"I'm afraid of Americans / I'm afraid of the world / I'm afraid I can't help it"
(David Bowie)
La saga de La Notte del Giudizio, nata come un piccolo action thriller per animare le sale nell'afa estiva (QUI e QUI recuperate le nostre precedenti recensioni dei precedenti due film), giunge al terzo capitolo (Election Year) e alza orgogliosamente il tiro ancora una volta. Il regista James De Monaco, sempre al timone del franchise che è cresciuto nelle sue mani, non ha ancora un nome del peso di John Carpenter o Walter Hill nel campo dell'action thriller, ma gioca sempre bene le sue carte, quindi presto potrebbe arrivare ad esserne riconosciuto un naturale successore: infatti, pur riproponendo il soggetto della notte in cui ogni crimine è concesso per 12 terribili ore di anarchy in the U.S. e violenza "purificarice", ha l'accortezza di non ripetere mai un clone del cocktail che ha avuto successo una volta e così il suo prodotto, benché certamente commerciale e "mainstream", non risulta mai stucchevole e prevedibile.
Se infatti il capostipite era un classico film d'assedio alla Distretto 13, il secondo una fuga all'ultimo respiro nella minacciosa jungla metropolitana, la nuova pellicola (nelle sale italiane dal 28 luglio, distribuito Universal) spinge a tavoletta il pedale del messaggio politico, che già nel secondo cominciava ad emergere. La notte dello "sfogo" (Purge in originale) è fortemente voluta dall'oligarchia dei Nuovi Padri Fondatori di un'America sempre più fascistoide, al fine di sfrondare il corpo sociale dei "pesi morti" (poveri, homeless etc.) che delle 12 ore della violenza legalizzata sono le prime vittime, con gran beneficio delle casse statali. Il bieco direttorio copre i propri interessi politico-economici (benedetti dalla lobby delle armi) con la delirante predicazione del Reverendo Owens sulla purificazione dell'anima dal peccato attraverso questa forma di omicidio rituale, che lui stesso pratica nel corso di una barbara "messa dello sfogo", cui partecipa l'élite sociale del Paese, ben vestita e protetta da guardie armate, ai danni di qualche malcapitato sacrificabile in nome della grandezza dell'"America rifondata".
S'oppone loro fieramente la sentarice Charlie Roan (Elizabeth Mitchell, una credibile Hillary Clinton più giovane e carina), cui un precedente "Sfogo" ha sterminato la famiglia, candidata alle imminenti presidenziali con l'esplicita missione d'abolire la barbarica usanza. Suo cavalier difensore, l'incrollabile Leo Barnes (quel "Willem Defoe dei poveri" di Frank Grillo, per definirlo ingenerosamente), già protagonista del capitolo 2, qui suo responsabile della sicurezza, sempre frusto e dolente in un ruolo che ormai è fatto su sua misura. La sordida congiura dei 'Padri' si serve dello Sfogo per attentare alla vita della scomoda senatrice, così l'idealista candidata e il suo marziale tutore si trovano in fuga per le strade di una Washington dell'orrore, fra roghi, ghigliottine in strada e gang di ragazze teppiste, o di killer della domenica provenienti da ogni parte del mondo per un emozionante "safari umano", tallonati da uno spietato commando di sicari paramilitari, che sulle uniformi sfoggiano dalle bandiere sudiste alle svastiche, inviati per far loro la festa senza complimenti.
Durante la fuga, insieme ai due braccati, noi (e ancor più il pubblico americano, immagino) scopriamo che i neri delle periferie e gli immigrati dalla criminosa Ciudad Juarez del Messico sono assai meno selvaggi di chi li governa e specula (o predica) sul loro massacro. A questo punto, vi lascio gustare da voi stessi lo sviluppo della trama, i colpi di scena e la suspense adrenalinica che il De Monaco mantiene costante fino alla fine, dedicandomi a qualche riflessione sull'originalità e attualità di questa terza "svolta del Giudizio": anzitutto osservando che l'evoluzione cospirazionista occupa la maggior parte della sceneggiatura, riducendo a poche scene la raffigurazione della violenza di strada della nottata del titolo, ben più centrale nei precedenti due capitoli.
Scelta furba: anche se quelle scene danno vita ai momenti più efficacemente "graphic horror" dal punto di vista visuale (le ragazze scosciate, armate e mascherate che vedete nelle immagini a lato, quell'eterno fascino ambiguo della maschera carnevalesca decontestualizzata in una situazione di panico, e poi ghigliottine, roghi di cadaveri, ballerine in tutù fra gli impiccati etc.), tutto questo s'è già visto e metterlo come fulcro della storia suonerebbe ripetitivo.
Invece, sbattere in faccia all'America della pistola facile - delle stragi a scuola, nei cinema o nei locali gay, perpetrate da pazzi, fanatici, da sbirri o ai danni di sbirri - che è proprio questa filosofia western del "diritto di sfogarsi" a causare tante vittime innocenti, secondo me è un messaggio forte. Anche se (forse ancor più) calato in un film commerciale d'azione pieno di sparatorie. E certe immagini tracciate dal regista lasciano il segno: come ad esempio la statua del giusto Lincoln assiso, intravista in mezzo alle colonne del Lincoln Memorial su cui campeggia "Purge" scritto col sangue; oppure i "turisti dell'omicidio" già assetati di sangue all'aeroporto come ultrà russi (possiamo dubitare che accadrebbe, se una simile notte venisse davvero istituita?).
Fanno riflettere sull'innalzamento della soglia di violenza che sta davvero subendo la nostra società global-weimariana, sempre più sull'orlo di una terza guerra mondiale sempre meno virtuale. Gli americani capiranno il monito di una setta di "Padri Fondatori" con spille sul revere della giacca a forma di aquila assai nazista, ispirati da predicatori in odore di KKK? Digeriranno che i "buoni" siano praticamente tutti neri?
Obama in chiusura di mandato ha provato a limitare la "liberta d'arma da fuoco a stelle e strisce". E ha fallito. La vera Hillary Clinton riuscirà a raccogliere quel testimone? O il prossimo Natale ci si scambia tutti un bel fucile d'assalto sotto l'albero?
Aperto da 20th century boy dei T. Rex, il nostro ideale "2016: Fuga da Washington" si chiude sull'inquieta I'm afraid of americans di Bowie/Eno. In caso... la metafora non fosse chiara!
La miscela del cocktail De Monaco comunque è sempre garantita: setting in un distopico futuro imminentissimo, azione a mille, thriller con qualche punta di horror... come abbiamo detto, funziona sempre, anche (e meglio) senza ripetere lo schema delle trame. Ma allora perché lanciarlo sempre in piena estate?
Mario G