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Che bella atmosfera al S+F!
Lasciatemi aprire con questa piccola banalità: al di là dell’organizzazione impeccabile e ospitale, è una gran boccata d’aria fresca immergersi per (ahinoi solo) due giornate nel proprio elemento, circondati da gente che condivide le tue passioni, capisce di cosa parli e cui non devi mai spiegare “ma perché t’interessa tanto quella roba lì”.
Invece, vai alle proiezioni e sei seduto di fianco a Lippi di Urania, al regista Castellari, che poi consegna i premi a pochi metri da te insieme allo scrittore-guru Sterling (nella foto a sinistra, alla premiazione) e a Gomarasca di Nocturno, pranzi con Mongini parlando dell’enciclopedia del cinema di s/f e di fianco a te siede il giurato Marcello Rossi, che produce dvd… e buona parte di quelli che ti stanno intorno hanno anche loro una sceneggiatura nel cassetto, se non un corto in programma.
La sera ti bevi una birra col gioviale Todorovic of the dead (qui a destra la nostra storica stretta di mani zombificate!) o chiacchieri con Shadow-Zampaglione e per un po’ non ti senti come al solito un animale allo zoo
Chiamale emozioni
Poi, certo, ti subentra un’ombra di malinconia, quando osservi che l’età media di questi registi francesi, spagnoli, belgi, inglesi, americani, sta sui 30 anni o poco più. Sembrano ragazzoni timidi, gli luccicano gli occhi pensando che sono finalmente al festival, in molti casi con la loro opera prima da Autori. Nessuno se la tira da star, ma dentro di te tu lo sai che loro ce l’hanno fatta.
Loro sì, perché FUORI DALL’ITALIA si riesce ancora a trovare uno o due milioni di euro per fare un film fantastico pieno di ragni giganti o di vichinghi rabbiosi, di zombie carnivori o di bizzarri personaggi animati.
Anche registi giovani e senza santi in paradiso trovano coproduzioni, anche le più improbabili: pensate che First Squad (Asteroide d’Oro al festival, qui a sinistra un totale della sala durante le premiazioni) è una coproduzione nippo-russo-canadese!
Si riesce ancora a fare del cinema originale, personale, profondo o sperimentale, non schiacciato da tonnellate di sfx o da divi-superstar, dai cliché del mainstream che nei multisala standardizzati cui ci stiamo rassegnando rischiano di apparirci “la norma”.
Al di là delle Alpi – solita storia – c’è ancora chi rischia per lanciare un nome nuovo che forse ha avuto una buona idea, non si investono milioni in film che accontentino i politici al potere, i quali – avete notato? – ci convincono d’averci messo al riparo dalla crisi, tranne quando questa vale come scusa per ridurre i finanziamenti alla cultura (e quindi ai festival come il S+F)… oppure per consentire a qualche imprenditore paraculo (o multinazionale) di chiudere fabbriche e licenziare dipendenti, per riaprirle all’Est a costi dimezzati. Allora lì la crisi è tremenda, una piaga apocalittica, come nei film di quest’anno!
Ombre come luci
È quell’ombra di malinconia che ci fa salutare con grande ottimismo l’esperimento di Shadow, l’horror di Federico Zampaglione, di gran lunga il prodotto italiano meglio girato, e prodotto con mezzi finalmente decenti, fra le pellicole che di recente han cercato di rivitalizzare una tradizione italica che sembrava destinata a spegnersi (dal Bosco Fuori a Nympha a Visions, volonterosi ma sempre un po’ troppo artigianali).
Shadow – premio nuove visioni di Nocturno – narrativamente gimcana tra fin troppi riferimenti classici (il Tranquillo Weekend di Paura, Non Aprite Quella Porta, l’attuale sottogenere torture porn e un finale preso da Allucinazione Perversa di A. Lyne); ma vanta alcune sequenze notevoli (come l’inseguimento jeep-bici in montagna) e la performance inquietantissima di un ‘Cattivo’ da antologia (la Morte stessa?), interpretato con intensità liturgica, straniata, dallo spettrale mimo Nuot Arquint (primo piano qui a destra).
Probabilmente non è un capolavoro assoluto, ma un film che potrebbe finalmente riaprire un mercato internazionale per il prodotto italico, ridando linfa a future possibili coproduzioni. Ce ne fossero…
Shadow, il già citato Zone of the Dead, il Mèliès d’Argento all’inglese The Children (bambini killer di adulti nell'occhio qua sotto a sinistra)… avrete già notato quanto cinema “de paura” era presente al Festival, accanto alla sezione più rigorosamente “fantascientifica” della manifestazione: indice di uno sguardo positivamente aperto su tutte le declinazioni del fantastico, dal fantasy storico al thriller psicanalitico, fra le quali in questo periodo l’horror gioca sicuramente una parte da leone.
