Innanzitutto il nuovo “Venerdì 13” non è un remake ma più che altro un sequel del primo film della serie. Infatti i primi venti minuti del film si sviluppano sulla gita di un gruppo di ragazzi nei pressi di Chrystal Lake: quando si accampano per la notte, intorno al falò, uno di loro racconta la storia degli omicidi avvenuti nella zona che per gli spettatori altro non è che la trama del primo “Venerdì 13”.
Un sequel, questo, davvero mal riuscito. Il film originale, quello del 1980, era un horror d’impatto che voleva ripercorrere le indelebili impronte lasciate due anni prima, nel 1978, da quel mitico lavoro che fu “Halloween” di John Carpenter. “Venerdì 13” del 1980 è un horror destinato agli adolescenti che ancora riesce a spaventare, anche se ora siamo abituati a ben altro. Questo sequel, a confronto dell’originale ma anche di altri horror, risulta scarso nelle idee, ridicolo nelle situazioni, stupido nella creazione dei personaggi, spento negli spunti registici: in poche parole, è solo la caricatura di un horror.
È diretto da Marcus Nispel, già regista del remake di “Non aprite quella porta”. La riuscita di quel remake ha portato a pensare che ci fosse una rinascita dell’horror americano, con giovani autori e registi capaci di riportare a fior di pelle quei brividi che ci scatenarono Tobe Hooper, John Carpenter, Wes Craven e Sam Raimi tra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’80. Forse sarà anche così, qualcuno in effetti c’è riuscito, ma non si può dire che Nispel sia stato capace di riproporre un buon prodotto: “Venerdì 13” è talmente misero nei contenuti e nei livelli di tensione da portare alla noia.
Il film, il regista e con lui gli sceneggiatori, cercano di sorprendere proponendo delle alternative a scene e sviluppi che potevano sembrare stereotipati ma queste alternative sono frettolose e talmente poco originali da creare l’effetto contrario: ogni scena è prevedibile, incapace di creare suspense; è tutto uguale, non c’è sorpresa, c’è solo Jason Voorhees che avanza come uno schiacciasassi con il suo machete, talmente meccanico che ci ha già frantumato la sopportazione (e ad alcuni qualcos’altro) prima ancora di passarci sopra.
Cosa dire poi dei protagonisti, dei dialoghi e delle situazioni? C’è poco da dire, più che altro c’è da decidere se reagire alla stupidità piangendo o ridendo (dipende dalla quantità di ottimismo che avete nel DNA!).
“Venerdì 13” risulta un horror ridicolo, soprattutto per i personaggi che mette in scena, i dialoghi e le situazioni, anche se definirei esagerato parlare di dialoghi e di vere e proprie situazioni. Infatti il film è assolutamente squilibrato nei contenuti, che non esistono, e si capisce dal rapporto tra scene di sesso, troppe e inutili, e svolgimento complessivo. L’esagerazione conferma la totale mancanza di idee: il sesso non ha infatti bisogno di sceneggiatura, ha solo bisogno di attrici nude e di battute sceme da parte degli attori maschi. Certo, in un film horror per adolescenti il sesso non può mancare ma deve essere inserito in maniera intelligente, non come sostituto delle idee.
Di certo il film è capace di dare un valido esempio della gioventù di adesso mostrando la limitata visione del divertimento che questi hanno: attaccarsi alla bottiglia o drogarsi o, meglio ancora, fare entrambe le cose. I protagonisti da quando compaiono sullo schermo fanno solo questo. Sono talmente fatti che neanche capiscono cosa gli succede intorno, finché non ci rimangono secchi. Protagonisti più che mai realistici per comportamento eccessivo e scarsa intelligenza ma in quanto a realismo ci fermiamo qui; per quello che invece riguarda il surrealismo horror, siamo comunque molto lontani, direi che è più preciso se viene definito “ridicolismo horror”.
Concludo sottolineando che, di sicuro, “Venerdì 13” non piacerà ai fans delle serie e più che altro ai fans del primo film che si ritroveranno, con questo sequel, a guardarne il riflesso deformato fino al grottesco.
Nota: con Jared Padalecki, che interpreta Clay Miller (il protagonista del film), sembra che Hollywood cerchi di dar vita a una icona dell’horror, una specie di “remake” dell’attore simbolo di un genere, come andava di moda nel già citato decennio 1975-1985, insomma una specie di Jamie Lee Curtis in versione maschile. Peccato che l’attore stia all’horror quasi quanto Woody Allen sta ai film d’azione. Assolutamente inadatto, per mancanza di carica e di intensità ma anche di espressività.