E' già in corso da metà gennaio al Palazzo del Governatore di Parma - ma sarà visitabile fino al prossimo 3 maggio - una mostra che consideriamo un po' obbligatoria per ogni appassionato di fantascienza degno di questo nome (e, sì, anche di cinema tout court). S'intitola Time Machine. Vedere e sperimentare il tempo e prende le mosse da una curiosa concomitanza, non so quanto nota anche agli stessi cultori del fantastico: nel maggio del 1895, H. G. Wells termina la prima pubblicazione (a puntate) del suo capolavoro La Macchina del Tempo, un classico della fantascienza.
Una pietra miliare ormai già due volte tradotta in film, soprattutto grazie al fatto che, nel dicembre di quello stesso anno 1895, a Parigi, i fratelli Lumière presentano le prime proiezioni del loro Cinématographe, a propria volta una “macchina del tempo”, frutto della rivoluzione tecnologica che in quell'epoca stava investendo le grandi capitali europee e destinata a cambiare per sempre la nostra visione del mondo e in particolare del suo, appunto, accadere “nel corso del tempo” (come avrebbe detto in seguito Wim Wenders).
Nell'articolatissimo catalogo della mostra (edito da Skirà, ben 328 pagine irte di scritti ponderosi, 35€), il saggio d'apertura firmato dal curatore Antonio Somaini c'informa che con ogni probabilità lo scrittore Wells non era a conoscenza della rivoluzionaria invenzione dei Lumière, benché lo stesso scritto metta in luce quanto l'autore londinese utilizzi un immaginario decisamente pre-cinematografico per descrivere ciò che il suo Time Traveller (da noi L'uomo che visse nel futuro) scoprirà nel corso delle sue crono-peregrinazioni, preconizzando il time-lapse, che il regista George Pal tenterà di rendere con gli effetti speciali disponibili nel cinema del 1960 (utilizzando ad es. anche riprese a passo uno).
Mentre due anni dopo il suo collega di viaggi nel tempo Chris Marker per il celebre La Jetée (foto a sinistra, sganciato dal romanzo di Wells ma noto precursore dell'Esercito delle 12 Scimmie di Gilliam) si affida a un montaggio di fotografie; solo nella versione del 2002, diretta dal pronipote dello scrittore Simon Wells (immagine qui a destra, ma versione mal vista dalla critica!), la produzione ha potuto largheggiare in CGI.
La mostra ideata da Antonio Somaini con Éline Grignard e Marie Rebecchi - tutti docenti di materie cinematografiche negli istituti della Sorbona - esplora dunque il modo in cui il cinema e altri media fondati sulle immagini in movimento, come video e videoinstallazioni, nel corso della loro storia hanno trasformato la nostra percezione del tempo, attraverso tecniche di manipolazione temporale come il ralenti e l’accelerazione, il loop e l’inversione, il già citato time-lapse e il fermo immagine, le sovrimpressioni, il passo uno e le diverse forme del montaggio. E qui si parla naturalmente di cinema in generale, ossia come linguaggio, prima ancora dell'appartenenza o meno a un genere prettamente fantascientifico.
Infatti, lungo un percorso che riunisce immagini provenienti dai diversi campi dell’arte contemporanea, del cinema delle origini e del primo cinema sperimentale, ma anche delle evoluzioni nel campo del cinema scientifico e documentaristico, da quello classico fino al più contemporaneo – con alcune incursioni nella storia della fotografia – la mostra (e il catalogone di cui dicevamo, che consigliamo tanto al fantascientista quanto al cinefilo tout court) percorre un arco temporale che va appunto dal 1895 al nostro presente di nuove temporalità non-umane, in cui conviviamo quotidianamente immagini in movimento prodotte dall’intelligenza artificiale, dal machine learning e dalle reti neurali, che fino a qualche anno fa erano puro dominio della fantascienza.
Buone visioni, noi (virus permettendo) probabilmente saremo alla mostra il 28 marzo prossimo con una visita guidata dalla storica dell'arte Anna Torterolo e organizzata dall'Associazione Milano Cultura e Natura.
Mario G