"Probabilmente siamo in tanti qui dentro"
(cit. di Danio Manfredini sulle molte identità dell'attore, dall'Incontro '20 anni di Cinema Cielo'
al Teatro Menotti, 12 marzo)
---La scena si apre su una gigantografia proiettata sul fondale (qui a destra) con la facciata del vero Cinema Cielo, sala a luci rosse chiusa (come tutte quelle di quel settore) nei primi '90 in quanto ormai puri luoghi d'incontro gay e di prostituzione. Divine (Danio Manfredini), un travestito francese, si presenta come "in missione per conto di Gesù", ma senz'alcuna ironia alla Blues Brothers: lui/lei sa di dover "offrire amore a chiunque incontri sul suo cammino". "Ma che missione..." commenta, strappando qualche incongrua risatina nel pubblico del Teatro Menotti (stracolmo per Manfredini).
Incongrua perché lo spettacolo (premio Ubu 2004 per la miglior regia) non è affatto 'da ridere', a parte qualche (fuorviante secondo me) siparietto comico della bigliettaia tonta del cinema porno, sedicente promessa mancata della lirica "dopo Callas e Tebaldi" (Patrizia Airoldi), è in realtà una tragedia lacerante: l'impavida discesa di Divine nello squallido abisso senza redenzione del sesso a pagamento con laidi vecchiacci, extracomunitari squattrinati marchettari per bisogno, pervertiti d'infima risma e persino disabili sulle stampelle.
E si tratta di vita vissuta: il 12 marzo – nell'Incontro con Danio Manfredini al Menotti sui 20 anni di Cinema Cielo - l'attore-regista-burattinaio, nume del teatro inquieto, ha spiegato che lui c'è stato davvero in quel cinema, ha raccolto le esperienze di chi faceva la vita di Divine, e quindi ha tratto dall'esperienza la consapevolezza (diremmo pasoliniana) che, in fondo, lo squallore di quelle poltroncine puzzolenti rappresenta un'occasione (spesso l'unica) di contatto umano - benché circoscritto alla "braghetta calata" (suis verbis) - per persone anziane, disabili o anche solo esteticamente, socialmente impresentabili.
La scena si sposta all'interno della sala del cinema-carcere: file di poltroncine, i soliti disperati d'ogni età, impersonati da manichini realizzati dallo stesso Manfredini, che si muovono solo quando uno dei quattro attori "umani" (Vincenzo Del Prete e Giuseppe Semeraro insieme ai già citati, che si ruotano interpretando numerosi figuri con continui cambi di costumi) si siede accanto a loro 'animandoli'; una sarabanda di scorci d'abiezione fra le file, nei praticabili e nelle latrine (evocate dietro le quinte), sempre nel sogno (genettianamente poetico) di un amore "vero", puro, "divino" come anela il/la protagonista, che sulla schiena della sua patetica uniforme di battaglia da travestito-spaventapasseri dei bassifondi porta sempre due emblematiche alucce rosse da angioletto.
Infatti, il suo monologo chiave finale è ancora un richiamo a Gesù sulla sua tragica missione: "tu ci fai nascere, ma poi perché non ci abbracci? Gli angeli, dove sono gli angeli, sono tutti lì con te?", vibra Divine mentre sorregge un/a collega sui trampoli in posa da crocefisso (testo riportato a memoria, potrebbe essere impreciso, NdA).
Non lo avranno mai, quell'abbraccio: Divine torna Louis Culafroy (nomen omen) nella casa di campagna della madre, che lo vedrà morire di tubercolosi delirando, impotente ad aiutarlo. Dopo che il suo amico/collega Notre Dame des Fleurs è morto ghigliottinato dopo aver confessato spotaneamente l'omicidio gratuito di un vecchio cliente in una cupio dissolvi inspiegabile quanto glacialmente apatica.
La struttura dello spettacolo sovrappone - con sfasamento che definirei forse brechtiano - l'azione in scena nel cinema ai dialoghi tratti dalla sceneggiatura per un film mai nato, che il registattore sognava di trarre appunto dal romanzo Notre Dame des Fleurs dell'amato Genet (1944). Quella sceneggiatura è il testo della lettura scenica intitolata appunto Divine, che Manfredini ha tenuto al Menotti l'11 marzo (in serata unica), solo al microfono, facendo scorrere sullo schermo di fondo i disegni (almeno un centinaio) che avrebbero dovuto essere lo story board del film.
Reading intenso e toccante, che ben rende il mood del lungo e non facile romanzo di Genet (ne vedete uno scatto 'rubato', come direbbe lo scrittore-ladro, qui a lato). E che è fondamentale per cogliere i due piani paralleli su cui si svolge tutto Cinema Cielo, in cui quel testo scorre in forma di banda registrata con le voci degli attori, ma non sempre direttamente rapportabile alle loro azioni sul palco (dove appunto non sono presenti diversi personaggi di contorno del romanzo/reading come la madre). Purtroppo la resa sonora dell'audio registrato non è perfetta e talvolta si perde qualche frase, specie se non si è vista la precedente serata del reading, che certamente aiuta a tenere la barra dei due livelli di narrazione.
Da narratore, il sottoscritto trova che forse, benché teatralmente più povero e statico, il reading risulti più agevolemte leggibile e quindi emotivamente intenso - grazie all'intensa voce baritonale di Manfredini - rispetto allo spettacolo compiuto, che pure è sicuramente più scioccante nel rendere anche visivamente il colorato inferno 'a paillettes' in cui si dibattono i protagonisti, come i serpentelli catturati dall'amichetto che inizia Louis ai piaceri omosessuali che poi lo renderanno la Divine che noi vediamo in scena.
Vibrante la colonna sonora scelta dal regista, con il solenne Corale da La Passione secondo S. Matteo di Bach (già usata da Pasolini in Accattone per epicizzare una rissa di borgata), Pulk/Pull Revolving Doors dei Radiohead (ideale per qualsiasi suicidio), Forever Young di Dylan (a contrappuntare una grottesca orgia di anziani), Why? dei Bronsy Beat (perfette icone gay dagli '80), The great gig in the sky (l'esecuzione di Notre Dame, che così "avrà per sempre vent'anni") e Confortably Numb dei Pink Floyd (la morte di Louis/Divine febbricitante nel letto di casa).
Da spettatore, ho visto Cinema Cielo per la prima volta la sera del 13 al Menotti quindi non posso dire se la messa in scena sia stata modificata rispetto agli allestimenti passati. ma se vi trovate nella medesima mia condizione, non perdetevi una delle prossime (purtroppo solo tre) repliche.
Mario G.