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"I grandi capitali hanno perso ogni significato. Esistono solo per se stessi", dice un personaggio di Cosmopolis. E ancora: "il cyber-capitale crea il futuro", frase fondamentale per capire come il film di Cronenberg/DeLillo si colleghi alle origini fantascientifiche della poetica del regista canadese.
Lo spiega benissimo Giona A. Nazzaro in una (secondo me perfetta) recensione su Repubblica.it/Micromega online, cui faticherei a trovare qualcosa da aggiungere, annotando acutamente come l'algida e statica messinscena elaborata da Cronenberg per sceneggiare il difficile romanzo del newyorchese sia funzionale ad esprimere la "fine del tempo" nella società contemporanea.
"Tutti verremo assorbiti come flussi di informazioni. Anche i computer stanno morendo, la stessa parola computer è già superata", è un'altra citazione che riporto a memoria dai dialoghi del glaciale (e non facile) film. E infatti chi legge le cose dell'informatica ben sa che la "nuova rivoluzione" di cui tutti oggi cantano le lodi si chiama, guarda un po', cloud computing. L'informatica è una nuvola, poetico no?
Avevamo appena assorbito il concetto che il principio di realtà fosse stato messo in crisi dalla proliferazione dell'immagine (televisiva, poi digitale) e, prima di poterci riprendere, dobbiamo incassare la nuova pillola secondo cui il tempo è (cito Nazzaro) "un prodotto collaterale del denaro", che il suo flusso è quello - inattingibile ed esoterico ai più - delle fulminee fluttuazioni di Borsa che arricchiscono potentissimi gnomi senza identità impoverendo di colpo intere nazioni, continenti (l'Argentina, la Grecia, l'Italia...).Quando Nazzaro chiosa "se il denaro crea il tempo, cosa diventa del tempo quando il denaro non ci sarà più?", vien da ricordare il molto meno ambizioso In Time, da noi recensito poco tempo fa. E ancora dobbiamo vedere l'altro film che in questo periodo affronta i temi della finanza spietata e dei suoi guasti: quel Margin Call dal ricco cast (Jeremy Irons, Kevin Spacey), ora nelle multisale proprio accanto a Cosmopolis. Contiamo di tornarci su presto.
Ricordo contemporaneamente anche un articolo di Grillo sul suo blog, quando si iniziava a parlare di default della Grecia come minaccia alla solidità dell’intera UE, che ci spiegava quanto ormai la ricchezza finanziaria supera di diverse volte quella reale dell’intero pianeta.
Purtroppo non lo riesco a ritrovare ma questo, ad es., già ci spiega, ricordando un ‘Punto’ di Paolo Pagliaro a “Otto e Mezzo” di Lilli Gruber, che essa supera la somma del PIL mondiale 14 a 1: praticamente vale a dire che in questo buffo pianeta circola moneta per un valore 14 volte superiore alla somma di tutti i beni acquistabili con quella moneta nell’intero globo. Ne consegue, come dice Grillo, che la nostra è ormai sempre più una ricchezza di carta: che se uno cominciasse (e qua e là si sta cominciando) a chiedere il controvalore reale di un certo investimento finanziario, in quattro e quattr’otto tutto il sistema franerebbe, perché il controvalore per tutta la dannata carta/moneta non esiste più; carta che quindi possiamo ben definire “straccia” e che, presto, spingeremo a carriolante verso il panettiere per comprarci il pane, come accadeva ai tempi di Weimar.
Ancora fine della ricchezza = fine del tempo = fine del futuro. E allora chi scriverà ancora del futuro, se la fantascienza sono i reportage di borsa del Tg Uno?
Altieri, peraltro uno dei più spietati autori apocalittici del pulp italico (sopra a sinistra e sotto a destra due copertine di suoi libri), diceva che l’”inizio della fine” si può facilmente porre là dove si comincia a rendersi conto che una quantità di denaro virtuale pari a (se ricordo bene) 8 per dieci elevato alla tredicesima potenza dollari non è un’enorme ricchezza: è un numero che non siamo neppure in grado di concepire, di scrivere, sostanzialmente la migliore espressione del nulla di una società che ha trasferito la “realtà” in una proiezione mediatica di un modello di opulenza e benessere in espansione infinita, che ormai esiste solo nei bollettini dei politici che fingono di crederci per tenerci buoni, e dei loro (tele)giornali.
