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Premessa in nome della chiarezza: Roland Emmerich, secondo noi, è uno di quei registi che andrebbero cancellati per sempre dalla storia del cinema: autore di stucchevolissimi blockbusteroni roboanti di effetti speciali, è un regista che si spinge ben oltre la banalità della caratterizzazione 'da cartolina' di personaggi e sentimenti stereotipati (che nel cinema d'azione non son mai mancati). No, lui dev'essere apocalittico anche ideologicamente.
Ricordiamo ancora con autentico orrore le deliranti scene di "Independence Day" in cui l'immaginario presidente USA si metteva alla testa dell'armada aerea mondiale (manco a dirlo) nella battaglia di riscossa dagli invasori alieni (il vero Sogno Americano, dovremmo averlo sempre presente), in una sequenza eroicheggiante d'un livello di retorica da far apparire John Wayne un obiettore di coscienza!
Non più evoluta la sua scrittura narrativa, che presenta gli effetti (sempre spettacolarissimi) della catastrofe di turno attraverso le stucchevolissime peripezie di padri/mariti eroici che lottano contro l'Ineluttabile per salvare mogli, figli o altri affetti dall'armageddon. Riuscendoci pure, in omaggio alla trita morale dell'happy ending hollywoodiano per famiglie.
Quindi dissentiamo vigorosamente dalle attestazioni di stima profuse da Debora al regista per i suoi film passati, che leggete di seguito. Ma Posthuman non è casa di un pensiero unico, si avvale ed esprime diverse menti e sensibilità. Come analizza approfonditamente film horror - ai più invisi come porcherie per dementi o sadici - deve guardare anche ad altri generi di film commerciale senza pregiudizi.
Ecco perché qui trovate la recensione firmata dalla conduttrice di Cinema alla Radio - che, d'accordo o meno con noi, guarda sempre il cinema spettacolare USA con un occhio scevro da snobismi intellettuali - esattamente come lei ce l'ha mandata. Come sempre, del resto.
Seconda premessa: questa non è neppure una doppia recensione, come abbiamo fatto nel caso di "Baarìa" (visto da Walter e Crisitna). Solo Debora ha visto la pellicola di Emmerich, mentre le nostre affermazioni stanno nel campo del pregiudizio, motivato dallo sguardo d'insieme sull'opera del regista.
Su "2012", quindi, la parola spetta a lei.
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Roland Emmerich torna a raccontarci un probabile futuro, tra splendidi effetti speciali, una trama troppo piena e una sceneggiatura carica di assurdità.
Per “2012” l’attesa era tanta, soprattutto perché quando si parla di film d’azione Roland Emmerich è uno di quei registi che vengono più spesso citati. Questo perché Emmerich ha la capacità di infondere ai suoi film una energia inesauribile, come se avesse scoperto una sorta di “fusione fredda cinematografica”, un’energia capace di catturarti come una luce catturerebbe una falena e di tenerti attorno a quella luce ogni volta che si accende, anche se ormai sai come va a finire. Al di là dei contenuti, che possono piacere o non piacere, non si può negare il fatto che faccia film divertenti e quando dico divertenti, non parlo di commedie ma di film che sanno intrattenere; per questo si riguardano più volte: perché alla fine, si sa, sono sempre un paio d’ore spese bene. Detto questo, perché dovuto a un buon regista come Emmerich, posso anticiparvi che a “2012” manca l’energia inesauribile, anzi, sembra un falò da campeggio: più brucia e più si consuma, più si consuma più si avvicina allo spegnimento.
“Il troppo stroppia” dice un proverbio, vero sempre, valido in ogni situazione, azzeccato quando il riferimento è diretto a questo film. Io, che sono una sostenitrice della sospensione dell’incredulità nel momento in cui si è davanti al grande schermo, mi ritrovo in questo particolare caso a sostenere che Emmerich, che è anche sceneggiatore di “2012”, ha esagerato con l’inverosimile. La quantità di esagerazione si può determinare attraverso un confronto con “The Day After Tomorrow” (2004), un confronto equo dal momento che il film è stato scritto e diretto sempre dal regista in questione.
