“Panico” si chiamava il movimento fondato da Jodo con l’amico Arrabal (autore del testo teatrale di Fando Y Lis e compagno di provocazioni del Nostro). E il panico prende anche noi, dopo 40 anni, all’idea di scriverne… a molti basta solo l’idea di doversi immergere nel mondo visionario del regista cileno per sentire i capogiri!
Panico perché – come non si può pensar di riassumere in poche righe di trama le sue surreali drammaturgie surrealiste, fitte di simboli, allegorie, incubi, satire, onirismi – ancor più impervio è il tentativo di “spiegarle”. E come? Da dove si parte? Per parlarne a ragion veduta bisognerebbe tuffarsi nella testa bislacca dell’autore (altro viaggio ad alto rischio!). Interpretarle? E chi affronta un simile compito? Ci vorrebbe un saggio a film, altro che poche righe di articolo online.
È vero, infatti la mente si perde nei labirinti di ricordi personali, libere rielaborazioni dell’inconscio del regista (nel booklet spiega anche come acchiappare i propri sogni!), provocazioni politico sociali, erotiche, religiose… Cercheremo quindi di procedere mettendo a fuoco, per quanto possibile, dei macroblocchi concettuali.
Anche gli ambienti sociali nei film di Jodo sono sempre distopici: guardate la spietata città dei “normali”, che emargina i deformi e schiavizza i negri (in El Topo), oppure i danteschi gironi di tipi umani grotteschi che incrociano e ostacolano il faticoso cammino del giovane Fando e della sua fidanzata paralitica Lis verso il mitico paradiso di Tar. Gruppi che, seppur in maniera non logica, possono simboleggiare categorie umane (le Donne, la Famiglia), sociali (i Borghesi), persino puri concetti: i vizi capitali, o l’ambiguità rappresentata dal corteo di travestiti che scambiano i vestiti dei fidanzati confondendo le loro identità.
Di certo, se c’è almeno un tema che fa da fil rouge addirittura lungo i tre film principali è quello del viaggio iniziatico, un leit motiv dell’epoca (siamo intorno al ’68) centrale nella poetica del regista: dal cammino fra le rocce scabre di Fando e Lis verso Tar, si passa alle peregrinazioni in un deserto non meno “da Antico Testamento” di El Topo, in cui le simbologie bibliche si infittiscono (diseredati, deformi, reietti, morte e resurrezione, profeti…) e cominciano ad apparire anche i riferimenti al misticismo orientale, che la faranno da padrone nel prosieguo del viaggio verso la Montagna Sacra (che esce nel 1973), l’altro lungometraggio-chiave incluso nel cofanetto RaroVideo.
Un film che ho visto anni fa e personalmente avevo apprezzato un po’ meno, proprio perché qui lo spiritualismo indianeggiante sessantottesco prende il sopravvento sull’immaginario surrealista. Ma di questo film vi parla più approfonditamente Walter QUI.
{mosimage}Niente è facile, nel cinema di Jodorowsky, anche perché moltissimo è il materiale in gioco, non solo sul piano simbolico filosofico ma anche su quello estetico: c’è sì il surrealismo inquieto del vate Bunuel, dell’amico Arrabal, dei disegni di Topor e Max Ernst, ma c’è la body art allora nascente (Fando e Lis che si dipingono i corpi di vernice a secchiate, vedi foto a lato), c'è il citato teatro della crudeltà di Artaud accanto allo spaghetti western e all’allegoria mistica, le visoni dantesche alla Doré e il free jazz (folgoranti i borghesi che ballano fra le rovine al suono di un’orchestrina jazz col pianoforte in fiamme), l’onirismo felliniano (clown, bambole e marionette) e la parodia del modernismo (i giochi nel cimitero delle auto). Il cannibalismo finale e un’idea di rigenerazione dell'uomo nella natura.
Non facilmente assimilabili né privi di scogli anche per lo spettatore preparato, i film di Jodo comunque VANNO VISTI: sono sicuramente un’esperienza “panica” per l’occhio postumano (anche se lontanissimi da concetti e trame di s/f); un’esperienza che mette a dura prova, sconcerta, magari urta qualcuno ma non lascia mai indifferenti. Dopo tanti anni non hanno perso un grammo della loro sulfurea forza caustica e provocano, non meno di un video del moderno Marilyn Manson (a proposito, osservate in quest’ottica molte sue creature deformi e soprattutto il circo di freak in marcia di Man That You Fear… eh?!).
Anche se non baciati dal successo commerciale (e come poteva essere altrimenti?), questi film devono essere stati nel corso della storia fonte d’ispirazione per più d’una generazione di registi “eversivi”: dal Lynch di Eraserhead al Terry Gilliam di Brazil, fino al Dave McKean di Mirrormask o persino al Guillermo del Toro del Labirinto del Fauno… e, perché no, ai Raffaello Sanzio della Tragedia Endogonidia, arditissimo ciclo di teatrocinema pure recentemente pubblicato in cofanetto dai temerari di RaroVideo.
Da affrontare senza riserve, come l’Ulisse di Joyce o il Pasto Nudo di Burroughs: indietro non si torna.
Mario