In sala l'avevamo perso a causa del suo passaggio, rapido come le furtive movenze dei suoi polari succhiasangue. Le recensioni lette (da Nocturno alla selezione di Kataweb) facevano pensare a una perdita non grave nell'insieme.
Ma noi siamo dei fan accaniti della saga fumettistica ideata da Steve Niles e magistralmente disegnata da Ben Templesmith (30 Giorni di Notte, pubblicata in Italia dalla Magic Press e giunta ormai alla sesta uscita, includendo i 3 racconti brevi usciti di recente, in cui compare l'ultima prova di Ben), di cui qui accanto vedete una cover e una superba tavola e nel link un'intera gallery di copertine dal sito dell'autore.Incuranti, non ci siamo dati per vinti e abbiamo recuperato 30 Giorni di Buio in dvd (chissà perché questo piccolo cambiamento nel titolo, comunque nel link vedete il trailer originale), che ormai - volendo - trovate facilmente anche a nolo.
Bene, è chiaro che non ci troviamo di fronte a un film-capolavoro in grado di ridefinire le regole del genere (uno dei più intramontabili della storia del cinema peraltro), né ad una gemma misconosciuta, tipo il Cronos di Guillermo del Toro o lo sperimentale Nadja di Michael Almereida (prodotto da Lynch), di cui già vi abbiamo accennato in un precedente articolo.
Però, rispetto a certe critiche che si sono lette, il film diretto da David Slade (Hard Candy) e prodotto da Sam Raimi è una piacevole sorpresa, di cui andiamo subito ad elencarvi dilgentemente gli ingredienti che a nostro parere insaporiscono l'arcinota minestra. Sì, perché la sceneggiatura in sé è hollywoodianamente prevedibile: tranquilla località 'normale' (anche se artica) in cui tranquilli americani normali conducono la loro vita normale, benché in un freddo polare e con lunghe notti e perenni inverni. Poi iniziano i segnali che qualcosa non va, poi il Male esplode, quindi i nostri eroi dovran trovare il modo di farvi fronte.
E in un prodotto hollywoodiano - per di più pensato per un pubblico giovanilfumettistico (vedi gli attori bellini e più giovani di come te li immagini dal fumetto) - da questo canovaccio non scappi.
Però:
1. l'ambientazione artica (che rimanda inevitabilmente a La Cosa di Carpenter, come s'è detto), fulcro della storia in quanto i 30 giorni di notte completa consentono agli inarrestabili zannuti un banchetto senza tregua, è un asso non indifferente, che ci offre almeno inquadrature non banali cromaticamente (tramonti polari, neve etc).
2. Le movenze fulminee dei vampiri, che all'inizio nemmeno si vedono, sono ombre, sagome fuori fuoco, contribuiscono a far salire una tensione su cui non avremmo scommesso.
3. La scelta di donare loro anche una lingua propria, una specie di slavo incomprensibile (secondo gli autori un "tribale amazzonico") è un tocco originale che contribuisce alla loro 'alterità', insieme allo stridulo urlo che emettono.
Nell'insieme, possiamo dire che i vampiri sono realizzati molto bene e - cosa ormai sempre più difficile - fanno realmente paura: guizzanti, ferini, crudelissimi, coi loro occhi tutti neri... "Demoniaci", li definisce giustamente il regista negli extra, spiegandoci che la sua visione era di un vampiro totalmente malvagio e privo degli aspetti fascinosi e seducenti che si porta dietro dai tempi del Romanticismo decadente dell'"era-Stoker" e che poi han dato adito ad altre declinazioni moderne cui abbiamo già accennato.
Come invece spesso accade nel genere, restano più scialbi i personaggi umani, pedine di un gioco che trova i suoi momenti clou nelle scene horror (numerose, discretamente sanguinarie e ben coreografate), non certo nei dialoghi, perlopiù inutili o nella loro recitazione (standard).
Rispetto al fumetto, la sceneggiatura del film elimina i conflitti interni fra vampiri e la parentesi di New Orleans (funzionale al seguito di Giorni Oscuri), concentrandosi sull'azione nel villaggio assediato di Barrow del primo episodio della comic-saga. Del resto, se il successo commerciale dovesse indurre la Ghost House a mettere in cantiere un sequel, le altre puntate di Niles-Templesmith son lì bell'e pronte a nutrirlo e non c'è niente di meglio del melodrammaticissimo finale per aprirgli la porta.
Il finale infatti è stato fortunatamente rispettato fedelmente nel film: la trovata vincente di Steve Niles (che per rispetto alla vostra visione/lettura non anticipiamo) era infatti uno dei pezzi forti della storia, drammaturgicamente parlando, e stravolgerlo per garantire alla vicenda dello sceriffo Eben e di sua moglie Stella un lietofinalone classico a stelle e strisce sarebbe stato un obbrobrio. Nel film, diversamente dal fumetto in cui si amano teneramente, i due 'sbirri' appaiono in crisi (topos ricorrente nel cinema USA) ma non se ne capisce bene l'esigenza drammaturgica, perché poi si soccorrono costantemente...
Altre cose sono state modificate nel film, per arricchire la trama in pellicola rispetto al fumetto: ci sono molte più scene di fuga del drappello di umani minacciato dai vampiri, inseguimenti, uccisioni, morsi e combattimenti: il colosso che attacca i vampiri con la ruspa, la scena dell'inquietante bambina-vampira (nella foto a lato) ampliata e resa ancor più straziante... Tutto funzionale all'azione e alla suspence richiesta per un prodotto di questo genere.{mosimage}
Non abbiamo trovato invece riscontro alle critiche di chi lamentava al film una cattiva gestione degli spazi del villaggio assediato: abbiamo ripassato il fumetto dopo la visione e gli spazi, i movimenti, ci paiono coerenti. Certo, forse un Robert Rodriguez (reduce da Frank Miller e con più mezzi) avrebbe reso le ambientazioni in maniera più pittorica, cioé più aderente al sublime pennello da "Chagall dell'orrido" di Templesmith, creando quadri sfocati ed espressionisti, o lasciando non finite le parti dell'immagine che gli interssavano meno, come faceva Egon Schiele. Forse Slade non è Rodriguez, come probabilmente non è né Herzog né Lynch né Abel Ferrara.
Oggi in digitale quei trattamenti dell'immagine sono possibili e anche a costi sostenibili per una media produzione USA, ma ci vuole appunto dietro la macchina da presa un Cronemberg o un altro dei big citati oltre che, soprattutto, la volontà di fare un film "horror d'autore" e non solo un buon prodotto di consumo.
Cosa che è 30 Giorni di Buio, sicuramente. Ma che si consuma con piacere e senza troppi rimpianti, meglio dei vampiri di Gutierrez per esempio. Allora ci viene un piccolo dubbio provocatorio: se un film così fosse stato firmato davvero da Carpenter, non ci saremmo trovati di fronte ad un sacco di distinguo più sottili per vedere all'interno del prodotto valenze trasversali che in molti son disposti a riconoscere al maestro di Vampires mentre in pochi le vedono per ora in Slade?
Mario G