“La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa.”
(Susan Sontag, Malattia come metafora)
Storie d’acufeni, questo vuol dire Tinnitus Tales: pingue cofanetto dalla lussuosissima veste psycho-cromatica a cura di Laura Fiaschi/Gumdesign ed Emanuela Biancuzzi (che vedete nelle immagini che illustrano l’articolo e mi ha ricordato il coloratissimo stile psichedelico del sontuoso booklet colle immagini di Babs Santini per il cd Angry Little Fingers dei Nurse With Wound del 2008, qui a lato), la nuova uscita-monstrum delle Forbici di Manitù è composta nientemeno che da un vinile 10” con otto canzoni firmate dai due demiurghi del progetto, Vittore Baroni (testi, il Peter Sinfield del duo) e Manitù Rossi (cui spettano “registrazioni, montaggi e coordinamento materiali audio”) più ben 2 cd.
Infatti, in total sprezzo del concetto romantico di “autorialità” in favore della più moderna forma del network (figlia illegittima forse anche di quella mail art a lungo praticata da Baroni), le Forbici hanno raccolto intorno a sé un ricchissimo coacervo di musicisti e incursori sonori dagli ambiti più disparati dell’underground nazionale (e non solo), tutti uniti intorno al concept di quella che si può ben definire la malattia professionale/metafora del musicista (e del d.j., del fan e di tutti gli addetti ai lavori del circo rock): gli acufeni, per l’appunto, quell’inesorabile fischio nelle orecchie che ha dannato notti insonni e ascolti di Beethoven, Bono (U2), Pete Townshend (the Who), Sting, Andy Partridge (XTC), Jeff Beck, Phil Collins, John Zorn e – da qualche anno – anche lo stesso Vittore Baroni, per decadi cronista delle musiche più inquiete su Rockerilla, Rumore e oggi Blow Up.
Scopertosi afflitto in sì nobile compagnia dall’ineliminabile ronzio, e notato che così poco si parlava sulla stampa musicale di una malattia che affligge quasi il 10% della popolazione mondiale, e una fetta ben più cospicua di chi passa molto tempo fra cuffie e grosse casse da concerto (o discoteca), Baroni (qui sotto) ha concepito il progetto, componendo coll’amico Manitù (è quello verdastro nella foto) canzoni che parlano direttamente del problema e ironizzano simpaticamente sulle sue fastidiose conseguenze.
Il pastiche sonoro delle Forbici di Manitù – che fanno dell’eclettismo citazionista a spasso fra i generi rock la propria griffe – spazia da un pop obliquo tra XTC e Wire (dei quali riciclano Eardrum Buzz all’interno di una cover di Silence is golden dei Four Seasons/Tremeloes), al fine jazz notturno (Through Vulcanian Ears), dal garage chitarristico a un dark psichedelico (Tinnitus Tales) all’elettronica fredda da Depeche Mode. Non paghi, allargano a macchia d’olio il già ampio spettro sonoro grazie ai 15 artisti/band che contribuiscono al cd 1 con le proprie canzoni, o con riarrangiamenti di quelle di Baroni/Rossi (You Too, Tinnitus Tales, Gingko Biloba): e qui si spazia dal garage dei Mercenary God alla follia urlante dei Jealousy Party, dall’elettronica soft alla Eno dei Lettera 32 alla poesia noise di Rod Summers al pop/rap di Maisie/Piotta; dalle geniali divagazioni jazz-stratosiane dei Gronge X, Sparkle in Grey e Deadburger alla post wave dei Metal Music Machine (il nome vi ricorda qualche altro celebre “disturbo sonoro”?!), fino al corale assemblato con voci di pubblico live da Teho Teardo.
Ma non è mica finita: c’è, dicevamo, un cd 2, che è dedicato alle masking tracks, ossia brani composti praticamente a fini “terapeutici”. Essendo l’unica difesa dagli acufeni quella di coprirli con fonti sonore appunto di mascheramento, modulate sulle stesse frequenze dei ronzii che affliggono l’orecchio, ecco che un’altra falange di ben 17 artisti/band si dedica a quella che potremmo battezzare noi come “tinnitus ambient”. Ci troviamo qui nell’ambito più strettamente avanguardistico dei suoni prevalentemente elettronici, che sviluppano la lezione di Eno fino alle più disturbanti periferie industrial, coi contributi di Eraldo Bernocchi, Simon Balestrazzi (T.A.C.), Gianluca Becuzzi (Limbo), Marco Monfardini (Minox) e via fino al Nigel Ayers dei Nocturnal Emissions. È sicuramente disco dall’ascolto più impervio e amniotico, il secondo, specie se per nostra fortuna non abbiamo disturbi acustici da coprire, come – apprendiamo – accade a parecchi degli artisti coinvolti. Sul ronzante tappeto sonoro, io segnalo l’accattivante melodia di violino Il Volo di Sissy Biasin e quella pianistica del Surplus of Sounds del padrone di casa Manitù Rossi (che riecheggia lontanamente il tema “tubolare” di Oldfield che spaventò il mondo nell’Esorcista: sottile metafora acufene=possessione?).
In queste operazioni c’è sempre il rischio che il concept prevalga sul puro piacere dell’ascolto (è il caso ad es. del più estremo oggetto sonoro di Kremo recensito recentemente QUI): a Tinnitus Tales va riconosciuto che, pur non essendo esattamente una pop compilation, la sua varietà garantisce una ricchezza e una varietà d’ascolto degna di un album di Hal Willner. E scusate se è poco…
Forse un simile approccio caleidoscopico si potrebbe definire una forma di nuova psichedelia global-citazionista. A me piace pensare che sia semplicemente la traduzione in progetto sonoro di quell’apertura mentale che viene con la maturità, quando superi gli steccati del “devo fare solo punk (o metal, electro, funk etc.)” e cominci a percepire la musica come un tutto interconnesso, dove basta un piccolo slittamento per connettere funk e psichedelia, un altro per lambire hard o prog, elettronica e blues, Tom Waits e Ramones, King Crimson e Talking Heads, Eno e il doom.
Peccato solo che quando la mente è finalmente maturata… cominciano a fischiare le orecchie!
Tiratura limitata ma ascolto caldamente consigliato.
Mario G