Danny Boyle torna alla passione che lo rese (con Trainspotting) star del nuovo cinema pulp nei ’90 dei Tarantino e dei Watchowsky: gli abissi della mente umana, stavolta esplosi non attraverso il grimaldello della droga, ma tramite quello – non meno insidioso, pare – della psicanalisi.
In particolare, come dice il titolo In Trance, di quello scavo del subconscio che l’ipnoterapeuta può fare nella mente di un soggetto abbastanza suggestionabile da cadere, per l’appunto, in trance sotto la sua guida. Qui, come sapete, il paziente è James McAvoy (foto sopra a destra), dipendente doppiogiochista d’una casa d’aste, che aiuta una gang criminale capeggiata da Vincent Cassel (sopra a sinistra) a trafugare l’inestimabile Streghe Nell’aria di Goya (qui a destra), celebrazione simbolica (non casuale) di una potenza femminina che si pone al di là dell'intelletto razionale (vista di recente nella superba mostra L'ange du bizarre al Museo d'Orsay di Parigi). Ma, dopo il colpo, dell'ambìto capolavoro resta solo la cornice: dov’è finita la tela da 27 milioni di sterline? Deve averla fatta sparire lui, presunto triplogiochista dai complici. Malauguratamente, il poveretto s’è preso una sventola sul cranio da Cassel nel clou della rapina e non ricorda più niente, neanche sotto tortura: non resta che affidarlo alle sapienti quanto seducenti mani di Rosario Dawson (a sinistra con McAvoy e sotto) perché tiri fuori dal suo pozzo scuro la lucrosa risposta all’enigma. Come nel miglior cinema del Boyle (Piccoli Omicidi tra Amici ancor prima di Trainspotting), nella combriccola nessuno è moralmente innocente. La Dawson accetta l’incarico ma vuole la sua parte del grisbi, sfidando testa a testa i minacciosi ladroni; e, se lo spaurito Simon (McAvoy) innalza barriere mentali sul cammino psichico verso il misterioso nascondiglio del capolavoro sparito, lei non esita a vellicare la sua passione artistica per la passera depilata, che lui le ha spiegato essere la chiave di volta nell’evoluzione dell’arte (quella della bella mulatta, perfetta come piace a lui, dardeggia nell’immagine qui a destra): dalla Maya Desnuda (sempre di Goya), spiega l'esperto, l’apparire del triangolo di peli apre le porte all’arte moderna, quella dell'imperfezione. Tuttavia (per passione o per quell’enorme pugno di dollari o per altro ancora?), l'agnella (Lamb si chiama la Dawson nel film) non disdegna altresì di trescare col più macho e muscolare Franck (Cassel), innescando un pericoloso gioco di gelosia fra i due uomini, che si rifrange nel gioco di specchi fra la realtà sempre più sfuggente e le visioni del subconscio di Simon, portando anche noi verso la perdita del controllo su cosa stia accadendo veramente e cosa avvenga solo nella sua mente tormentata. Fino allo scioglimento finale dell’enigma, rocambolesca quanto era prevedibile e con un twist finale a triplo salto mortale, che ovviamente non va svelato. Anche se si tratta di twist alquanto fine a se stessi, questo va detto: un meccanismo di continui ribaltamenti delle tue logiche attese più pour epater che per svelarci reali zone oscure della psiche umana. Col risultato che questo spettacolare incrocio fra l’Inception di Nolan e La Migliore Offerta di Tornatore finisce per divertirci in maniera superficiale (quella appunto dei continui colpi di scena), un po’ come i trucchi da maghi di Las Vegas di Now You See Me. Boyle gira da dio e lo spettacolo non manca: il ritmo non cala un attimo, alcune incursioni nel pulp sorprendono (Cassel colla faccia sfondata, nella foto qui a destra) e la patinata fotografia di Anthony Dod Mantle (già con Boyle in 28 Giorni Dopo e con von Trier in Dogville, Manderlay e nei boschi, questi sì davvero del subconscio, di Antichrist) gioca abilmente sulle rifrazioni e le immagini scomposte (che vedete qui ai lati), ma la figheria visiva è strabordante. Interpreti bravi ma fin troppo belli, interni lussuosissimi, colori ipersaturi… ma, giù in quel pozzo, siamo davvero così cool?Mario G