Non facile scrivere qualcosa d'intelligente all'altezza di un film cupo e geniale come Crimes Of The Future, filosoficamente lucido quanto visionario sul futuro della nostra specie, come da sempre è il miglior Cronenberg, autore di una filmografia straordinariamente coerente e compatta, anche nelle sue evoluzioni dal body horror (praticamente sua invenzione) ai mostri dei media, della psiche, dai soggetti originali a monumentali riduzioni letterarie e ritorno.
Passato a Cannes con molto minor clamore del Titane della Ducournau - con cui pure ha parecchio in comune - e presumibilmente destinato a non maggior successo del suo precedente Maps To The Stars (chi se lo ricorda? Recuperatelo!) Crimes Of The Future è infatti summa e superamento di eXistenZ, (le porte corporee per il gioco virtuale), Crash da Ballard (il sesso "macchinale") e su tutti del burroughsiano Naked Lunch: le macchine organiche, il cospirazionismo paranoico dove tutti sono agenti di qualche bizzarra fazione politica.
Persino gli esterni squallidi girati la scorsa estate in un'Interzona di anonimi vicoli ateniesi, fra relitti navali e graffiti urbani, dove ormai non si deambula per comprare una dose di paradiso artificiale o sesso a buon mercato, ma per farsi incidere la pelle. Esterni che ben dimostrano come si possa ricreare un'ambientazione autenticamente minimal-dystopic-cyberpunk anche con gli angoli marginali del nostro mondo mediterraneo e non solo con grattacieli luccicanti (le performance si svolgono in un vecchio palazzo che mi ha ricordato l'ex carcere di Procida visto pochi giorni fa, che vedete nella mia foto qui a destra).
Del resto, qual migliore set per una storia in cui una frangia d'umanità mutata si scopre in grado di nutrirsi orgogliosamente di plastica - ossia degli scarti della nostra civiltà in procinto di sommergerci - mentre il protagonista Saul Tenser (Viggo Mortensen) passa quasi per un "conservatore" dato che non nasconde il fastidio che gli crea la spontanea generazione di nuovi organi tumorali da parte del suo corpo. Organi che poi si fa rimuovere dall'ex chirurga Caprice (Léa Seydoux) tramite un avveniristico macchinario biotecnologico che pare sbucato da un incubo di Giger (a sinistra) facendo dell'atto estreme performance di body art (che ben avrebbero potuto ispirare dei seguiti dell'Outside di Bowie, qui a destra).
Pur essendo una star riconosciuta e coccolata, Saul rifiuta d'arrendersi all'inesorabilità della mutazione della specie umana professata invece da Lang (Scott Speedman), padre del bambino Brecken, il primo nato con la capacità di digerire la plastica ereditata geneticamente senza mutazioni. Bambino ucciso all'inizio del film dalla madre Djuna (Lihi Kornowsky), che non lo riconosce più come "umano".
Lang ora vuole da Saul un'autopsia-performance del figlio morto, per alzare i riflettori del mondo sulla sua fazione plastivora, mentre la "Nuova Buoncostume" per cui il performer è agente sotto copertura vuole assolutamente arrestare l'azione degli apostoli di quest'evoluzione umana neogastrica.
Non vi dico come finirà, anche se non è certo il plot, menchemeno il colpo di scena finale, il punto di forza del plumbeo, necrofilo affresco cyberfetish cronenberghiano che spinge oltre la boa anche rispetto al romanzo Divorati. Se mai, le acuminate riflessioni filosofiche sulla "nuovissima carne che il Maestro canadese semina a piene mani nella sua sceneggiatura, come ad esempio "Body is reality", "la chirurgia è il nuovo sesso" (un po' il manifesto del film), o "installo porte nel futuro".
Un affresco che colpisce duro, ancor più chi con l'asportazione chirurgica di organi tumorali ci ha avuto a che fare per davvero e non solo simbolicamente. Cronenberg (a sinistra sul set con Viggo) distilla il succo di 52 anni di body horror e oltre (il primo Crimes Of The Future è del 1970 e, con trama del tutto diversa, già parlava di mutazioni ed epidemie fatali), rilanciandolo in un grumo indigesto in faccia al mondo fissato con la chirurgia estetica, i piercing, la fluidità sessuale e la ridefinizione dell'identità, ibridato con temi ecologici (la plastica), etici (cos'è umano e cosa non lo è più, la spettacolarizzazione anche dell'interno del corpo e della morbilità) e politici.
Non è un film facile, neanche il nuovo Crimes Of The Future, difficile che riscuota del successo, per quanto esteticamente perfetto, controllatissimo come sempre e ben recitato dal ristretto cast. Non saprei nemmeno se possa essere considerato un "bel film" secondo canoni classici. Eppure al contempo è un film attualissimo e indispensabile, proiettato nel futuro benché figlio di un regista quasi ottantenne, come tutta la sua filmografia (pensate, affermare "la tv è la realtà e la realtà è meno della tv" nell'82 in Videodrome!).
Al sottoscritto ha smosso riflessioni non facili sul rischio più temuto da chi è passato sotto i ferri chirurgici: cosa farei se mi dicessero che non è finita. Riuscirei ad andare fino in fondo alla dissoluzione della carne facendone "performance letteraria"?
Tornando al cinema, la sensazione è che - al di là del cupo gelo in cui ti lascia - questo sia IL film del presente, che renderà insignificante qualunque altro film per i prossimi dieci anni.
Vedetelo alla svelta quando (da domani) farà capolino nelle sale italiane (distribuito da Lucky Red), perché prevediamo che non resterà in circolazione a lungo. Ma resterà a lungo in chi lo seguirà con la necessaria partecipazione "performativa". Anche perché parecchi segnali - oltre all'età del regista - potrebbero far pensare a un'opera d'addio (un po' come i testi di Blackstar dell'altro David sopra citato).
Chiudiamo con la dovuta menzione alla perfetta colonna sonora industriale del fidato Howard Shore, qui supportato agli archi dal Penderecki Quartet (nomen omen), autore anche delle poche canzoni che accompagnano alcune scene, fra cui la techno dello straniante balletto del performer Klinek dal corpo mostruosamente germogliato di multiorecchie (a sinistra, mentre a destra vedete un'opera di Dalì dalla mostra Spellbound).
Mario G