I “disaster movies”, soprattutto quelli dedicati alla fine del mondo, vengono costruiti su teorie scientifiche che analizzano una situazione negativa attuale e ne sviluppano virtualmente la crescita, per poi arrivare a capire a quale disastro potrebbe portare. Quando trattano questo tema, gli scrittori di fantascienza sono obbligati a rimanere sul confine tra ammissibile e inverosimile.
Con “The Day After Tomorrow”, narrando gli eventi catastrofici che possono derivare da una innaturale alterazione del clima, Emmerich era riuscito a stare in equilibrio su questo confine: ha infatti esaltato la spettacolarità delle sequenze, ma senza stravolgere l’evoluzione scientifica degli eventi descritti o il loro grado di distruzione. Se il clima è devastato, c’è un’alta probabilità che scendano potenti tornado su Los Angeles ma non può accadere che il protagonista venga inghiottito da uno di questi tornado e ne esca incolume, non siamo a Smallville! In “2012”, che racconta il disastro globale causato da un’attività anomala del sole, si arriva a questi livelli di assurdità, quindi il confine è stato superato per entrare nel più ridicolo inverosimile.
Potrei anche descrivervi uno dei tanti momenti in cui Emmerich ha deciso di sovradimensionare la forza, l’abilità e la fortuna dei protagonisti, ma sarebbe cosa lunga e soprattutto svelerei sequenze che qualcuno gradirebbe comunque godersi con una certa sorpresa; mi limito quindi a far riferimento al supervulcano di Yellowstone, fatto esplodere alla stregua di Mount St. Helens (forse neanche, vista la facilità con cui ne escono i nostri eroi), dimenticando che davanti alla parola vulcano, quando si parla di Yellowstone, c’è quel “super” che, se mai esplodesse, farebbe la sua egregia differenza.
Ci troviamo quindi di fronte a un film eccessivo da tutti i punti di vista, persino nella trama, così satura di prove di sopravvivenza, soprattutto per il protagonista Jackson Curtis (John Cusack), da portare alla noia.
La sceneggiatura ha un buon pregio: spiega con estrema chiarezza il complesso argomento della dislocazione della crosta terrestre e le cause che porterebbero a un simile stravolgimento; e ha un difetto devastante quanto la suddetta dislocazione: è l’apoteosi della retorica e vi assicuro, di quella più ipocrita. È anche l’apoteosi dei padri eroici: il padre eroe è una figura fissa nelle storie di Emmerich, credibile, accettabile e anche gradita, ma qui sono tutti padri eroi, tropo eroici per essere veri, soprattutto troppi: ce n’è una concentrazione che fa pensare più a un virus che alla buona coscienza.
Ci sono poi momenti che prevedono comportamenti dei personaggi coinvolti che vanno oltre l’umano, spingendosi fin quasi all’angelico (non dico fino alla santità, perché i santi sono troppo in basso nella gerarchia divina), in una situazione che fin dall’inizio fa capire che buona parte di quelli che si salveranno, avranno poco di angelico e tanto della meschinità umana. Preciso che il mio non è cinismo ma ironia, perché solo l’ironia può far comprendere quanto “stroppia” questo film.
In tutto questo “troppo che stroppia”, c’è da dire che il messaggio lanciato dal film è coraggioso, forte e chiaro: se siamo prossimi alla fine del mondo nessun governo, per motivi che potete ben immaginare, lo svelerà alla popolazione. Rimarremo nell’ignoranza fino a quando sarà troppo tardi, mentre altri, i potenti e i ricchi disposti a pagare, troveranno un posto sulla scialuppa di salvataggio. Applauso per Emmerich che ce lo rivela all’inizio senza mezze misure; pollice verso invece dal momento - e lo fa poi fino alla fine - che cerca di tamponare la rivelazione facendo apparire tutti quei bugiardi egoisti come dei salvatori, ridicolizzando il film e sminuendo il messaggio che, tra l’altro, è la colonna portante della trama.
Concludo sottolineando che in “2012” manca l’avventura (che invece permeava tutto “The Day After Tomorrow”): quella che ci viene presentata è solo un’accozzaglia di eventi che non stanno... né in cielo né in terra, benché cielo e terra ne siano i veri protagonisti.
Debora Montanari