancora una volta portando in studio ospiti di spicco e prendendo definitivamente il volo per quanto riguarda l’orizzonte sonoro.
Mentre la componente glam rimane – oltre che nelle aperture tastieristiche – nei paludamenti del cantante da Baron Samedi vuduista (che vedete nella foto a sinistra e nei loro video live): “Baron Samedi è un personaggio che ha catturato la mia attenzione sin da piccolo, grazie al film di James Bond Live And Let Die e, in seguito, anche grazie ad altri film che trattano il Voodoo, come Il Serpente E L'arcobaleno, Zombi 2, Demoni 3, The Skeleton Key etc. inoltre trovo il Voodoo affascinante come tutte le religioni sincretistiche, dato che contiene elementi africani tanto quanto elementi cristiani ed europei”.
Eh, sì, prevedo che risentiremo parlare di questo gruppo... e che saranno cose di serie A.
Tutt’altra aria tira – pur definendosi sempre in ambito glam rock – nel primo album solista di Dregen, chitarrista fondatore dei garage punk svedesi Hellacopters e dei Backyard Babies, recentemente a fianco di Michael Monroe in Horns and Halos. Arrivato, dopo 25 anni di onorata carriere r’n’r al debutto come solista con questl’album omonimo (etichetta Caroline/Universal, copertina qui a destra), Dregen non muta di una virgola le coordinate del suo sound grezzo e stradaiolo di sempre, perfettamente definito dalle sue collaborazioni: quel perfetto equilibrio fra hard e punk primordiali, che punta alle viscere senza fronzoli e che nell’articolo sul Monroe abbiamo già ben definito.
Lui nelle presentazioni sfoggia a sua volta un’attitudine idealmente “progressiva”, dicendo d’essersi chiesto “Come diavolo posso ottenere le sensazioni di KISS, Slayer, Beastie Boys e Miles Davis in un solo disco?’. Ma ci sono riuscito e suona proprio come me. È un disco ad alto voltaggio rock’n’roll con le più grandi canzoni che io abbia mai scritto e registrato”. Però, ecco, dove stia Miles lo sa solo lui, e secondo me anche il thrash degli Slayer e il metal-rap dei Beastie sono abbastanza lontani da queste sponde. Ma quella miscela immutabile di Iggy, NY Dolls, Kiss (loro sì!), Hanoi Rocks, con gli Stones a guardar dall’alto benevoli il tutto, se ben cucinata garantisce sempre onesto divertimento. E questo è il caso: le canzoni di Dregen rivaleggiano in efficacia con quelle dell’ultimo Monroe, e forse lo superano addirittura (Flat Tyre On A Muddy Road è il vertice per me).
Al suo fianco nel disco, Nicke Andersson (ex batterista di Entombed , co-fondatore di Hellacopters e ora leader di Imperial State Electric) alla batteria, basso e chitarra ritmica in tre canzoni di cui è coautore; l batterista Karl Rockfist (con Michael Monroe e Danzig) e i bassisti Sami Yaffa (Hanoi Rocks, New York Dolls, Joan Jett, Michael Monroe) e John Calabrese (Danko Jones), mentre Dregen si è occupato di tutte le chitarre e delle voci. Ospiti speciali dietro il microfono: lo stesso Danko Jones e la cantante svedese Titiyo.
Quando si ha questa miscela nelle vene, dicevo, inutile cercare di complicare la storia: sempre grezzo garage punk ne verrà fuori – magari con un po’ di eyeliner fra la frangetta sudata e il labbro vermiglio (“Il glam? Bah, solo r’n’r col rossetto”, disse Lennon a Bowie, ai tempi di Fame) – ma noi non ci lamenteremo, perché sappiamo che quello è il piatto del giorno e altro non chiederemo.
Poi, quando vorremo tornare ad affrontare l’ampio discorso “revisionista” su quanto del “passato” psichedelico e progressive si celasse in realtà sotto la nuova onda punk/wave/dark, che a parole si poneva in radicale contrapposizione colla generazione precedente (“never trust a hippy”)… beh, il discorso è stimolante: torneremo a riflettere su Stranglers, Damned, ma anche PIL e le loro evoluzione ed eredità, come sull’amicizia che legava Michael Monroe, Stiv Bators e Brian James, Axl Rose, scavalcando gli apparentemente insormontabili confini fra punk e metal... ne riparleremo proprio con Massimo Gasperini di Black Widow, restate connessi.
Mario G