Un concetto che curiosamente è perfettamente metaforizzato dalla produzione conceptual art di Antonio Syxty, artista di performance e teatro che con Altieri non ha apparentemente nulla a che spartire (pur ricorrendo spesso all’immaginario di s/f nelle sue visualizzazioni): si chiama “Money Transfer # 3” e la trovate in mostra alla Boscolo Exedra Milano in collaborazione con la galleria Bagmilano per l’intero periodo estivo (e vedete alcune riproduzioni delle opere qui sotto a sinistra e poi a destra).
L’idea era quella di generare io stesso i segni di ogni carta, facendola diventare un pezzo unico e non un multiplo, distruggendo - una volta stampata ‐ il file digitale. Mi sembrava importante creare la carta e nascondere in essa narrazione, storia, identità, emotività, senso o non-senso, azione e comportamento".
Cortocircuito: l'unico nell'epoca delle nuvole di virtualità.
"Più andavo avanti scoprivo che potevo diventare un ritrattista, o un paesaggista e ‐ così facendo – focalizzare i soggetti che più mi interessavano, però filtrandoli concettualmente, evitando i facili richiami grafici, appaganti, o di senso banalmente denigratorio", continua Syxty. "Non volevo in alcun modo cadere nel tranello di una simulazione facile e di immediato con sumo. Ho iniziato con l’immaginare le tipologie di carte: le FAMILY CARD, le INFINITY CARD, le FIDELITY CARD, le POETRY CARD e via di seguito"."Per ogni carta viene generato un PIN e un CVV - spiega ancora Syxty - utilizzando il cifrario di Vernam, un sistema crittografico considerato inviolabile nel 1949, che io utilizzo in modo piuttosto anarchico (quindi usandolo come fonte di ispirazione), ma con l’intenzione di citare a mia volta un comportamento umano che si è dedicato alla crittografia per scopi militari e non solo. Questi codici vengono consegnati al collezionista in modo privato e in busta chiusa, e il cui scopo è anche di creare un legame comportamentale fra l’artista e l’acquirente/collezionista, e non solo".
"Attraverso la derivazione di quei numeri il fruitore/collezionista, volendolo, può utilizzarli in modo anarchico e privato/individuale per comporre a sua volta password e ID per il mondo reale, e di conseguenza re-immettendoli nel sistema dei numeri e dei codici che sempre più ci viene richiesto di generare per poter accedere ai sistemi virtuali di utilizzo, generati da algoritmi di cifratura e sicurezza sempre più complessi".
Numeri, codici, cifrari. La cabala del XXI secolo, la nuova alchimia? Dopo l'alchimia del teatro?
"I numeri sempre di più condizionano le nostre identità, costringendoci a generare continui alias di noi stessi, che ci aiutano a transitare attraverso le varie porte che ci vengono proposte dai sistemi virtuali e che vengono replicati all’infinito in un continuum di porte che si attraversano, avanti e/o indietro in un interrotto flusso di tempo che - probabilmente - non si interrompe neanche con la morte.
Ma forse è vero che - altra citazione da Cosmopolis - "la logica evoluzione degli affari è l'omicidio" (cui si prepara il protagonista Pattinson nella foto sopra a destra), anche se "hai poco da odiare in questa società", dove infatti ogni relazione è sterilizzata in un'anoressia emotiva ben rappresentata dalla staticità dell'azione scenica. O dai cellulari, dai social network, dalle carte di credito e dagli altri sistemi cui abbiamo affidato un mondo relazionale sempre più fitto e sempre più privo di empatia e identità.
Il cerchio si chiude. Buon divertimento, la cittàcosmo è aperta.
Mario G