Un po’ come vedere una Notte dei Morti Viventi di Romero, ma senza sapere se siamo i viventi oppure i morti.
Ok, lo so: questi paragoni fanno più scena che chiarezza.
Una donna gli getta una fune, lui esce e incontra altri come lui in un casolare. Nel reciproco timore e sfiducia, inizia la ricerca del gruppo per capire chi è ciascuno di loro, se e cosa li leghi alla drammatica situazione comune, cosa sia accaduto nello sperduto cottage e nella foresta che lo circonda, che vi lascerò scoprire passo a passo vedendo il film, come ho fatto io, senza mai annoiarmi lungo i suoi 102 minuti d’azione, per lo più frenetica come si deve. Nel corso della quale, dopo un inizio che MoviePlayer (direi la miglior recensione che ho letto online prima di vedere a mia volta il film) accosta all’ottimo Buried, ma secondo me (al di là della fossa iniziale) rimanda più al Cubo di Vincenzo Natali, per la comune condizione d’incertezza sul senso della situazione in cui ci si trova precipitati, si passa a uno svolgimento nel corso del quale (senza anticiparvi troppo) si incontrano dei cadaveri legati al filo spinato o appesi ai rami, misteriose prigioniere legate e inselvatichite e ancor meno raccomandabili individui catatonici, che – pur intelligentemente inseriti dal regista poco più che di scorcio – puzzano subito di Romero fin da lungi (più di Crazies che degli zombie della citata Notte, scopriremo), finché brandelli di memoria cominciano a farsi strada nell’amnesia che sembra aver colpito tutti i componenti del gruppo (tranne forse la ragazza orientale, che però è muta e non sa l’inglese!). Fuori luogo, vorrei chiarire, mi sembrano anche gli altri paragoni letti nell’articolo sopra linkato: Memento (non c’è l’elemento fondamentale del montaggio a ritroso) e The Village (il mistero non ruota intorno a superstizione e oscurantismo). Più ci penso, più mi convinco che la quest di John/Jona, Nathan, Lukas e Sharon rimanda a un The Cube senza la geniale ambientazione nel surreale rompicapo, che marcia a passo di carica survivalist verso la soluzione finale del mistero, la quale si situa (non la sveliamo, ma qui serve un piccolo SPOILER trama) più nel filone apocalittico epidemico (da The Crazies, appunto, ai recenti 28 Giorni/Settimane Dopo, Carriers etc.) che non in quello dei due (diversissimi) mystery citati. Ma con l’apprezzabile originalità, si diceva, di tenere coperte le sue carte fino all’ultimo, per cui noi spettatori siamo portati a pencolare insieme ai personaggi, ora tentati di credere che il protagonista Jona sia il potenziale salvatore del team, ora che ne sia un pericoloso (e magari inconsapevole) nemico, come lo teme il sospettoso Lukas.
Lo spagnolo Gonzalo López-Gallego (già autore di Apollo 18 nel 2011), pur confezionando un prodotto (indipendente, ma distribuito da Eagle) di solido entertainment ma registicamente medio e servito da un cast onesto ma senza punte, è abile in questo: ci fa scoprire insieme al protagonista solo nell’ultima scena cos’era accaduto e chi era lui, tenendoci avvinti alla sua stessa suspence fino all’ultimo minuto. E non franando, come spesso accade a questi film, quando tocca tirare le fila della matassa (vedi ad esempio Quella Casa nel Bosco).
Senza questa architettura drammaturgica, che ci conduce inesorabilmente verso un arrivo dei "nostri" tutt'altro che salvifico e a un amaro finale, tutt'altro che consolatorio e 'hollywoodiano', della stessa miscela avremmo detto che era solo un’inutile rimasticatura di cliché fanta apocalittici riscaldati milioni di volte.
Invece Open Grave, pur senza svelarci il “nuovo Romero”, si fa vedere fino in fondo con piacere. E, quando uscite nella vostra bella multisala UCI deserta, con un brivido profetico.
Mario G