I moltissimi fan del Dario degli orrori nazionale sono in fibrillazione da mesi per l’uscita, attesa nelle sale per il 31 ottobre (anche se ci sarà un’anteprima al Festival del cinema di Roma), de
C’è grande attesa anche perché si parla di un ritorno in grande stile proprio dello “stile Argento”, quel tocco che ha reso il regista romano una pietra di paragone per l’horror dell’epoca (e di sempre) a livello mondiale, tanto che lui e Miike sono gli unici registi non USA invitati a partecipare al progetto Masters of Horror (in uscita cofanetto dvd, si comincia a trovare qualche titolo a nolo). Dalle immagini che circolano già da un po’ in rete (qui a fianco un primo campione), sembra che almeno dal punto di vista dell’immagine non manchino le scene “forti”.
Mentre aspettiamo di scoprire se è vero o se han ragione i detrattori, secondo cui Argento dopo tanti anni di film brutti è solo una vecchia gloria, val la pena segnalarvi la ripubblicazione del caposaldo Inferno in dvd: da anni vergognosamente reperibile solo in un’edizione Anchor Bay doppiata in inglese e senza audio (né sottotitoli) in italiano, finalmente
Lo stile visivo, le morti efferate e fantasiose, l’immortale tema Gaslini/Goblin di Profondo Rosso avevano già fatto il giro del mondo (ne ritroviamo tracce in Halloween di Carpenter, per dire, fino a Evil Dead Trap 2 di Hashimoto); e Suspiria andava già oltre, sia nel barocchismo visivo sia nell’allontanamento dagli stilemi del giallo, per abbracciare le curiosità occultiste della sua compagna-musa Daria Nicolodi. In Inferno queste caratteristiche letteralmente esplodono in un’orgia cromatica visionaria, in cui ogni coerenza logica fra gli snodi della trama viene abbandonata in favore del libero tracimare delle ossessioni e degli incubi del regista.
Un film un po’ da amare o odiare, insomma. Che ad esempio il sottoscritto – all’epoca 16enne – odiò, non riuscendo ad accettare una forma horror onirica e autoreferenziale ma non seguibile dal punto di vista della trama logico razionale, pur mantenendo impresse nella memoria alcune delle potenti figurazioni paurose escogitate da Argento.
Nello stesso tempo, un film che generava immediatamente un gran seguito dietro di sé, se è vero – ad esempio – che il collega Lucio Fulci ne fu assai colpito, al punto da seguire evidentemente le tracce argentiane chiudendo la stagione dei gialli (alla Non si sevizia un paperino e Una lucertola con la pelle di donna, a loro volta fortunatamente ristampati in dvd di recente) per dar vita alla trilogia L’Aldilà, Paura nella città dei morti viventi, Quella villa accanto al cimitero. Tutti film in cui non solo torna l’impianto casa indemoniata-portale da cui il Male/i morti tornano ad invadere il mondo etc., ma soprattutto traspare che Argento ha fatto scuola nello scardinamento della logica razionale. I nessi causali, che già nel b-movie in genere non sono esattamente il problema che tiene svegli i registi di notte, vanno completamente a farsi benedire e noi spettatori veniamo travolti da un “trionfo della morte” di sangue e squartamenti che han fatto anche di Fulci un beniamino oltreoceano (“the godfather of gore”).
Per non dire poi della profluvie di filmacci, per lo più horror giovanilistici made in US, con case infestate di routine e di effettacci a go-go, che ci ha afflitti per l’intera decade.
Merito o colpa dunque? Innovazione stilistica o trascuratezza dei codici del far cinema, che aprirà la porta (oltre che ai morti viventi) alla pletora di brutti film degli anni ’80, in cui lo splatter la fa da padrone in barba - non solo a quei sottotesti destabilizzanti che nei ’70 consentivano di attribuire a molti horror valenze di critica politica/sociale – ma anche ad ogni straccio di sceneggiatura degna di questo nome?
Se è vero che “nel principio sta la fine”, dovremmo attribuire già alla svolta di Inferno la deriva successiva del cinema argentiamo, sempre più disinteressato alla coerenza delle sceneggiature e ancor più alla direzione degli attori.
Però sarebbe forse ingeneroso perché, se è vero che non si possono cercare in Inferno finezze psicologiche o narrative, questo film è portatore di un immaginario talmente lussureggiante da sostenere con forza la scelta estetica “formalista”.
insomma, a voi l’ardua sentenza: rivedendo il film, se non ricordo male, per la prima volta dal lontano 1980, la mia impressione personale è cambiata: non so se per l’aura cult che oggi lo circonda, o per la maggiore consuetudine con le storie non lineari di Lynch (nei prossimi giorni leggerete della sua mostra alla Triennale), Cronenberg, Greenaway, Tsukamoto, Miike etc., ma me lo sto proprio godendo: certo, non è un film in cui cercare la vera suspense (come dice anche Mereghetti, che sulla sua “bibbia” gli dà solo una * e ½), quella richiede una trama di ferro. Ma, una volta che uno nemmeno la cerca, è libero di perdersi come Alice nella wunderkammer psichedelica di Re Dario, accompagnata dalle note di Verdi e dal prog-baroque di Keith Emerson.
Come dire che se, invece di un immaginario gotico occultista europeo, ne avessimo uno pop industriale americano, Argento sarebbe una specie di horror-Lynch? Quesito seducente quanto azzardato (se ci legge Mereghetti…), che buttiamo lì per il gusto di smuovere le acque del pensiero, per quando scriveremo un saggio sull’evoluzione del cinema “senza realtà”, ricordando una frase dello stesso Lynch che ci sembra particolarmente attinente: “Per me il mistero è come una calamita. Ovunque ci sia qualcosa di ignoto si sviluppa una grande attrazione. Se ci si trovasse in una stanza, con la porta aperta e con le scale che scendono, e si spegnesse di colpo la luce, si avrebbe la forte sensazione di precipitarsi giù da quelle scale. Se si ha una visione parziale l’impatto è più forte che non di fronte a un quadro completo della situazione. L’intero può avere una logica, ma il frammento, tolto dal suo contesto, assume un eccezionale valore di astrazione. Può diventare un’ossessione”.
Inferno è un titolo che non può mancare nella collezione di ogni horrorofilo che si rispetti. Ripassiamolo giungendo le mani in preghiera che
Mario