Ricordate quando, nell’articolo su Ranxerox, notavamo che fra i meriti di Nocturno c’era quello d’aver riportato alla luce quelle chicche di cinema di fantascienza italiano (i Bava, i Margheriti) che i più nemmeno sanno che siano esistite? Ecco, quando ci si scontra con i consueti pregiudizi editoriali (o commerciali) secondo cui certi generi da noi “non si possono fare” o comunque “non vanno”, è sempre bene tenere a mente – per proseguire nell’esempio – che guarda un po’ qualcuno ha pure fatto della s/f italiana anche se con pochi mezzi, non di rado influenzando i riconosciuti maestri del genere a venire (i Kubrick, gli Scott), che invece han prodotto capolavori disponendo di mezzi sontuosi.
Bene, il merito del corposo saggio di Eduardo Vitolo secondo me è un po’ il medesimo: moltissimi fra noi rockettari (il sottoscritto per primo) sono da sempre convinti che il rock in Italia non esista, se non come pagliacciata da classifica (i Litfiba superstar) o come nicchia di imitatori “puri e duri” di generi importati dall’estero.
Sub Terra (cover in apertura) ci dimostra che invece il Belpaese, negli anni compresi fra l’esplosione del punk e della new wave of british heavy metal e l’inizio dell’era del web (che idealmente l’autore segna come fine del romantico “vero underground” delle fanzine ciclostilate, dei demo tape e dei bootleg), è stato terreno fertile per un mucchio (selvaggio) di originali percorsi nel campo del rock estremo, del noise e dell’avanguardia più radicale.
Percorsi che non di rado nomi ormai mitici in quei generi a livello internazionale citano senza remore fra i loro ispiratori. Guarda un po’, come Bava ispirò i Black Sabbath (il nome) e Tim Burton (immaginario gotico), come Argento e i Goblin o Leone e Morricone, come Ranxerox e il cyberpunk, come… come appunto band misconosciute alle masse, come Ghostrider o Necrodeath, seminali per i percorsi del ben più famoso (o famigerato) black metal nordico di Mayhem e compagnia, piuttosto che i Raw Power per l’industrial-grindcore dei Napalm Death.
Dei quali scopriamo pure una chicca oggi apparentemente surreale, ossia che la band emiliana nell’86 in un concerto a Seattle ebbe come support act degli sconosciuti di Los Angeles… si chiamavano Guns N’Roses!
Non ci addentreremo nel mare magnum di nomi, formazioni e dischi in cui anche il metalhead più ferrato troverà dove naufragare fra gioia e stordimento, né torneremo sull’importanza di gruppi come la colonna Death SS/Paul Chain/Steve Sylvester, di etichette come la Black Widow, qui omaggiata di una bella intervista al fondatore Massimo Gasperini, ma di cui qui abbiamo già parlato più volte (e non vorremmo sembrarvi dei fan fissati).
Piuttosto preferiamo tracciarvi l’originale schema secondo cui Vitolo ha organizzato il suo saggio: dopo le necessarie introduzioni, che partono dall’Ade mitologica inglobando Jung e dotti saggi sull’uso della maschera nella rappresentazione scenica, si passa ad una dettagliata analisi delle diverse scene delle principali città italiane: Genova, torino, Milano, Roma, più le ancor più riposte scene del Sud (che siam soliti pensare immobile nella celebrazione di Pino Daniele) campana, pugliese e sicula. Anche con titoli gustosamente cinefili – per ricollegarci al parallelo nocturniano d’apertura – come “Milano Nera, Milano Violenta”.
Seguono Archetipi, simboli e maschere, appunto sul mascheramento, face painting, ma soprattutto il versante più satanico della scena estrema (con i dovuti omaggi all’horror guru Arona); La legione oscura, sulla scena black metal italiana; e Pura Violenza italica, ancora una volta non un dimenticato poliziottesco degli anni ’70 (non mancano i riferimenti a Scerbanenco) ma la disamina della scena hardcore.
Certo, chi come noi ha seguito l’evoluzione dell’indie rock, nella fattispecie meneghino, non troverà in questo volume la sia pur minima traccia di nomi come Afterhours, Cristina Donà, dei La Crus dell’oggi solista Mauro E. Giovanardi né del suo primo notevole gruppo, i Carnival Of Fools; se mai, si stupirà di trovarvi citato il di loro batterista Mox Cristadoro (a sua volta autore di un saggio per Tsunami, Radio Days - Storie di RockFM) in quanto batterista degli oscurissimi Monumentum.
È vero, Edu pone a sottotitolo del suo libro “Rock estremo”, non indie rock tout court, però a chi proviene da diverse radici musicali può suonare strano non trovare – che so – citazioni di band parimenti storiche della new wave oscura come per es. i Weimar Gesang, ma è chiaro: il cuore del Vitolo batte metallico, come abbiamo già scritto a proposito dell'ottimo Horror Rock .
Edu è un “partigiano” e la bandiera che sventola è ben chiara sin dalla copertina (guarda un po’, uno scatto d’epoca di Steve Sylvester con AC Wild dei Bulldozer, demonicamente pittati!).
Si badi bene, questa è un'analisi del suo taglio, non una critica a priori. L'autore dichiara apertamente i propri orientamenti e, nell'ottica di cui dicevamo in apertura, il suo libro è sicuramente importante. E unico.
Se accettate questa scelta di campo, immergetevi senza remore Sub Terra: ne riemergerete forse sporchi ma con le mani piene di grezze gemme da scoprire.
Anche se sempre… con le mani sulle orecchie. Che quelli della Tsunami mostrano di tenere invece ben aperte, avendo ormai dato vita ad una serie di saggi e biografie musicali senza eguali nell'editoria italiana per approfondimento e cura editoriale.
Mario G