"Viva oltre il limite della vita (1997)"
(cit. dal testo)
"Non so perché ma, pur essendo io una donna, non riesco ad empatizzare con questo personaggio. Devo rifletterci...".
La frase, pronunciata da una spettatrice vicina al sottoscritto subito dopo il debutto della ripresa dello spettacolo sulla vita di Dora Maar parlando col regista Francesco Frongia, diventa emblematica dell'interrogativo che ci pone la sua raffinata messinscena di quest'altra biografia di una tormentata figura transitata brevemente nel salotto buono dell'arte moderna nel ribollente calderone della Parigi anni '30 e tragicamente uscitane, vittima della passione per quell'egocentrico, spietato stracciasottane di Picasso.
Calma, prima i fatti, come dicono gli sbirri: Dora Maar (1907-97) pubblica le prime foto di moda e pubblicità nel 1930, poi abbraccia il gruppo dei surrealisti, aderisce al gruppo Contre-Attaque di Breton, Eluard, Bataille - di cui è amante per un periodo - collabora con Brassaï e Man Ray, s'infiamma d'ideali socialisti e deambula per le fangose periferie parigine ritraendo i poveri e i ciechi in quello che verrà definito 'street surrealism'. Questo è il periodo più spumeggiante della sua vita, è giovane e bella, è una musa di quelli che stanno inventando il futuro, viene ritratta da Cocteau...
E poi... poi, nel 1935, al caffè Les Deux-Magots di Saint-Germain-des-Prés incontra Picasso, il vertice dell'arte moderna. Lo colpisce con la propria bellezza e lo spagnolo fluente, inizia una nuova, turbinosa relazione che - come diremmo noi del fantastico - la fa volare in un'altra dimensione, ma - come Icaro - le brucia anche le ali per sempre. Il Genio è geloso, totalmente egocentrico e pure un po' mostro: mette all'angolo le sue foto, la spinge a dipingere per avere un ruolo di pigmalione nei suoi confronti, la usa come modella per la donna con la lanterna di Guernica - la documentazione delle fasi creative dell'opus magnum di Pablo sarà il suo ultimo lavoro fotografico - ma al contempo la umilia trattandola come un cane (di lui dirà "Io non sono stata l'amante di Picasso. Lui era soltanto il mio padrone"); finché dopo nove anni la sputa via, sostituendola con la più giovane Françoise Gilot.
Lei, innamorata della vita nonostante tutto, gli sopravvive, pur passando attraverso un calvario di cliniche psichiatriche e di elettroshock - in scena genialmente evocati da un video con i chiodi animati al negativo di Man Ray proiettati su sipario di tulle con un effetto sonoro shock (v. sotto) - nonché dalle cure di un altro nume come Lacan (psicanalista dello stesso Picasso). Però si ritira dal mondo, non fotografa più, né dipinge, non parla e non compare in pubblico. Una monaca di clausura, "l'incarnazione stessa del dolore", come diceva di lei Picasso medesimo.
Ora torniamo al quesito filosofico in apertura: stabilito che il Genio moralmente non era (come spesso accade) una bella persona - come già documentato anche dal celebre Surviving Picasso di Ivory - Dora in scena afferma di non cercare "la nostra commiserazione", perché comunque lei - pur a caro prezzo - vivrà in eterno, mentre di noi la memoria si sfarinerà come sabbia in breve tempo. Quindi noi dobbiamo empatizzare con una che ha scelto liberamente di immolarsi pur d'essere eternata dal Genio capriccioso, o ci limitiamo a registrare un altro fragile equilibrio femminile bruciato dal desiderio dell'assoluto? Destino peraltro scelto liberamente da una donna già indipendente e affermata in un milieu invidiabile, non dissimile da quanto patito da altre compagne dei geni dell'epoca, come Leonora Carrington dopo la separazione da Ernst in Spagna, come Unica Zürn dopo la separazione da Hans Bellmer... come forse accaduto anche alle loro epigone Janis Joplin e Nico 30 anni dopo.
E, ancora più provocatoriamente, noi stessi che oggi lottiamo per affermare una nostra visione artistica, pur senza bearci d'avere Picasso e Man Ray alla nostra tavola, dovremmo perdonare alla dolente Dora d'aver lasciato abbattere il proprio talento dal meschino Pablo pur di ardere nella sua fiamma?
Abbiamo filosofato un bel po', perché la ripresa di Ritratto di Dora M. - in scena al Teatro Filodrammatici fino al 26 febbraio - segue quella di Rosso su Rothko, sempre diretto dal Frongia, come in un ideale ciclo del teatro dedito ad indagare i recessi dolorosi di un altro linguaggio espressivo. Ma, filosofia a parte... com'è insomma lo spettacolo? È un monologo, interpretato intensamente (pur con qualche inciampo d'emozione per la sera della prima) da Ginestra Paladino, figlia del transavanguardista Mimmo, che alla messa in scena ha offerto la maschera picassiana usata dall'attrice in una scena (v. foto a lato).
Meno dinamico del dialogo fra i due Bruni su Rothko, il testo di Fabrizio Sinisi affida alla sola voce della protagonista narrazione, riflessione e metafora poetica della tragedia (toccante, al di là dei nostri filosofemi) di Dora, sovente supportata dalla proiezione sul tulle di frasi del testo accompagnate da una data simbolica della via crucis della fotografa. Tuttavia, la ricca regia video di Frongia, assistito dalle belle luci oblique (Sarah Chiarcos) e dal "caos scenico" (letto sfatto, valigie, piano inclinato) di Erika Carretta, oltre che dalle musiche originali di Carlo Boccadoro (di Sentieri Selvaggi) rende visivamente più affascinante uno stream of (un)consciousness che lasciato al nudo monologo avrebbe potuto risultare più difficile da seguire, nonostante la durata inferiore all'ora dell'atto unico.
Qui sotto una breve video presentazione (anche se non realizzata per il Teatro Filodrammatici).
Da vedere? Per noi, che proprio ora stiamo remando per intrecciare in una narrazione di fiction un viaggio fantastico nel tempo lungo la storia dell'arte, per cortociruitare il mondo di Bosch con quello di Ernst (e del Surrealismo tutto) obbligatorio. Ma, se anche voi avete apprezzato il già citato Rosso (tuttora in scena all'Elfo), sicuramente sì.
Da vedere e meditare. Anche se non siete fidanzate a un genio pazzo.
Mario G.
P.S.: in testata, "Divorata dal Genio", tavola originale by Roberta Guardascione, libero omaggio allo spettacolo, alla maschera del suo compaesano Mimmo Paladino, in procinto di finire nelle Alchimie della Mente di quei birichini di Bosch & Ernst nel graphic novel di Gaz&Rob.