Ci torneremo nel corso di un altro articolo, in cui vogliamo approfondire i 3 film che abbiamo preferito nella nostra due-giorni triestina.
Ladies and gents, the winners are
Ora qualche cenno alle opere premiate, col solo rimpianto di non averle viste (ma solo per ragioni di tempo e sovrapposizioni): First Squad di Yoshiharu Ashino (di cui vedete un fotogramma in apertura) è un film d’animazione (stile Miyazaki) ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale: una ragazzina scopre di possedere un potere straordinario: prevede il “Momento della Verità”, ovvero il momento esatto in cui le azioni di una singola persona possono decidere l’esito della battaglia. Ma la giuria presieduta da Bruce Sterling assegna una Menzione Speciale anche allo svedese Metropia di Tarik Saleh (ma sarà proprio svedese quel nome?!), cupo affresco in 3D di un’opprimente Stoccolma cospiratoria e kafkiana.
È invece una fantacommedia sentimentale, TiMer di Jacqueline Schaeffer, dal tocco lieve sul tema dei sentimenti e della ricerca dell’anima gemella, ad aggiudicarsi il Premio del Pubblico. La graziosa e simpatica giovane regista americana era stupita “di ricevere un premio ad un festival di s/f, con un film privo di zombie, di sangue, epidemie etc.”… forse ignora che nel Belpaese la commedia vince sempre e ovunque!
Comunque amore e partner ideale sono al centro anche del corto premiato, Virtual Dating della francese (ancora una donna) Katia Olivier.
Ma, tranquilli: le epidemie abbondavano vistosamente in quest’edizione. Segno dei tempi? Probabile: fatti due conti, ruotano infatti su apocalittiche infezioni – oltre al citato Children di Tom Shankland – il buffo Infestation di Kyle Rankin, a base di ragni giganti molto anni '50, lo straziante capolavoro Carriers (prod. USA ma regia dei fratelli spagnoli Pastor), di cui vi parleremo a parte; ancora, l’altro fanta horror inglese Salvage di Lawrence Gough e lo zombesco splatter serbo-italo-spagnolo Zone of the Dead del citato Todorovic. Sembra insomma che, al borsino delle catastrofi, attualmente i contagi letali battano nettamente le catastrofi belliche.
Il silenzio della ragione
Oltre alla tematica millenaristica, un’altra sensazione che personalmente ho tratto dalle visioni festivaliere è stata quella della sfiducia, dell’eclissi degli strumenti del raziocinio: scienza e linguaggio che, almeno in una versione classica della s/f, dovrebbero essere pilastri dell’impianto narrativo. Invece, nei film di stagione la minaccia incombe sull’umanità improvvisa, imprevista, incompresa. Talvolta persino innominata (in Carriers si parla solo di “contagiati” ma la malattia non ha nome). Nessuna equipe medica lotta contro la peste di turno, nessun illuminato scienziato solitario si affanna a spiegare al mondo la soluzione da lui individuata contro ogni prassi… non c’è cura, nemmeno un barlume di comprensione del fenomeno all’orizzonte: nel fanta contemporaneo la scientia tace.
Anche il logos, la parola si è ridotta all’osso di seppia: visti (casualmente) uno dopo l’altro, i bellissimi e diversissimi Valhalla Rising (foto a destra) del danese Refn e Amer de franco-belgi Forzani e Cattet sbriciolano sì e no un centinaio di parole fra tutti e due, in un deserto di dialoghi intirizziti. “Language is the virus”?
Se la ratio tace, invece la tecnologia – sua pragmatica figlia – parla, e in abbondanza (con la melliflua voce di Kevin Spacey), nello struggente Moon di Duncan Jones: una gemma di fantascienza “anni ‘70” che sembra davvero “caduta sulla terra” (come il celebre padre del regista); per quanto caduta assolutamente in piedi, grazie a una regia salda, straordinariamente matura e dolente per un debuttante. {mosimage}
Del quale però avete già letto QUI, sicché io mi limito a confermare il plauso già espresso da Walter nel suo pezzo (e a mostrarvi a sinistra un drammatico confronto fra i "due Sam").
Nel prossimo articolo ci concentreremo dunque proprio sul barbarico Valhalla Rising, l'inquietante psicanalitico surreale Amer e il desolato on-the-road Carriers, approfondendo le personalissime poetiche dei rispettivi autori e cercando di rinvenire – se possibile – dei fili sotterranei che possano collegare tre pellicole che più diverse l’una dall’altra non potrebbero essere.
Proseguite QUI.
Resterebbe ancora da dire di Triage (di Danis Tanovic, già regista del bellissimo No Man's Land, con Colin Farrel, Paz Vega e il premiato Cristopher Lee), il primo film del programma triestino ad essere già approdato al circuito delle sale italiane. Ma proprio per questo vorremmo dedicare anche a questo film un articolo a parte più avanti.
Gran bel momento, questo festival.
Restate connessi.
Mario