"Vedete il flagello che si è abbattuto sul vostro odio,
il cielo trova modi per uccidere le nostre gioie con l'amore (...)"
(dal testo, trad. di Carmen Gallo)
---
"(Volevo) sottrarmi alla tentazione di simulare una verosimiglianza romantica e pregiudiziale degli eventi narrati in una forma di messa in scena 'consolatoria e restaurativa', e per sottrarre gli attori all’intenzione di simulare una forma di 'verosimiglianza” degli accadimenti e dei momenti emotivi e narrativi, senza vivere l’interpretazione pura del momento', scrive Antonio Syxty nelle note di regia sul suo blog.
Infatti, scoprendo che la sua nuova regia del direttore artistico di MTM sarà l'arcinota tragedia dei contrastati amanti veronesi (locandina a destra) - ormai stretta fra la cineversione puntigliosamente storica, levigata e sdolcinata, di Zeffirelli (1968, due Oscar) e quella "tarantiniana" (ma fedele al testo) di Baz Luhrmann (1996, trionfo del giovane Leo, qui sotto ripassate entrambi i trailer) - vien da chiedersi cosa ci fosse ancora da dire sull'apoteosi del "romanticismo drammaturgico".
Ebbene, fidatevi di uno scettico, c'è: Syxty ha voluto (e potuto, data la notorietà della vicenda) sottrarre alla propria messinscena tutti gli elementi che rappresentassero l'ambientazione d'epoca, il contesto storico, insomma "colore" e "folklore romantico" del monumento shakespeariano, montando le scene "come per un film" (ma non aspettatevi dirette citazioni cinefile), astraendo la vicenda nella scenografia essenziale (di Chiara Salvucci) e nei surreali costumi (geniali, di Giulia Giovannelli) che sfoggiano sì "richiami al cinema, alla graphic novel, alla narrativa fantasy, allo steampunk, ai videogiochi e ad altri mondi visivi e narrativi".
Infatti, i "bravi" delle due casate rivali girano infagottati in tute bianche da disinfestazione con mascherine da rapinatori che ricordano lontanamente i drughi di Arancia Meccanica e lo speziale mantovano sembra un mad doctor postatomico. Anche se l'ispirazione prima della struttura drammaturgica pare sia stata il dipinto Las Meninas di Diego Velázquez (a destra), per il suo geniale uso del fuori campo.
Montando, dicevamo, e anche coreografando i movimenti dei personaggi in scena (con l'aiuto della fidata Susanna Baccari) in traiettorie geometriche lineari lungo il palco, gli adulti, costretti nei loro ruoli inamovibili dettati dalla ragion di stato: la comica 'bambola querula' della balia di Debora Virello, il protervo Gaetano Callegaro (Capuleti), Filippo Renda (col conico copricapo e le unghie affilate di donna Capuleti), ma anche il buon Pietro De Pascalis (frate Lorenzo, velato come un abat-jour), scorrono tutti sempre in orizzontale lungo il fondale o in verticale lungo le quinte per raggiungere la loro posizione in scena verso di noi (una coreografia kabuki che mi ha ricordato la pur diversissima messa in scena della Madame de Sade di Mishima di Ferdinando Bruni vista nel '98).
Mentre i giovani Marcos Piacentini (è lui Romeo, noto per la serie tv Imma Tataranni), Francesca Massari (Giulietta), Simone Di Scioscio (Benvolio), Lorenzo Falchi (Mercuzio), Francesco Giordano (Tebaldo), Francesco Martucci (Paride), tutti molto bravi quanto debitamente giovani come i ruoli richiedono, si affannano costantemente in corse agitate e disordinate su e giù dal palco verso il loro inesorabile destino. Perché, ricordiamolo, la tragedia del Bardo - oltre al romanticismo - contiene la faida mafiosa, il dramma politico, immagini gotiche (nel cimitero) da horror e termina in una strage degna di Tarantino. Anche senza che si veda mai una spada in scena delle molte brandite nel testo: le scene dei duelli sono anch'esse magistralmente coreografate in gestualità astratte da performance di arti marziali orientali.
Scena essenziale fatta di panche e scale, casse da trasloco e cornici voltate al contrario, con una statua legata da nastri, luci fredde e geometriche dirette dall'alto (Fulvio Melli) e una raffinatissima regia musicale di sonorità colte e concettuali, spesso minimal, dominate da Erik Satie e Meredith Monk (in calce la track list completa) completano il quadro astratto di un Romeo e Giulietta "distopici" (definizione di Syxty), lontanissimi dall'oleografia secentesca: "Anche le scelte musicali che ho fatto (...) creano una traccia emotiva e drammaturgica che si costituisce come partitura sonora autonoma insieme alle parole del testo. Parole e musiche le intendo come tracce separate, che poi l’orecchio dello spettatore metterà inevitabilmente insieme nell’ascolto".
Il risultato sorprendente è che - a dispetto di tanta astrazione concettuale di messa in scena - il sottoscritto non si era mai davvero emozionato tanto alla tragedia degli infelici innamorati scaligeri, trovandola tanto attuale, non solo per il conflitto giovani-adulti sottolineato dal regista nelle sue note (v. link sopra, NdR), ma più in generale per il conflitto fra sentimenti individuali e quello che oggi siamo usi definire "politically correct". Cui potrebbe anche non essere estranea la scelta (per così dire) 'trendy' di un Romeo di origine brasiliana di pelle scura, un potenziale "straniero", estraneo già visivamente alle logiche del potere dominante che macchinano per schiacciarlo.
Parecchi giovani fra il pubblico in sala, circa coetanei dei protagonisti: un bel segnale (a dispetto dell'abuso di applausi a scena aperta "da Zelig"), se significa che qualcuno di loro ieri sera si trovava a teatro per la prima volta o quasi, e magari deciderà di tornarci.
Non facile, il testo tradotto e adattato da Carmen Gallo è fedele all'autore (anche se forse il suo Capuleti non avrà insultato la figlia ribelle chiamandola apertamente "schifosa puttana"), impegnativo sin dalla durata di tre ore (giustamente senza intervallo pop corn), con ben undici attori in scena (in un teatro contemporaneo ormai ridotto a monologhi o al massimo dialoghi) ma - con molta necessaria preparazione - io lo mostrerei anche alle scuole, in quest'era dell'intolleranza e dei settarismi.
Per fortuna rimarrà in cartellone anche oltre il Festival della canzone sciocchina, fino al 2 marzo prossimo.
Avete tempo per trovare la serata giusta.
Mario G.
P.S.: le foto di scena qui riprodotte sono di Alessandro Saletta, mentre di seguito - per i musicofili fissati come il sottoscritto - trovate la track list delle felicissime musiche di scena, per gentile concessione MTM e A. Syxty:
Yann Tiersen – Porz Goret
J.S. Bach – Minuet in G major
Brunhild Ferrari & Luc Ferrari – Tranquilles impatiences
Meredith Monk – Cave song
Pauline Oliveros – Lear
Erik Satie – Gnossiennes
Gyo - Ligeti (da Eyes Wide Shut)
Luc Ferrari – Danses Organiques
Meredith Monk – Book of days
Meredith Monk – Walking song
Shigeru Umebayashi – On the lake
Deru – 1979
Luc Ferrari – Presque
The Leftovers – The Departure
Meredith Monk – Skelethon Lines
Yann Tiersen – Naval
Philip Glass – Prelude Rafkin
Peter Gregson – Vocal