Ricordo che qualche mese fa Vittore Baroni, gustando una ristampa di chicche psichedeliche messicane (!) del ’66 o giù di lì, si domandava su Facebook quanto fossero sconfinate le cantine da cui ogni tanto riemergono di queste “lysergic emanations”, auspicando subito dopo (come tutti noi) che siano davvero inesauribili come queste scoperte discografiche lasciano sperare.
Del resto, come fai ad esaurire un genere vasto e magmatico come la psichedelia, non solo uno dei sottogeneri più longevi del rock, ma anche uno dei più diversificati, se è vero che l’aggettivo è stato applicato – oltre che alle garage band del ’66 di cui sopra – ai mostri sacri inglesi: ai Beatles di Sgt Pepper (qui sotto la copertina del loro capolavoro, la parodia zappiana e quella dell’omaggio dei Flaming Lips With a Little Help from My Fwends del 2014), ai Pink Floyd, Soft Machine/Kevin Ayers, Gong, Hawkwind etc.
Come anche agli americani Jefferson Airplane, Grateful Dead, Quicksilver, Moby Grape, ma anche al furibondo Jimi Hendrix, agli onnivori Zappa/Mothers, Todd Rundgren/Utopia, alla blues lady Janis Joplin coi Big Brother, all’estatico Tim Buckley e al crepuscolare Nick Drake. Ma anche, magari più trasversalmente, agli anti-hippie newyorkesi Velvet Underground, ai pre-punk Stooges di Iggy Pop e ai ritmatissimi Funkadelic (nomen omen) di George Clinton. E basta solo questo elenco di monumenti della storia della musica per capire che l’etichetta “psichedelico” in fondo è poco meno ampia della stessa definizione di “rock” e forse alla fine ognuno può includerci chi gli pare, in fondo chi può dire cos’è visionario o allucinatorio per ognuno di noi?
Ecco che così, nel passar del tempo, la psichedelia è rivissuta attraverso… i dark punk-pop Psychedelic Furs, la Psychedelic Jungle dei Cramps (qui a sinistra) le citate emanazioni dei Fuzztones (a destra), il metodico revival dei Flaming Lips, lo psycho pop barrettiano/wave di Julian Cope, Robyn Hitchcock/Soft Boys ed Echo & the Bunnymen, il funk di Prince (sotto a sinistra la copertina di Around The World In A Day), lo shoegazing di Spaceman 3, My Bloody Valentine e Loop, sull’onda di certi Sonic Youth, che alle dilatazioni psichedeliche arrivavano emergendo dal fango no wave della NY primi ’80.
Ma anche attraverso le contorsioni tra wave e sperimentalismo di Pere Ubu e Red Krayola, o lo space rock hard-hawkwindiano di Monster Magnet (a destra la copertina del loro recente Cobras And Fire), Heads, nell’imagerie dei Tool (sotto a sinistra la cover del loro ultimo album 10.000 Days, e qui siamo in ambito nu metal), dei tedeschi Vibravoid, degli scandinavi Goat (visti l’anno scorso all’Arci Magnolia, uno spettacolo) e perfino dagli ex industrial Psychic Tv di quello sconvoltone di Genesis P-Orridge (anche loro bel live), che col suo ultimo (notevole) Snakes – e l’ep Alienist appena uscito – secondo me finisce a lambire territori vicini ai… Primal Scream!
Del resto, anche certa techno (mescolata al rock tribale anche dagli Psychic Tv e dai Primal Scream stessi) è stata definita acid. E che dire del pop caleidoscopico dei recenti Arcade Fire e Tame Impala?
Insomma, la definizione è mutante (e sfuggente) come una creatura gigeriana: cosa vuol dire alla fine psichedelia? Solo che tutti questi qui si facevano come cammelli o che il rock si stava ampliando musicalmente, anche se in direzioni diversissime da artista ad artista?
Seguendo l’onda (cosmica) di queste riflessioni, abbiamo pensato di segnalarvi adesso alcune delle più interessanti uscite psichedeliche degli ultimi tempi. Come ad esempio il ritorno dei Gong oltre le frontiere… della morte: infatti il nuovissimo Rejoyce! I’m dead! è il primo album della storica congrega hip uscito dopo la morte del fondatore Daevid Allen (di cui rimane un’unica traccia vocale). Miracolo psichedelico, il sound del gruppo (cui si ricongiungono in alcuni pezzi membri storici come il chitarrista Steve Hillage e il multifiatista Didier Malherbe) risulta intatto, speziato e piacevolissimo fra jazz ed esoticherie, come quello del precursore I see you (2014), ormai ultimo parto del compianto Allen.
O quello degli Hawkwind, altra incrollabile leggenda della psichedelia inglese, che ha solcato le decadi (debutto nel ’70!) superando fieramente le boe della new wave, inglobando i sintetizzatori e ritmiche robotiche senza perdere l’essenza del proprio suono space-hard e partorendo quest’estate il loro 28° album d’inediti in studio: il robustissimo The Machine Stops, ispirato dall’omonima novella fantascientifica di E.M. Forster.
Ma il “profumato giardino” fiorisce anche in Italia, dove pure ha generato frutti policromi e interessanti, tra cui l’eccellente Magnifier dei Giöbia. Anche con collaborazioni internazionali: recente ad esempio è quella di Viola Road (notevole “Janis Joplin milanese” coi Lord Shani) coi citati Vibravoid per un ep (Stepping Stone, QUI il video della cover dei Traffic) che purtroppo è diventato rarità sin dall’uscita (nel 2015 per Fruits de Mer), ma in parte si ritrova sul loro ultimo album Wake Up Before You Die (copertina qui a destra).
Altra Joplin europea, la svedese Elin Larsson, ha appena sfornato coi suoi Blues Pills l’ottimo Lady in Gold (copertina qui a sinistra, accanto la band in concerto), album di psycho blues con inedite venature soul che vi consiglio calorosamente (e che portano live all'Alcatraz coi teutonici Kadavar il 19 ottobre).
Appena uscito per Rock Bottom Records/Audioglobe invece l’album d’esordio dei fiorentini Stolen Apple (nella foto a destra) Trenches (copertina a sinistra): 49’ per 12 brani (cantati in inglese, magari un po’ ruspante) col raro dono della varietà, a dispetto di una produzione povera, in cui ogni canzone ha un’autonoma identità sonora. Molteplici influenze baluginano, senza mai diventare predominanti rendendo il disco derivativo: Sonic Youth, qualcosa dei Rem, un po’ di country desertico alla Calexico, anche se il paragone più calzante mi sembra quello dei Dream Syndicate, alfieri di quella scena Paisley Underground che non c’entra nulla col Paisley Park di Prince ma rappresenta un’altra rifrazione nella strobosfera della psichedelia rinata negli anni ’80.
È un disco piacevole, Trenches, perché ogni volta che l’ascolti hai l’impressione di cogliere un riferimento che invece ti sfugge, impedendoti di chiudere definitivamente il caso della Mela Rubata sotto un’etichetta unica.
Tutt’altra musica coi padovani Rosario: le ascendenze del loro secondo album And The Storm Surges (cover qui a sinistra, pubblicato da un folto pool di etichette indie) sono indiscutibilmente quelle dell’hard sabbathiano moderno, oggi note come stoner o sludge/doom, su cui giganteggia l’ombra di Josh Homme o dei succitati Kadavar medesimi (ma in qualche punto ho sentito qualche oscurità alla My Dying Bride). E cosa ci fanno allora in questo servizio? Beh, provate a sentire brani come Radiance, Vessel of the withering o Dawn of Men, per farvi un’idea di come delle dilatazioni psichedeliche s’insinuino anche nelle più rocciose, monolith (loro titolo) strutture del suono metal. Del resto, i padrini del genere – Led Zep, Sabbath e Deep Purple – figurano a buon diritto nei file rock blues, psichedelia, hard e prog. And The Storm Surges, leggiamo, è un concept sull’evoluzione della specie umana “dalla semplice coscienza di sé ad un paradigma di onnipotenza creativa”.
Sfugge in ciò cosa c’entri la sottile citazione di Canemacchina (era il romanzo scritto dal coprotagonista di Due di Due di Andrea De Carlo, un reduce indomito del ’68), ma un’occhiata ai loro testi fitti di immagini gotico apocalittiche non chiarisce l’incognita, se non quella che la poesia non sia il principale atout degli stoner veneti (che vedete in tutto il loro afflato lirico nella foto qui a destra).
In definitiva, cosa significa nel 2016 (come sempre) l’aggettivo psichedelico? È un suono o un’attitudine? E lo è in chi suona o nell’orecchio (la fine dell’orecchio) di chi ascolta? Perché, se nel ’67 corrispondeva allo sforzo delle band di forzare i limiti della pop song in vista della conquista di nuovi spazi sonori, allora oggi il disco italiano più psichedelico, il Sgt Pepper 2016 forse è proprio l’onnivoro Tinnitus Tales delle Forbici di Manitù di cui vi abbiamo appena parlato per esteso.
Buoni psicoascolti.
Mario G
P.S.: l'immagine in apertura dell'articolo è un poster di Malleus, grandissimo autore di copertine (specie in ambito metal) italiano e gran distillatore di schegge liberty in salsa psichedelica.